Secondo le stime del Sistema Informativo per la Salute Mentale, nel 2021 sono stati 778.737 gli italiani che si sono rivolti a servizi specialistici di supporto psicologico e psichiatrico. Cifra, questa, in aumento rispetto ai 728.338 italiani riscontrati nel 2020. Se però prendiamo in considerazione il fatto che secondo l’ISTAT in Italia 2,8 milioni di persone soffrono di depressione, subito balena agli occhi una preoccupante discrepanza tra la diffusione anche solo di un unico disturbo mentale ed il numero di persone che cercano supporto e sostegno.

Una spiegazione di questa differenza si può rinvenire in alcune frasi o idee che spesso fanno desistere le persone dal cercare un sostegno psicologico. In particolare nel caso di persone che hanno subito traumi, abusi e violenze fisiche o psicologiche si possono riscontrare dei pensieri che, frequentemente, si rivelano essere di grande ostacolo per iniziare un percorso di cambiamento o di sostegno.

Le frasi più frequenti… degli altri

In questi casi le parole sono tante ed eterogenee, ma frequentemente si condensano in frasi che attivano emozioni simili. Ciò è riconducibile al fatto che ciò che viene attivato sono dei sottostanti nuclei tematici che accomunano molte persone in situazioni analoghe quali il senso di colpa, il timore del giudizio e la paura di essere soli nella sofferenza.

“La terapia non serve perché non mi aiuta a dimenticare quello che ho vissuto”.

Molti pensano che scopo della terapia sia di dimenticare il trauma e la sofferenza ad esso associata, ritornando quindi ad uno stato precedente. Più che un obiettivo reale, questo è un auspicio irrealizzabile ed indesiderabile. Dimenticare non serve, piuttosto è più importante capire come quel trauma si collochi nella propria storia individuale. Intraprendere un simile percorso non è facile, né indolore, ma affrontare una sofferenza è l’unica via percorribile.

Non ne voglio parlare perché ricordarlo mi fa male”.

Come detto sopra, parlare di un trauma non è mai indolore. Anche chi trova le forze per rivolgersi ad un terapeuta non è detto che si senta pronto a rievocare ricordi spiacevoli o dolorosi. Spesso però non parlare di qualcosa, pensando così di tenere a distanza la sofferenza, può dare un falso senso di libertà e controllo quando, in realtà, ci rendiamo prigionieri di una gabbia della quale non vogliamo vedere le sbarre. Ovviamente non è consigliabile costringersi a parlare di un trauma; ognuno ha i suoi tempi e, spesso, disvelare è una questione di momento propizio, di kairos. Tuttavia, è ben documentato come aprirsi e parlare di un evento traumatico con uno specialista sia di grande aiuto per vedere da altre prospettive quanto vissuto, sentirsi ascoltati e riconosciuti nella propria sofferenza e, soprattutto, permette di lenire il dolore iniziale rendendo più sopportabili i ricordi.

“Te lo avevo detto che sarebbe finita così; te la sei cercata!”.

Questa frase è spesso usata da familiari o persone vicine alla persona che ha subito un trauma, soprattutto nel caso di relazioni nocive con un partner violento. Spesso sottovalutato, il vero e terribile effetto di un’affermazione simile è quello di instillare senso di inadeguatezza nella persona a cui viene detta, creando due ferite che sovente si sommano: la prima è l’attribuzione di una colpa per non aver visto quello che gli altri avevano già intuito e predetto, la seconda, e più subdola, è l’idea che la vittima ha sbagliato al punto da essersi meritata quanto successo.

Le frasi più frequenti… che diciamo a noi stessi

A volte, però, siamo noi stessi a dirci queste parole; ci accusiamo impietosamente e ci addossiamo la colpa di quanto abbiamo subito. In fondo, per quanto possa far male, può essere confortevole ritenersi la causa di quanto successo piuttosto che pensare di essere in balia della casualità degli eventi o, peggio ancora, degli agiti violenti di persone a cui siamo legati.

“Non posso far vedere che sto male”.

Questo è un pensiero che può emergere in diversi contesti. Può pensarlo un genitore che non vuole far gravare sui figli le proprie difficoltà, o una persona che non vuole far trapelare la propria sofferenza ad amici o parenti per il timore di essere giudicato triste o depresso. Le richieste della vita quotidiana spesso ci impediscono di far emergere ciò che veramente proviamo e dobbiamo scendere a compromessi ed indossare una maschera. Non dobbiamo però dimenticarci che dietro ad essa c’è tutto un mondo di emozioni e sentimenti che meritano un doveroso rispetto.

“Altri hanno sofferto di più di me; in fondo non posso lamentarmi”.

Questa è una frase che spesso ci porta a delegittimare la nostra sofferenza comparandola ad eventi successi ad altri. Un ambito frequente nel quale emergono tali pensieri è quello della violenza psicologica che, a torto, viene etichettata come un evento di poco conto. La violenza, però, in ogni sua declinazione, rimane sempre e comunque tale e non deve essere sminuita.

In conclusione

Questa lista non ha la pretesa di essere un compendio esaustivo, ma vuole offrire un’inquadratura generale di alcune delle frasi che con maggiore frequenza sono pronunciate da pazienti che hanno avuto difficoltà nel rivolgersi ad un terapeuta in seguito ad un trauma. Riconoscere la propria sofferenza non è facile, ma è il primo passo per affrontare un cambiamento che non si limiti mai al ritorno ad una condizione precedente ad un evento doloroso. Nascondere o evitare sono tentativi di obliare una sofferenza che rimane latente, sotto la superficie, continuando a tormentarci anche se non vogliamo vederla. Al contrario, scoprire le proprie forze per parlare con uno specialista è essenziale per trovare uno spazio dove essere ascoltati e legittimati nel nostro dolore.

© RIPRODUZIONE RISERVATA