Mentre la guerra continua sul fronte russo/ucraino, non si ferma l’attività degli attivisti dei Movimento Nonviolento e della Rete italiana Pace e Disarmo che, in tempi e situazioni molto complesse, cercano di rendere possibile la scelta dell’obiezione di coscienza militare. Data la situazione, un diritto sempre più difficile da far valere e riconoscere.

In Russia, come segnala Avvenire, testata sempre attenta alle dinamiche estere, per gli obiettori russi rimane il Ministero della Verità di orwelliana memoria: ovvero, l’obiezione è legale ma non viene di fatto rispettata. Anzi, «Esistono campi di detenzione specifici in cui vengono imprigionati illegalmente sia i coscritti che i soldati a contratto che si rifiutano di combattere in Ucraina», denuncia Alexandr Belik, coordinatore del Movimento degli obiettori di coscienza russi, con «veri e propri centri di rieducazione per “efusenik”, dove per costringerli ad andare in prima linea li fanno dormire sul pavimento, li privano del cibo e della possibilità di lavarsi e li sottopongono a continue intimidazioni, minacce e violenze fisiche.»

Anche in Ucraina, con la mobilitazione generale a seguito dell’aggressione e invasione russa, il diritto all’obiezione è stato sospeso e infatti oggi (12 dicembre) presso la Corte d’Appello di Ivano-Frankivs’k, in Ucraina, si è tenuto un nuovo processo all’obiettore di coscienza Vitaliy Alekseinko, già condannato ad un anno di carcere perché riconosciuto colpevole di “elusione del servizio militare durante la mobilitazione”, che nell’udienza ha cercato di ottenere la libertà vigilata. Presente nell’aula del Tribunale anche l’avvocato italiano Nicola Canestrini su mandato del Movimento Nonviolento.

La storia di Vitaliy è emblematica. Obiettore per motivi religiosi in quanto evangelico, quando il Ministero della Difesa ucraino, in base alla mobilitazione generale, gli ha imposto di iniziare il servizio militare ha opposto che, a causa delle sue convinzioni religiose, non intende imbracciare le armi, e che può solo sottoporsi a un servizio civile alternativo non armato, che peraltro aveva già svolto in Uzbekistan nel 1998.

Un conflitto di interessi

Tolta la vicenda personale di Vitaliy e ampliando il ragionamento, la questione, come al solito, si fonda sul conflitto tra interesse collettivo e individualismo liberale. La democrazia di stampo occidentale, che vede la propria culla nell’Atene classica, prende le sue mosse da una cultura per la quale l’oplita, ovvero il soldato, era l’elemento cardine di una società in cui dalla prestazione del servizio militare si ottenevano i diritti politici. Da qui alla sentenza della Camera della Corte europea del 7 luglio 2022 – in cui si afferma tra i diritti umani quello all’obiezione di coscienza al servizio militare – che chiede agli Stati di ottemperare “come parte dell’obbligo di rispettare il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione espresso nell’articolo 9 della Convenzione europea dei diritti umani” il passo è molto lungo, e mostra come un lungo periodo di pace (ben 77 anni) abbia fatto pendere la bilancia dal dovere del servizio al diritto all’obiezione.

Si preannunciano tempi forieri di una nuova età del ferro, con un Oriente che si pone come obiettivo a medio termine di conquistare la guida economica e politica dell’umanità (si vedano le “grandi manovre” di questi giorni della Cina in Arabia Saudita). La domanda dunque è se sia sostenibile per l’Occidente un sistema valoriale individualista come identitario a fronte di rapporti e conflitti con popoli (come quello cinese e russo) dove il valore del popolo-Stato supera – se non elide – i diritti individuali in nome di un’ideologia o di una religione e in cui, rimanendo nei paragoni classici, il modello è la dura e ferrea Sparta. Insomma, il solito dilemma delle strutture sociali nei momenti di pressione: accettare il dissenso, rinunciando alla compattezza del fronte interno in un momento cruciale per la sua stessa sopravvivenza, o “sospenderlo”, rinunciando così ai valori della società rappresentati dagli obiettori stessi e che, per l’Occidente, significa di fatto rinnegare se stesso.

Un dilemma tutto occidentale; riguarda sempre meno la Russia che, dopo un periodo in cui sembrava addirittura poter far parte della NATO (fino al 2010), si allontana ora polemicamente dall’Occidente definendolo “satanista” (Dugin), dominato dalle lobby gay (Kirill) e, per contrastarne le perniciose “pressione esterne”, adotta progressive restrizioni sulle tematiche LGBT; non riguarda affatto la Cina, dove il servizio militare è obbligatorio e di due anni per entrambi i sessi.

Il ruolo degli Stati

In questo senso, l’evoluzione individualista dell’Occidente, che per effetto della logica capitalistica ha atomizzato il contesto sociale e trasformato i cittadini in consumatori, ha ridotto gli Stati nazionali ad un ruolo amministrativo, in contrapposizione a strutture forti dove il singolo scompare o è fortemente limitato. Così accade in Cina, dove i cittadini della Repubblica Popolare Cinese, “nell’esercizio delle loro libertà e dei diritti, non possono violare gli interessi dello Stato, della società o della collettività” (art. 51 Costituzione cinese) e per i quali “è sacro dovere di ogni cittadino della Repubblica popolare cinese difendere la madrepatria e resistere all’aggressione” (art. 55). Curiosamente, pur essendo il paese più “ateo” del mondo, le ragioni del territorio e del popolo si ammantano di un valore irrazionale e trascendente come il “sacro”.

Certo, così è stato pure per l’Italia repubblicana post bellica, dato che “la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino” (art. 52); ma già dal 2005, seguendo l’andamento generale, il servizio obbligatorio è inattivo. Non è dunque un caso che in questi giorni di rigurgiti nazionalisti da La Russa (FdI) venga rilanciata con un prossimo DDL l’idea di un servizio militare, una mini naja volontaria di 40 giorni con una serie di incentivi come punti per la maturità o per la laurea e punteggio aggiuntivo per i concorsi pubblici. Quindi, se pure non sembrano in discussione i principi della legge 772 del 15 dicembre 1972, che permetteva l’obiezione se i motivi di coscienza fossero “attinenti ad una concezione generale basata su profondi convincimenti religiosi, o filosofici o morali professati dal soggetto”, d’altra parte verrebbe ribadito con gli incentivi l’aspetto sociale del servizio militare da premiare dalla collettività per il servizio attivo. Anche qui c’è un possibile modello di riferimento (La Russa forse lo sa, o forse no): lo junxum cinese, un addestramento militare a tutti gli effetti che può durare dalle due settimane a un mese – obbligatorio all’università – per “inculcare alle matricole una corretta educazione patriottica.”

La vicenda dell’Ucraina, che guarda con la testa ad Occidente ma che ha mani e piedi saldamente legati all’identità slava orientale, risulta ancor più un test interessante – oltre che per i suoi ovvi e impellenti risvolti politico/economici – per verificare sul campo se sia possibile che popoli culturalmente parzialmente omogenei all’Occidente europeo possano sposare in modo convinto temi ideologici individualisti e consumistici. Le esperienze di Ungheria e Polonia, in verità, risultano estremamente contraddittorie.

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