Fra le clamorose conseguenze della criminale esplosione della diga di Kakhovka, che ha causato centinaia di morti e danni incalcolabili al patrimonio e alla natura, uno degli aspetti meno evidenti è quello della scomparsa dei siti archeologici, di cui è ricco il sud dell’Ucraina.

La regione di Kherson è da sempre un crocevia delle culture, dove molti popoli avevano lasciato le tracce della loro presenza. Queste terre dovrebbero essere meta dei turisti curiosi alla scoperta del passato, invece sono diventati bersagli della furia forsennata dei militari russi. Sommersi dalle acque, i luoghi della cultura nella regione di Kherson difficilmente potranno riemergere ed essere ripristinati, proprio a causa della loro intrinseca fragilità.

Siti archeologici

Nei giorni ansiosi dopo l’alluvione causata dalla esplosione della diga di Kherson c’è stata una sola nota positiva: il museo d’arte di Kherson era salvo. L’acqua si è fermata a 230 metri di distanza. In altri casi la natura, spronata dall’uomo a diventare uno strumento distruttivo, è stata meno clemente. Sono state lavate via non solo le case moderne, ma anche quelle antiche, costruite con la tecnica tradizionale di saman, ovvero mattoni fatti di terra, creta, sabbia, paglia e acqua. Questo materiale ecologico, plastico e affidabile, poteva resistere alla pioggia, ma non all’urto delle onde del Dnipro.

Un dettaglio del sito di Oleshkivska Sich prima dell’alluvione, foto di Oleksandr Kherson, CC BY-SA 4.0.

Alcuni dei villaggi sommersi avevano una storia secolare. Così Tyahinka, sorta all’incrocio delle rotte commerciali tra l’Oriente e l’Occidente. Qui ai tempi del Granducato di Lituania, il principe Vytautas costruì una fortezza, conquistata poi dal Khan Mengli-Herai, capo dei tartari di Crimea, gestita poi dagli ottomani e dai cosacchi ucraini. Nel 2020 gli archeologi avevano scavato frammenti di un muro antico. Ora il sito è completamente allagato.

Un altro sito storico che ha subito lo stesso destino è Oleshkivska Sich, che i cosacchi fondarono nel 1711, dopo che l’esercito zarista distrusse la loro sede precedente. La terra fu donata ai cosacchi dal khan tartaro Devlet-Girey, che possedeva all’epoca questo territorio.

Oleshkivska Sich aveva la forma di un quadrilatero regolare con fossati e bastioni alti 1,5 metri, con una porta centrale e le ridotte agli angoli; nei dintorni c’erano una chiesa, un cimitero e un pozzo. Prima dell’occupazione, c’erano gli scavi archeologici in corso: ora sono sommersi dall’acqua.

La casetta dei sogni di Polina Raiko

Nello stesso paesino di Oleshki si trova la vittima più amata ed originale: la casa-museo della pittrice contadina Polina Raiko. Come l’altra celebre pittrice naïve ucraina, Mariia Prymachenko, esposta di recente al palazzo Albere di Trento, anche Raiko aveva vissuto tutta la vita in campagna. Aveva scoperto la sua vocazione molto tardi: dopo una vita di fatica, aveva trovato l’ispirazione dipingendo una colomba bianca sul muro di casa. Aveva cominciato a 69 anni, e fino alla morte avvenuta pochi anni dopo, non si era più fermata, ricoprendo di immagini fantasiose e colorate gli interni e gli esterni di casa sua.

Dopo la morte dell’artista, la casa era stata posta sotto tutela del ministero della Cultura. La proprietà è stata acquistata da una coppia di ammiratori canadesi, i quali l’hanno data in custodia a un gruppo di donne di Oleshky. Nei giorni successivi all’alluvione, loro sono riuscite a trarsi in salvo. La casa, ovviamente, no. Dal 6 giugno è sommersa dall’acqua e i curatori sperano soltanto che i colori riescano a resistere fino al momento di deflusso.

Un dettaglio all’interno della casa-museo di Polina Raiko.

L’oro degli sciti torna a casa

In parallelo con questi fatti luttuosi è passata in sordina una notizia positiva, attesa da tempo. Dopo un processo giudiziario durato otto anni, la Corte Suprema di Amsterdam ha emesso il verdetto. Ora i famosi ori degli sciti, antica popolazione nomadica delle steppe ucraine, verranno restituiti ai legittimi proprietari. Circa 550 oggetti contesi sono di inestimabile valore, e non solo perché fatti di oro massiccio, argento, bronzo: questi oggetti risalenti all’antichità sono caratterizzati da un’incredibile maestria nel riprodurre decori e figure zoomorfe. Conservati inizialmente nei musei dell’Ucraina meridionale, quando i russi invasero la Crimea nel 2014, si trovavano esposti alla mostra “Crimea. Oro e misteri del Mar Nero” al museo Allard Pierson di Amsterdam.

Quindi alla fine dell’esposizione si pose la questione della restituzione. Entrambi gli Stati si contendevano questo tesoro dell’arte antica, ma solo nel giugno del 2023 la giustizia ha trionfato: l’oro degli sciti tornerà in Ucraina.

O forse no…

Il loro ritorno è avvenuto perché i reperti archeologici contesi si trovavano in Europa ed erano rimasti nel campo della legalità. Invece altri artefatti della stessa epoca e provenienza sono stati meno fortunati: dopo l’occupazione, il museo di storia locale di Melitopol fu saccheggiato dai russi. Fino all’indipendenza dell’Ucraina, tutti i ritrovamenti archeologici importanti di questa zona venivano infatti inviati a Mosca o a Leningrado, da dove partivano poi per le grandi mostre, come quelle del 1977 e del 2001 in Italia, per presentare al mondo il passato glorioso della… Russia.

Un elmo scita esposto al museo archeologico Allard Pierson di Amsterdam nel 2014 all’interno della mostra “Crimea – oro e segreti del Mar Nero”.

Dopo l’indipendenza dell’Ucraina, il museo storico di Melitopol aveva fermato l’emorragia dei tesori verso le capitali dell’impero, cominciando ad esporre i nuovi ritrovamenti. Ma subito dopo l’occupazione, i russi presentarono alle curatrici del museo, intimando di svelare l’ubicazione degli oggetti più preziosi. Nonostante le minacce, le collaboratrici del museo non svelarono il nascondiglio, però i militari lo trovarono lo stesso e inviarono le opere sottratte nei musei statali russi.

Passato emerso, futuro incerto

Purtroppo, il momento in cui potremo andare ad ammirare lo splendore dell’oro degli sciti è ancora lontano. Mentre ad oggi risultano ancora allagati 17 insediamenti sulla riva sinistra nell’Oblast di Kherson (sotto controllo russo) e 11 centri abitati sulla riva destra, pari a 1509 case, sul fondo del bacino idrico di Nova Kahovka il deflusso dell’acqua fa emergere i teschi con i caschi della Seconda guerra mondiale e le pistole antiche, altri tesori rimarranno inghiottiti dall’acqua melmosa o fagocitati dal limo.

Altri ancora diventeranno l’ennesimo bottino della Federazione russa, mostrato al mondo a riprova dell’importanza della grande cultura russa.

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