Estate tra le pagine
Sei libri per altrettanti autori e autrici: tra sentimenti, impegno sociale, marginalità, ecco diverse proposte di lettura per le prossime settimane. E non mancano le firme veronesi.
Sei libri per altrettanti autori e autrici: tra sentimenti, impegno sociale, marginalità, ecco diverse proposte di lettura per le prossime settimane. E non mancano le firme veronesi.
Leggere d’estate sembra più semplice perché i libri si portano in vacanza e assecondano quegli inevitabili momenti di noia da tempo libero. Quindi su lettrici e lettori, abituali o improvvisati, si riversano piogge di consigli, suggerimenti, suggestioni di lettura. Anche noi non vogliamo essere da meno.
Cominciamo con Oh William! (Einaudi 2022) grazie al quale torna a intrattenerci Elizabeth Strout e ritroviamo Lucy Barton, già presente in altri libri dell’autrice (Mi chiamo Lucy Barton, Einaudi, 2016), la quale ama ripescare i suoi personaggi in nuovi libri e continuare le storie mostrandoli in momenti diversi della loro vita.
É accaduto con Olive Kitteridge (Premio Pulitzer 2009) il cui sequel è Olive ancora lei (Einaudi, 2020), che richiama I fratelli Burgess (Fazi, 2013) anche trovati in Tutto è possibile (Einaudi, 2017).
Strout ambienta le sue storie prevalentemente nel Maine, o nella provincia americana, in quelle cittadine con pochi abitanti, dove si conoscono tutti, o credono di conoscersi. Sembra che non succeda mai niente, invece ci sono abissi di solitudine tra degrado sociale, promesse mancate, infanzie difficili.
Invece in questo libro Lucy Barton, ormai scrittrice affermata, vedova, con due figlie adulte, vive da molti anni a New York. Per svariati motivi, guarda all’ex marito con un occhio più indulgente. Lui, che l’ha sempre tradita, avverte nondimeno la necessità di una vicinanza a lei e il romanzo racconta l’inesplicabilità del rapporto d’amore, il suo lasciare un segno anche quando non sussiste più.
La treccia alla francese di Anne Tyler (Guanda, 2022) indaga la famiglia nella complessità del suo divenire. Quando i figli se ne vanno, il nido resta vuoto, cambiano le esigenze di tutti i familiari e c’è sempre qualcuno che soffre di più.
Tyler sa scrivere senza cadere nel sentimentalismo, con un tratto di delicatezza che le permette di andare oltre la crosta delle apparenze, presentando anche personaggi eccentrici sempre con la sua voce discreta.
Pur avendo vinto il Premio Pulitzer nel 1989 con Lezioni di respiro (Guanda, 1990), l’autrice statunitense non ama la ribalta, non rilascia interviste e non promuove i suoi libri, eppure è una delle più lette del suo Paese.
Questo suo ultimo romanzo non è meno intrigante e coinvolgente degli altri. Il titolo, tradotto fedelmente dall’inglese French braid, appare quasi stravagante, ma il mistero viene svelato a pagina 320 con una similitudine facilmente condivisibile.
Tante donne diverse, fragili o determinate, in qualche misura resilienti in Il rosmarino non capisce l’inverno (Einaudi, 2022) di Matteo Bussola. Un coro di voci legate da un filo che si coglie solo alla fine, ogni voce di donna resiste, a suo modo, alla vita, proprio come il rosmarino, pianta robusta che non cede mai al freddo o all’incuria o al luogo sbagliato in cui si trova.
Bussola pare “disegnare” queste donne con stupore e persino ammirazione in un libro che si annuncia godibile già dalla copertina, opera sua.
Margherita, Aurora, Teresa, Sara, Alma e le altre hanno i problemi di tanti, ma leggere le loro storie aiuta a non dimenticarli, a riflettere, e forse questa era l’idea dell’autore.
Sembra, a tratti, una sorta di risarcimento perché squarcia un velo sui dubbi che accompagnano sempre le scelte delle donne, abituate (obbligate?) a decidere chi e come essere rinunciando sovente a qualcosa.
