Baby gang che spadroneggiano sulle strade italiane. Le periferie in mano a giovani violenti (spesso italiani di seconda generazione). La “bomba sociale” – come l’ha chiamata qualcuno – sta per esplodere. Commercianti e cittadini preoccupati: dai sobborghi di metropoli come Milano, le orde di delinquenti – con le loro feste, i riti e i tam tam sui social media – sembrano invaderci.

È il risultato, inevitabile, dell’immigrazione incontrollata, sentenzia il solito politico che si mette a vestire i panni del sociologo. I giornali quotidiani, intanto, vi dedicano paginate, titoli, testimonianze. “Ecco il risultato del multiculturalismo”, portano a pensare. Intanto, le elezioni – fra un mese o fra un anno, tanto in Italia si va spesso a votare – sono in vista. E con la paura, si sa, il popolo vota per la sicurezza e per chi governa e/o promette ordine e disciplina.

Facciamo un salto all’indietro. E spostiamoci da un’altra parte. Siamo poco oltre la metà del Settecento. Una serie di rapine allarma la popolazione di Colchester, nel sudest dell’Inghilterra. Colchester è una città che oggi conta 121 mila abitanti. Fino alla metà del Settecento, i due giornali locali davano notizia soltanto di qualche rapina l’anno. Niente di più. Una comunità tranquilla, tutto sommato.

Nel 1765 qualcosa di maledettamente grave accade in città. Nel novembre di quell’anno il Chelmsford Chronicle pubblica la notizia di una serie di rapine che mettono a rischio la città. Per un mese il panico avvolge e sconquassa la comunità: gli agricoltori si muovono in gruppo per timore di essere assaliti; i politici assicurano interventi pesanti contro le gang che tengono in scacco la popolazione; i cittadini si armano e vengono promesse ricompense a chi aiuta a catturare i rapinatori. Si potenzia l’illuminazione pubblica. Vengono arrestati molti immigrati (innocenti) solo perché indossano il grembiule bianco attribuito ai delinquenti che hanno messo a ferro e fuoco Colchester.

Passa un mese. A metà dicembre del 1765, Colchester torna a essere una città tranquilla: una serie di articoli del Chelmsford Chronicle prepara il ritorno alla pace sociale. Dà notizia delle contromisure prese dalle autorità; riporta il processo a un arrestato per rapina e portato davanti a una Corte di giustizia; e rivela che il resto dei delinquenti sono stati dispersi. “I nemici e questa peste della società”, per usare le parole del quotidiano inglese, non sono più un pericolo.

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Giovani diavoli: la teoria su “folk devils and moral panics”

Quello di Colchester, nell’autunno del 1765, è solo il primo di una serie di casi trattati dagli studiosi britannici che si occupano del rapporto fra crimine, giustizia e media. Ovvero, di come i giornali – e le loro derivazioni radiofoniche e televisive – trattano il tema della criminalità, soprattutto giovanile.

La teoria più nota è quella elaborata da Stanley Cohen, con il suo libro Folk devils and moral panics, nel 1972. La teoria spiega la sensazione diffusa di paura, spesso irrazionale, che qualche persona o cosa malvagia minacci i valori, gli interessi o il benessere di una comunità o società. Si mette così in modo un processo che causa preoccupazione sociale (e politica) su una certa questione.

Questo processo di terrore diffuso vede come attori cinque soggetti:

  • gli “imprenditori della paura”, ovvero un’organizzazione che lancia un allarme (fondato o meno che sia), esagerandolo e strumentalizzandolo per un qualche fine;
  • le forze di polizia, che intervengono sotto la martellante richiesta di politici e cittadini allarmati;
  • i politici che promettono impegno, interventi, soluzioni di solito mirate e restringere gli spazi di libertà, le garanzie democratiche, senza risolvere il problema;
  • i media, che si fanno (consapevoli o meno) strumenti formidabili del clima di paura;
  • i cittadini, in ansia per la loro sicurezza, anche quando niente di ciò che hanno rischia qualcosa

I “diavoli popolari” fungono da capri espiatori e hanno il ruolo – assegnato da altri – di seminare il panico: essi sono di volta in volta giovani, stranieri, persone in qualche modo “diverse”. Di sicuro, sono gruppi che non hanno potere. Sono gruppi che possono essere devianti e commettere davvero atti illegali o addirittura criminali; oppure sono gruppi innocui che possono essere percepiti come pericolosi. In ogni caso, sono presentati come una minaccia ai valori e agli interessi della società.

