Proviamo ad immergerci, senza troppo pensare, nella parola oblio e lasciamoci accogliere dalle immagini e dalle sensazioni in esse contenute. Sensazioni fatte di malinconia, inquietudine o, forse, ecco la piacevole leggerezza… oppure le sentiamo tutte insieme, in un sapore agrodolce, avvolgere il nostro stare, ritrovandoci cullati da lievi onde marine o da un’amaca o da una nuvola.

Ci riscopriamo così, in  quella sensazione di sospensione da un brutto pensiero o da un brutto ricordo. Magari neppure sapendo quale, eppure… Quante volte aneliamo questo stato, anche solo per un momento. In alcune situazioni può capitare che, senza che noi ce ne accorgiamo, senza che si faccia nulla per cercare questa sensazione, se ne venga comunque afferrati; questo per salvarci da esperienze traumatiche o che in qualche modo hanno a che fare in modo sgradevole, con il nostro percorso.

I fattori emotivi

Sigmund Freud

Sigmund Freud enfatizzò l’importanza dei fattori emotivi e difensivi nell’oblio sostenendo che ricordi angoscianti, avvertiti come minacciosi o causanti ansia, spesso non riescono ad accedere alla sfera della consapevolezza, per ragioni difensive.

Freud denominò tale fenomeno “rimozione”. In altre situazioni, invece, può capitare che non sia possibile, pur desiderandolo, cadere nell’oblio. Ma, probabilmente, nemmeno converrebbe. Perché se da una parte protegge, difende, dall’altra isola gli eventi traumatici vissuti con il rischio che prendano vita autonoma dentro di noi, facendoci agire o provare emozioni difficili da comprendere -da prendere con mano- e accompagnare nello scorrere  del nostro esistere.

Quando non si può rimuovere, quello che si potrebbe fare è tuffarsi  comunque nella parola oblio e provare a giocarci, per così dire,  con qualche guizzo creativo, facendo capolino alle nostre risorse interne, andando a cercare dentro di noi tutto il materiale a disposizione, bello o brutto che sia. Potremmo per esempio elidere la i e prendere in prestito il suo punto affinché diventi un accento da apporre sulla o finale. Ne risulterebbe un oblò, dal quale osservare da dentro a fuori, dal basso verso l’alto (e viceversa), il mare, il cielo e qualsiasi situazione anche spiacevole, mantenendo una certa distanza sapendo di che cosa si tratta, perché vissuta e ancora viva.

Poter vedere quello che c’è e c’è stato, con la sufficiente consapevolezza dell’ ”è andata così, ho attraversato mari e monti, abissi e fango ma, ora, un nuovo ordine si è ristabilito e da qui posso ricominciare o continuare”. Dovrebbe essere un diritto, quello di riuscire ad avere un modo con cui poter osservare le proprie difficoltà e poter andare avanti in qualsiasi direzione si possa e (o) voglia. E dovrebbe essere un diritto essere inclusi nella società nonostante un inciampo ci abbia fatto per esempio ammalare. In questo caso se da una parte è necessario prendersi cura di sé sia in senso fisico che psichico per poter raggiungere un equilibrio nel nuovo rapporto tra salute e malattia, è altrettanto necessario che si crei la possibilità a livello collettivo comunitario perché questo venga supportato, concesso e quindi vissuto

Diritto all’oblio oncologico

Un esempio virtuoso è quello del “diritto all’oblio oncologico” che in alcuni Paesi dell’Unione Europea è già in vigore. Si tratta di una norma che abolisce l’obbligo di dichiarare di essere stati malati di cancro per impedire qualsiasi forma di discriminazione. Quindi sostiene che, per esempio, in ambito finanziario, bancario, assicurativo e sociale, non si possano più esigere informazioni in merito alla storia clinica pregressa di chi è guarito da un tumore maligno.

Questo sicuramente aiuta le persone che hanno avuto un cancro e ne sono guarite, a ritornare alla propria vita senza discriminazioni basate su una storia clinica considerata superata. Lo scopo di questa normativa è quello di stabilire dei termini di tempo oltre i quali, dopo la guarigione, una persona venga considerata ex-paziente. La legge per il diritto all’oblio oncologico, permette di non considerare più “paziente” chi ha avuto un tumore solido in età pediatrica dopo cinque anni dal termine delle cure con follow up negativo e con assenza di ripresa di malattia e dopo dieci anni se in età adulta.

Perché l’esigenza di questa norma?

Forse non tutti sanno che, il fatto di essere ammalati di cancro, determina delle difficoltà anche in quei settori di vita che non riguardano la salute; spesso, per esempio, può essere impossibile stipulare un’assicurazione o un mutuo per acquistare casa o richiedere un’adozione. E forse non tutti sanno che queste difficoltà in alcuni Paesi europei compresa l’Italia, ad oggi permangono per sempre una volta ricevuta la diagnosi. Anche se si viene dichiarati guariti. 

Ma mentre un tempo il tumore era una malattia che dava poche speranze di sopravvivenza, oggi moltissime neoplasie sono curabili, e altre hanno un’aspettativa di vita lunga.

Infatti, grazie alle sempre più frequenti diagnosi precoci e alle nuove terapie, un numero crescente di persone può tornare, dopo un certo periodo di tempo,  ad una vita “normale” e utilizzare la parola “guarito” perché raggiunge la stessa aspettativa di vita delle persone della sua stessa età e del suo stesso sesso che non hanno mai avuto il cancro.

Questo ovviamente dipende da molti fattori che riguardano soprattutto il tipo di neoplasia in questione e alcuni indicatori specifici che si basano su un’osservazione clinica concreta.

Eppure ancora oggi superare la malattia a livello clinico, non significa smettere di essere considerati “pazienti”. E così richiedere adozioni, mutui, prestiti, assicurazioni, negati durante il periodo di malattia e follow up, resta senza possibilità dovendo dichiarare la patologia che viene erroneamente considerata ancora attiva e non superata e guarita.  Si viene così ad  essere classificati comunque “a rischio” con tutto ciò che ne consegue. 

In molti Paesi europei (Francia, Lussemburgo, Belgio, Olanda,  Portogallo, Romania e da poco anche Spagna) tale diritto all’oblio oncologico è già normato da una specifica legge. Con risoluzione del febbraio 2022, la Corte europea ha chiesto che entro il 2025 tutti gli Stati membri garantiscano tale diritto; non siamo ancora l’ultimo fanalino di coda, quindi, ma cerchiamo di fare in modo di sbrigarci per aiutare gli ex pazienti oncologici non tanto a dimenticare (in senso stretto, in questo caso,  non si può, forse non si deve) ma a poter guardare attraverso questo diritto come un oblò proiettato sul passato dal quale riafferrare la memoria del futuro. 

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