L’incanto fonico di Gualtieri, poesia oltre la pagina
L'ultimo libro della poetessa italiana è dedicato alla dimensione orale del verso, grazie al quale far avere notizie “della parte più remota e più viva del nostro essere nella vita”.
L'ultimo libro della poetessa italiana è dedicato alla dimensione orale del verso, grazie al quale far avere notizie “della parte più remota e più viva del nostro essere nella vita”.
Aforismi, così Mariangela Gualtieri definisce i testi della sua ultima pubblicazione L’incanto fonico. L’arte di dire la poesia, uscita nel maggio 2022 per Einaudi nella collana Gli Struzzi diretta da Ernesto Franco.
Il libro, dice l’autrice nell’introduzione, è stato scritto con una necessità: liberare la poesia dai vincoli della pagina scritta e restituirla alla sua dimensione originaria, quella orale. Perché ciò sia ancora possibile è necessario una specie di libretto di istruzioni che renda la poesia, sostiene Gualtieri, una sacra scrittura. L’incanto fonico è questo: una precisa indagine su come si fa la poesia, come si dice la poesia, ad alta voce.
Nata a Cesena nel 1951, Gualtieri è oggi una scrittrice molto apprezzata sulla scena contemporanea. Nel 1983 ha fondato il teatro Valdoca insieme a Cesare Ronconi e ha collaborato, tra gli altri, anche con Carmelo Bene.
Nel 1985, insieme a Milo De Angelis, dà vita a una scuola di poesia che coinvolge autori come Fortini, Luzi, Amelia Rosselli e tanti altri. Nel 1992 pubblica il suo primo libro di poesia, Antenata, presso l’ediore Crocetti.
Si occupa, dal 1992, di poesia e di scrittura teatrale. Ha ottenuto diversi riconoscimenti dalla critica, ricevendo numerosi premi a livello nazionale. Recentemente è stata tradotta in lingua inglese un’antologia di alcune sue poesie dal titolo Beast of joy da Chelsea Editions.
L’incanto fonico è dedicato a Renato Serra, critico letterario morto nel 1915, definito uno dei suoi incontri mancati e a cui già aveva reso omaggio dando voce ad alcune letture serriane nel cortometraggio Confini di Alina Mazzini, presentato in occasione del festival “Innesti 2015, cantiere per ciò che ci rende umani”.
In apertura troviamo una conosciuta poesia di Emily Dickinson, tradotta dall’autrice stessa, sul tema dell’oralità:
“Una parola è spacciata
quando è pronunciata,
qualcuno dice.
Io dico che proprio
quel giorno
comincia la sua vita”.
La parola detta torna alla vita, dunque. Ma qual è l’urgenza di cui ci dice Gualtieri? Quella di far avere notizie al pubblico “della parte più remota e più viva del nostro essere nella vita”. Come se qualcosa della nostra appartenenza a questo mondo si fosse perduta, qualcosa di così importante per la collettività da chiamarsi sacro, qualcosa che la poesia è in grado di smuovere.
Ecco allora la prima regola da seguire: il silenzio. Spazio vuoto di indagine in cui la parola precipita e da cui emerge. Da lì respiro, ritmo e poi suono si mescolano alla parola e vengono lanciate al pubblico, come in una larga e generosa semina.
Con reverenza, scomparendo dietro le parole, chiudendo gli occhi, facendosi tramite di un segreto che può e deve essere ancora di tutti, a memoria.
Mariangela Gualtieri si sofferma molto sull’importanza della memorizzazione della poesia. La poesia va imparata a memoria perché divenga parte di noi, sia nostra voce alleata, “nutrimento sempre a portata di mano”, è un atto di devozione che porta a compimento il rito sonoro. Questi i dettami perché si compia L’incanto fonico.
Il libro è ricco di rimandi a grandi autori e grandi autrici di cui la poetessa, dice, si sente impastata al punto da non riconoscere più una sua personale soglia. Questo ci dice molto sul senso di continuità che Gualtieri sente coi grandi che l’hanno preceduta. Da Amelia Rosselli, con cui sente di avere un grande debito, prende il titolo, omaggiandola. E poi, tra gli altri, Celan, Dante, Rilke, Cristina Campo… In questo libro l’autrice, che si definisce poeta attrice, descrive ciò che da anni fa nelle sue letture ad alta voce e svela i preziosi segreti del suo dire, del suo incanto fonico.
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