I problemi denunciati, gli atti di illegalità o le situazioni di pericolo – va chiarito – possono essere reali. Non è detto che, grazie ai cinque attori del panico morale, siamo di fronte a un’allucinazione collettiva. Può essere tutto vero. Il problema sta nel voler risolvere il problema. O nel volerlo solo cavalcare.

Di due dati di fatto, tuttavia, possiamo essere certi:

  • gli imprenditori della paura, i politici e i media si guarderanno bene (per ignoranza o convenienza) dall’andare alla radice dei problemi;
  • le scelte trovate saranno repressive verso un angolo debole della società e non porteranno ad alcuna vera soluzione

Il problema delle baby gang – per dirla chiara – non sarà mai risolto. Perché non è interesse di nessuno affrontarlo in modo approfondito: non è interesse di nessuno (fra imprenditori della paura, politici del potere e media legati al mondo politico) denunciare le ingiustizie sociali; ottenere interventi efficaci sul piano della prevenzione del disagio giovanile; analizzare i fenomeni con la consulenza degli esperti e porre soluzioni efficaci.

Va poi fatto notare che – in alcuni contesti – l’illegalità, quindi anche le baby gang, ha la stessa utilità del terrorismo e della grande criminalità: si tratta di armi che possono essere utilizzate – come dimostra la storia della strategia della tensione in Italia – per ottenere un qualche tipo di vantaggio. A perderci sono solo i più deboli, i cittadini che non partecipano al ballo delle élite, gli imprenditori che subiscono i danni, i giovani che sono lasciati ai margini della società.

I fatti, le notizie e le scelte dei media

Quale ruolo hanno i media nel rappresentarci i giovani? Direi che è un ruolo fondamentale. Leggiamo spesso inchieste sul malessere giovanile? Sui problemi dei giovani? Sulla precarietà e le ingiustizie di cui sono vittime? Assai di rado. I giovani fanno notizia quando commettono atti illegali o che non piacciono ai benpensanti.

Del resto, sui criteri con cui noi giornalisti ricerchiamo, lavoriamo e pubblichiamo le notizie, vi sarebbe molto da dire. Basta un solo esempio: l’evasione fiscale fa notizia sui giornali? No. Eppure è un furto che ci priva delle risorse per la scuola, la sanità, le politiche giovanili, per la sicurezza pubblica, per la difesa della Patria, per la ricerca scientifica e per sostenere le imprese in difficoltà e le famiglia meno abbienti.

L’evasione fiscale (oltre 100 miliardi di euro l’anno) in Italia è uno dei tre grandi problemi. Gli altri due sono la criminalità organizzata (le mafie) e la corruzione in atti pubblici. I tre fenomeni sono legati: evasione, criminalità e corruzione. I tre fenomeni ci avvelenano la vita da decenni: con anche solo un terzo dell’evasione fiscale; con un taglio a metà di criminalità organizzata e corruzione potremmo risolvere la maggior parte dei problemi del nostro Paese. Detto in soldoni, potremmo pagare la benzina 1,3 euro al litro; fare le pernacchie ai costi del gas; vivere in modo sereno, serviti e riveriti da personale assai ben pagato nei servizi e nei luoghi di lavoro.

Patiremo mai il panico morale per atti di evasione fiscale o corruzione? Avremo mai folk devils ben individuati in chi frega il fisco oppure gestisce gli appalti delle mafie? Ogni tanto leggiamo, quasi come nota di costume, di un qualche nome importante indagato per frode fiscale. Ogni tanto sentiamo dell’arresto di un boss mafioso; o di qualche politico o funzionario pubblico in manette per corruzione. Niente di allarmante. Niente che turbi i sonni di nessuno. Eppure quasi tutti i nostri problemi nascono da evasori, criminali delle mafie e corrotti.

Il sistema dei media è da sempre poco attento ai problemi dei giovani

I giovani, criminalizzati o ignorati

I giovani sono criminalizzati, quando i media li presentano come appartenenti alle baby gang. Oppure sono ignorati, che è quasi peggio che essere additati come pericolo pubblico. Come insegna Paul Watzlawick, grande esperto di comunicazione, la “disconferma” (“tu non esisti”) è peggio dell’essere rifiutati.

Dei giovani – baby gang a parte – si parla sui media quando si riportano le affermazioni sul reddito di cittadinanza: secondo alcuni imprenditori, poco attenti e rispettosi verso i loro collaboratori e collaboratrici, non si troverebbero lavoratori perché i giovani preferiscono il fankazzismo e il reddito di cittadinanza. Non si dice nulla di quanto siano sfruttati, i giovani; di quanto siano pagati male; di quanto siano appesi all’incertezza di contratti a termine che li tengono in scacco e impediscono loro di progettare una vita.

