Puntuale, come avviene da vent’anni a questa parte, nel terzo weekend di settembre arriva l’appuntamento tradizionale con il Tocatì, la manifestazione che è diventata nel tempo un “classico” veronese e che fa giocare, come si suol dire, grandi e piccini. Da questa sera e fino a domenica la città sarà “invasa”, in senso buono s’intende, da giocatori di tutte le età per dare vita a questa magia che si rinnova nel tempo. Il programma del Festival Internazionale dei Giochi in Strada – che verrà inaugurato ufficialmente questo pomeriggio con la conferenza dedicata al centenario dalla nascita di Mario Lodi con Luciana Bertinato e Gianfranco Staccioli a Santa Maria in Chiavica alle 17 per poi proseguire nella stessa location con la proiezione di “Partire dal bambino” di Vittorio De Seta alle 21 e con gli Amici del Salento e la “Notte della Pizzica a partire dalle 21.30 ai Giardini Plinio Codognato (Piazzetta San Giorgio) – non prevede solo l’utilizzo delle vie e piazze del centro storico di Verona come location ideali per giocare a picce, lippa, s-cianco e via dicendo, ma anche una serie di incontri ed eventi (dalla musica ai convegni su specifiche tematiche legate al gioco) che animeranno per tre giorni e mezzo la città. Ne parliamo con Giuseppe Giacon, vicepresidente dell’Associazione Giochi Antichi, organizzatrice del festival.

Giacon, innanzitutto qual è l’emozione nel celebrare il ventennale della vostra “creatura”?

«I due anni di pandemia ci hanno rafforzato molto dal punto di vista esperienziale. Riuscire a realizzare quelle due edizioni, 2020 e 2021, sia pur con tutte le limitazioni del caso, non era scontato, soprattutto con tantissimi eventi che prima e dopo di noi venivano annullati, uno dopo l’altro. Questi due anni ci hanno “immunizzato” anche rispetto alla capacità di tenuta dal punto di vista mentale, rafforzando il nostro senso di responsabilità.  D’altronde la nostra è una manifestazione che ha nell’abbraccio, nell’incontro, nella socialità una sua caratteristica fondamentale. Il Tocatì è da sempre una festa e la pandemia ci ha fatto capire ancor di più come la nostra sia una vera comunità. Ci ha fatto sentire più vicini alle persone lontane, quelle che non potevano essere con noi e che quest’anno finalmente ritornano a Verona. È stata una vera prova e direi che l’abbiamo superata.»

Quali sono state le tappe di avvicinamento a questo importante appuntamento?

«Quando abbiamo cominciato a pensare all’edizione del ventennale eravamo ancora sotto pandemia e ci si “incontrava” solo online. Abbiamo cominciato, infatti ad avere in quel periodo, era la primavera del 2020, i primi contatti internazionali, a scriverci, a sentirci per progettare questa edizione e ricordo che già allora ci ritrovavamo spesso a pensare “ma è veramente è così? Sono davvero vent’anni che cerchiamo di far giocare una città con la stessa forza ed energia dei primi tempi?”. E la risposta è sempre stata sì. Sono vent’anni che portiamo questa manifestazione nel cuore di Verona e ne siamo particolarmente orgogliosi.»

Quali sono gli ingredienti alla base del successo del Tocatì?

«Quello principale è proprio quell’umanità che è riuscita ad aggregare moltissime persone attorno a un progetto come questo, fuori e dentro la città. Questa per noi è stata una lezione straordinaria. Le cose si possono fare ma per poi per mantenerle vive devi fare un continuo investimento cognitivo ed emotivo. L’abbiamo visto spesso in tanti anni: partendo dal basso si possono costruire luoghi di incontro e farci sentire parte di un progetto unico. Sembrano solo parole, me ne rendo conto, ma poi nel Tocatì si concretizzano puntualmente. Vent’annisono un periodo molto lungo, quasi una generazione completa. Chi era bambino vent’anni fa oggi ci dà una mano come volontario. Per noi vecchietti a volte la fatica del tempo che passa si fa un po’sentire, ma ammetto anche che c’è sempre tantissimo entusiasmo che ci supporta. E in questo progetto ci sono anche figure nuove nel direttivo e nello staff, formato da tantissimi giovani.»