D’estate si leggono volentieri i “gialli”, coinvolgono e poi si chiudono risolvendo il problema e lasciando in chi legge un senso di compiutezza gratificante.
Forse non possiamo affermarlo per La cattiva strada (Piemme, 2022) di Paola Barbato che invece scuote le nostre certezze spingendoci a pensare alla marginalità sociale, ai problemi di precarietà che comporta, come l’esposizione al ricatto dei più forti e alle dipendenze più gravi.
Senza una sbavatura, sempre coerente con le premesse, Barbato coinvolge in una trama complessa che si indovina essere molto documentata.
Il protagonista non è esattamente una persona di successo e ispira tenerezza, inanellando azioni maldestre in una situazione già border line sul piano della legalità.
E così lo si segue in una maratona autostradale notturna, tra deserti autogrill, vietate inversioni di marcia e pericolosissimi attraversamenti di corsia a piedi, in fuga.
Molti soggetti entrano in scena, ognuno con il suo obiettivo: la polizia, nelle sue diverse ubicazioni, dei malfattori reali o presunti, la donna sognata, l’amico su cui si può contare. C’è un mondo notturno che non si sospetta e molto lavoro di indagine da parte di chi di dovere.
Ma una percezione confusa dei problemi e un’innata insicurezza portano Giosciua Gambelli ad un crescendo di difficoltà che generano un costo molto elevato quanto a vita e libertà.
Se si preferiscono testi con un fondamento storico, un’accurata ricostruzione dei fatti in un coté romanzesco, quello di Ilaria Tuti, Come vento cucito alla terra, (Longanesi, 2022) risponde in pieno.
L’autrice, già in Fiore di roccia (Longanesi, 2020), ha fatto conoscere figure femminili importanti, taciute dalla storia ufficiale. In esso Tuti racconta del ruolo avuto da alcune donne, durante la Grande Guerra, nel portare al fronte viveri, medicine e munizioni, attraversando la neve delle montagne più alte, con fatica ed equipaggiamento sommario.
In questo suo ultimo romanzo, Tuti narra la vicenda delle prime mediche chirurghe inglesi, boicottate negli ospedali in quanto donne, allora decise a lavorare in un ospedale di guerra in Francia, nel 1914.
La fatica di farsi accettare per le loro competenze è pari alla difficoltà di operare in una situazione di grande precarietà e pericolo, con mezzi insufficienti.
Insieme alle cure mediche quelle pioniere riescono a portare umanità e speranza e l’autrice ricorda a tutti la loro impresa salvandola dall’oblio del tempo.
Domenico Starnone in Vita mortale e immortale della bambina di Milano (Einaudi, 2022), scrive ancora di bambini, come già in Scherzetto (Einaudi, 2017), e lo fa usando una penna particolarmente delicata perché intinta nella sua memoria, grazie alla quale fa emergere anche un ritratto indimenticabile della nonna.
C’è un bambino, destinato a grandi cose, almeno secondo l’occhio amorevole della nonna, che subisce il fascino della bellezza, del garbo e persino della lingua, di una bambina osservata dalla finestra e avvicinata solo una volta, per caso. La sua fantasia, peraltro funestata da pensieri contrastanti, si allarga a immaginare un legame con lei, le attribuisce un’origine geografica e ne fa un simbolo di riferimento.
Poi il tempo passa e il bambino cresce e con i successi e insuccessi scolastici, persino la nonna, illetterata com’è, diventa necessaria per preparare un esame universitario.
Romanzo di formazione? Forse, ma non solo. Questo libro è di piccole dimensioni, come piccola di statura era la nonna, Anna Di Lorenzo, mai chiamata così in casa. «Il suo nome, per le numerose sorelle, era Nannì – racconta l’autore -, per mia mamma mammà, per mio padre suocera, per noi quattro nipoti maschi nonnà, proprio così, con l’accento sulla a. Nonnà era un grido esigente, un imperativo infastidito».
Starnone ci consegna un libro intenso, profondo, costruito sulla «fragilità della parola» a suo dire, sempre perfettibile e vulnerabile, come i sentimenti.
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