Il 19 luglio in Italia ricorre l’anniversario dell’omicidio di uno dei suoi più importanti eroi antimafia: il magistrato siciliano Paolo Borsellino, che venne ucciso in questo giorno nel 1992, trent’anni fa esatti, insieme a cinque membri della sua scorta di polizia nella cosiddetta “strage di via D’Amelio”, che seguiva di poche settimane quella di Capaci. Il 23 maggio dello stesso anno, infatti, nel comune di Capaci un’enorme quantità di tritolo aveva ucciso l’altro storico magistrato antimafia, Giovanni Falcone, insieme alla moglie Francesca Morvillo e tre uomini della loro scorta. Un colpo durissimo ed eclatante che la Cupola volle infliggere allo Stato e in particolare a chi si batteva contro di lei.

Falcone e Borsellino

Borsellino e Falcone sono state due delle figure più importanti della lotta italiana contro la mafia e la loro morte ha contribuito a renderli un simbolo di integrità e onestà, oltre che una fonte di ispirazione per tutti coloro che si sforzano di combattere la piaga della criminalità organizzata in Italia. Entrambi facevano parte del Pool Antimafia di Palermo, un gruppo ristretto di magistrati istituito appositamente per indagare sulla mafia siciliana e le sue connessioni con il tessuto economico e politico italiano, allo scopo di condividere informazioni e rendere più efficace la lotta, da una parte, ed evitare che un inquirente diventasse l’unico obiettivo della mafia, dall’altra.

La mafia ha minacciato, aggredito e ucciso magistrati e i membri del Pool hanno vissuto sotto costante sorveglianza della polizia. Protezione che purtroppo si è spesso rivelata inefficace. Il 19 luglio 1992, una domenica, Borsellino iniziò la giornata con la famiglia, nella sua residenza estiva fuori Palermo. Dopo pranzo, il magistrato venne condotto in via D’Amelio, a Palermo, per incontrare la madre, scortato da due auto della polizia. Alle 16:58, quando Paolo Borsellino scese dalla sua auto e suonò al citofono della madre un’auto parcheggiata nella stessa via e carica di tritolo venne fatta esplodere da una “mano invisibile”.

La deflagrazione fu udita a chilometri di distanza. La quantità di esplosivo era, come peraltro nel caso di Capaci, esagerata, proprio per lanciare un messaggio di potenza e ferocia senza eguali.

Il magistrato rimase ucciso insieme a cinque dei sei poliziotti che lavoravano per proteggerlo quel giorno: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Antonino Vullo, il sesto membro della scorta, sopravvisse solo grazie al fatto che stava parcheggiando un’auto al momento dell’esplosione.

L’agenda rossa

A Borsellino furono offerti i funerali di Stato, ma la vedova Agnese li rifiutò e, anzi, accusò il Governo (all’epoca presieduto, da poche settimane, da Giuliano Amato) di non aver protetto nel modo adeguato il marito, soprattutto dopo quanto successo all’amico Falcone. Anzi, chiese che nessun politico partecipasse al funerale, celebrato in forma privata.

Da allora, ogni anno, il 19 luglio, si ricorda giustamente l’enorme figura di Borsellino, la cui vicenda è stata raccontata anche in numerosi film e fiction, non sempre efficaci nel rendere l’umanità e il coraggio di quel manipolo di magistrati. Nonostante le indagini e le inchieste, rimangono ancora oggi pesanti interrogativi sui mandanti della strage e sulle eventuali complicità dei Servizi Segreti o addirittura di alcuni importanti uomini politici dell’epoca.

In numerose inchieste si è parlato anche del famigerato “Corvo” del Palazzo di Giustizia di Palermo, un magistrato che avrebbe informato la Cupola mafiosa degli sviluppi delle indagini e dei movimenti dei membri del Pool e di cui gli stessi Falcone e Borsellino sospettavano l’esistenza.

Sulla vicenda di Borsellino, in particolare, suscita particolare inquietudine la scomparsa dalla scena del crimine della famosa “agenda rossa”, su cui il magistrato annotava tutti i suoi appunti nell’ambito delle sue inchieste e che non venne mai più ritrovata. Chi l’ha fatta scomparire e perché?

L’inchiesta sulla strage, peraltro, è stata a sua volta spesso ostacolata anche da testimonianze non attendibili di pseudo-pentiti, che hanno fatto di tutto per depistare le indagini. In una lettera aperta pubblicata dal quotidiano “La Repubblica” nel 2018, la figlia di Paolo Borsellino, Fiammetta, pose tredici domande aperte sulla morte del padre e degli uomini della scorta, tra cui proprio la questione dell’agenda mai ritrovata e del perché la sua protezione della polizia non è stata aumentata a seguito di simili omicidi.

La reazione dello Stato

La reazione dello Stato nei mesi successivi a quegli eventi fu rabbiosa, con gli arresti in rapida sequenza dei vari Brusca, Provenzano e Riina, morto nel 2017 e che venne indicato come colui che aveva ordinato le stragi. Erano membri del clan dei Corleonesi che di fatto aveva da qualche tempo preso in mano le redini della Mafia e cambiato la strategia di approccio, portandola da silenziosa e omertosa a stragista e sanguinaria. Furono pochi anni di terrore (l’anno successivo, nel 1993, ci furono altre bombe e morti causati dalla mafia) ma che rimangono ancora oggi ben scolpiti nell’immaginario collettivo della nostra nazione.

Così come rimane scolpita nell’immaginario collettivo anche la celebre foto di Falcone e Borsellino, sorridenti e seduti uno accanto. I due magistrati hanno sacrificato la propria vita per un bene più alto, collettivo, e se vale la pena ricordarli ancora oggi a distanza di trenta (ma anche di quaranta, cinquanta e cento) anni è proprio perché il loro esempio e il loro coraggio possono e devono sempre essere una sorta di “stella polare” per le giovani generazioni e in generale per chiunque voglia indirizzare la propria vita secondo i principi della legalità, della libertà e della giustizia.

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