A proposito… quanti sono i volontari che lavorano al festival?

«Quest’anno siamo circa in 200, più il direttivo che, a vario livello, arriva a circa un’altra trentina di persone. Alla prima edizione, ricordo, eravamo giusto trenta persone. All’epoca, mi ricordo, abbiamo lavorato tantissimo, fino alle prime ore del mattino per far trovare tutto pronto all’inaugurazione. Negli anni siamo cresciuti tanto e in alcune edizioni siamo arrivati ad avere fino a 370 volontari, ma ovviamente abbiamo anche imparato ad ottimizzare le risorse e a ridurne il numero allo stretto necessario. È cresciuta l’organizzazione anche nella capacità di valorizzare il singolo volontario per quelle che sono le sue attitudini.»

Vent’anni sono tanti. C’è stato un episodio o qualcuno che vorrebbe ricordare in questo momento?

Il simbolo del Tocatì, ideato e disegnato da Gianni Burato

«Mi piacerebbe ricordare alcune figure che oggi non ci sono più e che vanno assolutamente ricordate per il loro importante contributo dato alla nascita e alla crescita del Tocatì. Penso in particolare a Gianni Pachera e a Gianni Burato, inventore dell’illustrazione che rappresenta il nostro festival. Soci fondatori che in qualche maniera hanno dato una scintilla insieme a tutto quel gruppo che si incontrava nel rione della Carega. La nostra storia storia è quella che nasce da lì. Di episodi, poi, ce ne sono veramente tanti. Ricordo che i primi anni dal pubblico ci arrivava un’energia speciale. La gente aveva capito esattamente quello che stavamo cercando di fare per Verona. Questa risposta me la ricordo come un qualcosa che ci aveva quasi travolto. La nostra era e rimane una dimensione semplice, spontanea, anche se ovviamente pensata e con un’idea forte alla base. Mi ricordo già che nelle prime edizioni, quando ad esempio occupammo piazzetta Chiavica, i veronesi si sorpresero non poco per aver chiuso per la prima volta un pezzo di strada solitamente utilizzato dalle auto, via Trota, facendo impazzire i commercianti e la polizia locale. Ricordo che la piazzetta era piena di persone, c’era un palco con dei musicisti che suonavano. Un anziano ci disse “Mi avete dato una grande emozione”.»

Una delle principali caratteristiche del vostro festival è la riscoperta di alcuni “spazi” cittadini…

«Quando abbiamo pensato per la prima volta al festival abbiamo anche riflettuto a lungo sulla nostra città e quello di cui poteva aver bisogno. In particolare abbiamo sempre sofferto due cose: l’eccessiva “turistizzazione” della città, da una parte, e l’appiattimento e la stereotipizzazione su alcuni temi, come Giulietta e Romeo, il balcone e il mito dell’Amore, dall’altra. Noi non siamo mai partiti con l’idea di promuovere il territorio, ma, al contrario, di organizzare un evento dedicato agli abitanti di Verona. E nonostante negli anni siano in molti coloro che hanno cominciato a venire a Verona proprio in occasione del Tocatì, non abbiamo mai tradito questa nostra idea. Alcuni spazi li avevamo già recuperati e pedonalizzati in occasione delle prime edizioni, ma poi pian piano abbiamo cominciato a portare la manifestazione anche in altre zone della città meno conosciute o utilizzate, come piazzetta Pescheria, via Sottoriva, la Giarina, lo stesso Lungadige San Giorgio. Penso anche a operazioni più recenti come quelle relative a Riva San Lorenzo o alcuni “pezzi” di Filippini. Abbiamo nel tempo aperto alla città alcuni palazzi in dialogo con la Diocesi e molto altro.»

Da dove nasce l’idea di allargarvi ai “giochi” stranieri?

