Gli eventi degli ultimi due anni, la pandemia e l’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia stanno avendo un duro impatto globale e hanno messo in crisi l’economia, gli Stati e alcune delle non molte certezze rimaste all’Occidente. Naturalmente la guerra contro l’Ucraina ha avuto ripercussioni più forti in Europa e particolarmente in Germania, proprio per il suo ruolo economicamente centrale e i suoi rapporti con la Russia.

La guerra è iniziata in un momento in cui tutta l’Europa sembrava riprendersi abbastanza velocemente dalla crisi e dalle tensioni generate dalla pandemia ed a pochi mesi dall’insediamento del nuovo governo tedesco, ovvero dalla fine dell’era politica dominata da Angela Merkel. I sedici anni del cancellierato Merkel sono stati una prosecuzione della politica di collaborazione con la Russia di Putin perseguita dal precedente cancelliere, Gerhard Schröder che, in modo del tutto analogo a Berlusconi, ha sviluppato e mantiene forti rapporti di amicizia con Vladimir Putin. Nel caso di Schröder poi l’amicizia si mescola al puro e semplice tornaconto personale ed al business delle forniture di gas russo alla Germania.

La via tracciata da Schröder

Nel 2001 Schröder e Putin patrocinarono la nascita del cosiddetto Peterburger Dialog, una piattaforma che, se ufficialmente mira ad accrescere i rapporti tra la società civile russa e quella tedesca, si dedica soprattutto a intensificare gli scambi economici tra i due Paesi.

Gerhard Schröder in una foto del 2013, foto di Tim Reckmann, Flickr.

Nel 2002, pochi mesi prima delle elezioni e dell’inizio del cancellierato Merkel, il governo tedesco guidato da Schröder aveva deciso di offrire garanzie statali per 1 miliardo di euro ad un prestito concesso da due banche tedesche alla russa Gazprom, azienda di cui Schröder poco tempo dopo, divenne uno dei più importanti lobbisti.

Il 29 settembre del 2017 Schröder è poi divenuto presidente del consiglio di sorveglianza della Rosneft, la maggiore azienda russa operante nel settore petrolifero, controllata direttamente dal Cremlino. Schröder è stato anche uno dei fautori del progetto e della costruzione del criticatissimo gasdotto Nordstream 2, portato a termine ma non divenuto operativo per lo scoppio della guerra.

Merkel e i rapporti speciali con l’ex blocco sovietico

Pur senza avere un rapporto di amicizia personale con Putin, Angela Merkel ha continuato ed anzi intensificato la collaborazione con la Russia nel settore energetico, impegnandosi nella costruzione del Nordsteam 2, nonostante le pesanti critiche di Paesi alleati (Usa e Polonia), e rendendo la Germania fortemente dipendente dalle forniture russe di energia. Tutto ciò nonostante la politica aggressiva e revanscista di Putin, di cui egli stesso non ha mai fatto mistero ed i cui effetti sono al più tardi dal 2008, con l’intervento armato in Siria, sotto gli occhi di tutti.

La politica della Merkel ha avuto come obiettivo principale il perseguimento degli interessi economici dell’industria tedesca subordinandoli, se non identificandoli del tutto, con quelli politici, sicurezza compresa, della Germania. Una tale politica non è certo un’invenzione merkeliana (la quale, a parte qualche bon mot, non ha inventato niente), ma l’espressione del ruolo che la Germania ha fatto proprio in tutto il secondo dopoguerra, cioè di potenza economica centrale in Europa che, per la sua storia e posizione, deve intrattenere rapporti “speciali” con gli Stati del blocco sovietico prima e poi con la Russia emersa dalla fine del socialismo reale.

Da sinistra, Emanuel Macron, Angela Merkel e Vladimir Putin al Forum per la pace di Parigi del novembre 2018. Foto di Paul Kagame, Flickr.

Politica internazionale tedesca o solo libero scambio?

Questa concezione, che ha informato di sé anche la Ostpolitik di Willi Brandt, viene espressa dal motto Wandel durch Annäherung (cambiamento attraverso il riavvicinamento) che in tempi recenti è stato rimpiazzato da un altro motto, più pragmatico, Wandel durch Handeln, cioè “cambiamento attraverso il commercio”.

Ma in questi slogan si ritrovano esemplarmente soprattutto l’ideologia e la speranza neoliberista che, in un mondo ormai apparentemente deideologizzato e globalizzato, la politica estera si riduca a favorire il libero scambio planetario di risorse e merci e che la democrazia si affermi necessariamente, grazie alla diffusione oramai incontrastata del capitalismo.

A 32 anni dalla riunificazione un futuro in crisi

In questa ideologia (in realtà confutata dall’assurgere della Cina a superpotenza industriale e militare), che è stata declinata in modi diversi ma sempre contigui, le élite tedesche degli ultimi decenni hanno trovato la legittimazione ed il consenso popolare per costruire una società basata sulla prosperità economica, su un costoso stato sociale ed un comodo pacifismo, sostenuto naturalmente dalla memoria della catastrofica seconda guerra mondiale, che delegava agli Usa il ruolo di tutore della propria sicurezza internazionale.

Adesso la politica di Putin ha minato alla base le premesse materiali e simboliche del Wandel durch Handeln e la Germania, a 32 anni dalla riunificazione, si è ritrovata da un giorno all’altro in mezzo al guado e senza bussola, economicamente e moralmente impreparata ad affrontare una crisi che pone in discussione la sua identità di potenza economica ed insieme la mette di fronte al fatto di essere sul piano politico e militare (le due cose purtroppo hanno molto in comune) il proverbiale vaso di terracotta costretto a viaggiare in compagnia di vasi di ferro”. Situazione, questa, che l’accomuna a tutti gli Stati europei ed alla stessa Ue.

Media e politica tra appelli surreali e mancato posizionamento

Questo scombussolamento appare evidente nel dibattito politico-mediatico tedesco, segnato da surreali appelli alla “pace” (qualcuno ha consigliato agli ucraini di arrendersi prima possibile), astratte condanne della “guerra” ed altrettanto astratte fughe in avanti (i 100 miliardi di investimenti immediati in armamenti annunciati dal cancelliere Scholz), incertezze e continui ripensamenti sull’entità degli aiuti concreti da fornire all’Ucraina, angoscia per la congiuntura e per un inverno freddo ed addirittura timori (espressi dalla ministra degli esteri Baerbock) di sommosse interne.

I manifesti per le elezioni federali del 2005, il cui esito portò al Primo governo Merkel. Foto di Till Westermayer, Flickr.

Infine, negli ultimi tre mesi, esponenti di Cdu ed Spd hanno cominciato a recitare qualche mea culpa e ad ammettere che nel passato sono stati fatti sbagli, chiamando Gerhard Schröder ed Angela Merkel direttamente in causa. Ma i due ex-cancellieri rimangono fedeli al loro rispettivo personaggio: Schröder non rimpiange niente e va avanti per la sua strada, la Merkel tace o manda messaggi sibillini che, ora come ora, non servono a nulla.

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