«Abbiamo pensato che non potevamo stare solo “dentro la città di Verona” perché era l’altro elemento che soffrivamo tantissimo. Una città, la nostra, che a volte risulta troppo ripiegata su se stessa, troppo autoreferenziale. E lo diciamo da veronesi. Questa era l’altra cosa che volevamo in qualche modo provare a scardinare: uscire, cioè, dal cliché della città piccola e provinciale. Il tentativo, almeno, è sempre stato quello. Per noi non esiste un gioco migliore degli altri o una tradizione più pura degli altri. La salvaguardia a volte ti impone anche degli stravolgimenti. Quello è stato un passaggio fondamentale per aprirci non solo al resto d’Italia, ma anche all’Europa e al mondo intero. L’idea era quella di portare quel mondo dentro la città, facendola giocare. Questa dimensione internazionale peraltro, quando dialoghiamo con il territorio e le varie realtà locali, ci dona forza. Anche nei momenti più difficili, e in vent’anni ce ne sono stati, cerchiamo di ragionare sempre in un’ottica comunitaria, tenendo sempre ben presente quali sono i nostri orizzonti.»

Il Tocatì, però, sta affrontando anche seri problemi finanziari. Come mai?

«Penso che la nostra sia una situazione che possiamo tranquillamente inserire nel contesto generale, che giorno in giorno, di ora in ora, sta sempre più interessando il tessuto economico e sociale. Il Tocatì in questo senso non fa eccezione ed è un po’ lo specchio di quello che ci sta accadendo intorno. La fragilità che soffriamo è quella di tutta una serie di partner sostenitori, che sono in difficoltà e che loro malgrado non ce la fanno più ad affiancarci finanziariamente nell’organizzazione dell’evento. È chiaro che una manifestazione come questa, che per vent’anni non ha mai chiesto nemmeno un euro al cittadino ed senza barriere economiche, ci ha sempre concesso pochi margini di recupero. Comunque ora siamo molto sereni da questo punto di vista. Abbiamo aperto un dialogo franco con tutte le realtà e le istituzioni perché si trovi una soluzione.»

Un grande merito del Tocatì è quello di essere diventato un luogo di dibattito per parlare periodicamente di un male del nostro tempo, che interessa purtroppo tante persone: le azzardopatie.

«Più che un merito lo ritengo un dovere per una realtà come la nostra che si occupa di gioco. Che, lo ricordo, non è solo quello tradizionale. Per noi questo è un tema molto sentito. L’azzardopatia innesca drammi sociali importanti e ad essa sono legati fenomeni di criminalità organizzata pesantissimi. È una malattia che si sta diffondendo e che non si riesce ad arginare. È doveroso per noi essere in prima linea per sensibilizzare la cittadinanza su questi temi. In questo senso penso che un lavoro importante andrebbe fatto all’interno degli ambienti scolastici e sulle fasce più deboli, anche se ricordo che l’azzardopatia tocca tutte le fasce sociali.»

Comunque vada quella che sta per iniziare sarà per voi un’edizione da ricordare…

«Sì, anche perché a Verona arrivano 80 delegati da tutta Europa per l’assemblea dell’AEJST (Associazione europea degli sport e giochi tradizionali, ndr), la più importante organizzazione internazionale che si occupa di gioco, che si tiene per la prima volta a Verona. Sarà un evento nell’evento. Sabato mattina ci ritroveremo in Gran Guardia e ci saranno rappresentanti da tutto il continente e non solo, dall’Islanda alla Tunisia, per parlare di diverse tematiche legate ovviamente al gioco. Il giorno prima, venerdì, ci sarà anche un altro simposio al Bastione delle Maddalene con tutti i soggetti che sostengono la candidatura del Tocatì a buona pratica presso l’Unesco e la cui dichiarazione avverrà, se ci sarà, a Rabat, in Marocco, ai primi di dicembre.»

Buon Tocatì a lei e ai veronesi, insomma…

«Siamo felici. Per vent’anni abbiamo fatto giocare liberamente e gratuitamente persone che arrivano a Verona da ogni parte dell’Europa e del mondo. Siamo una grande comunità, che dopo la pandemia torna a riprendersi gli spazi cittadini, anche se sempre con grande attenzione ovviamente. Ognuno gioca come meglio sa e pensa e il Tocatì, secondo noi, crea una magia senza eguali.»

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