La scuola, da parte sua, è progettata e organizzata sulle esigenze degli adulti e di coloro che sono arrivati alle loro ottime posizioni. Come fa notare un illustre educatore, Sir Ken Robinson, tutto il percorso scolastico è in funzione dell’organizzazione universitaria. Possiamo aggiungere che i ridondanti programmi scolastici sembrano ritagliati sugli interessi delle varie discipline, sul creare posti di insegnamento, sul produrre libri e libri e libri che nessuno leggerà per intero. Insomma, anche la scuola pensa a tutto, tranne che ai suoi giovani.

Abbiamo martellanti campagne dei media sulla scuola e sullo sfruttamento dei giovani? Troviamo panico morale e folk devils su questi punti? Eppure, il lavoro e la formazione e l’educazione sono la base per il futuro di una comunità. E il futuro si costruisce sulle gambe, i cuori e le menti dei giovani. Oltre che sulla saggezza e l’esperienza degli adulti. Niente: giovani, scuola e lavoro, sfruttamento e ingiustizie sociali non fanno notizia. Si pensa solo alle baby gang, facendo spesso ironia razzista da marciapiede.

I social media visti come alleati delle baby gang

Tra i folk devils ogni tanto vengono additati anche i social media. Un tempo era Facebook. Ora tocca a Tik Tok, che tra l’altro è uno stupendo strumento – per il suo tipo di linguaggio – che fa gli sberleffi al Potere; che si prende gioco delle persone dabbene; che graffia i persuasori occulti. I social media sono presentati dai mass media – quasi una forma di invidia – come alleati delle baby gang. Tanto che i mass media ti fan pensare: se non ci fossero i social media, non ci sarebbero i raduni a base di musica con alcol e droghe; e non ci sarebbero le baby gang.

Che i social media possano farsi alleati di comportamenti e organizzazioni devianti, è di per sé evidente. Tutti i media possono essere alleati dei pericoli di una comunità. I social media sono però anche quelli che consentono di intervenire in situazioni di pericolo; che permettono di meglio conoscere le persone e le loro esigenze; che migliorano, se ben utilizzati, l’offerta di prodotti e servizi.

I social media vengono messi sotto accusa perché usati dai giovani

Giovani devianti: l’immigrazione e l’imprenditoria della paura

Giovani delle baby gang, immigrazione, paura. Il tutto a poche settimane o pochi giorni dalle elezioni. Tutto un caso? Penso proprio di no. La storia della strategia della tensione e del terrorismo – nero e rosso – ci hanno insegnato i tempi, i modi e gli obiettivi degli imprenditori della paura. Qualche eccellente giornalista investigativo, ha pure identificato alcuni dei mandanti internazionali (e i loro obiettivi) della strategia della tensione.

L’immigrazione e la diversità da sempre ci impauriscono, del resto. Tutto normale, sin qui. Non è che i nostri antenati delle caverne – ci fa notare Milton J. Bennett, studioso di comunicazione interculturale – accogliessero come benvenuti gli estranei che si fossero avvicinati, specie se di sera e al buio, ai loro fuochi e ai loro gruppi. Un conto è una sana diffidenza verso la diversità: il percorso dall’estraneità alla conoscenza, al dialogo e all’accoglienza ha un suo significato.

Diverso è invece agitare l’immigrazione come arma per una lotta politica che dietro di sé nasconde solo affari e interessi. Cosa di più interessante, per gli imprenditori della paura, di giovani stranieri riuniti in baby gang? Quale migliore esempio di caccia all’untore, se non quello di ragazzi marocchini che importunano ragazze “bianche”, le molestano o le impauriscono?

Sia chiaro, ogni atto illegale va punito. Il rispetto verso la persona – sia essa donna, ragazza, uomo, giovane, anziano – è fra i valori della nostra Costituzione nata dalla lotta al nazifascismo. Proprio perché l’illegalità va punita, serve allora un lavoro di prevenzione, di educazione, di studio dei problemi e di azioni per risolverli. La prevenzione costa assai meno, in tutti i settori, della repressione e dei costi dei danni procurati dall’infrazione delle regole.

Abbiamo una grande tradizione nelle scienze sociali. Eccellenti esperti in psicologia sociale, sociologia, pedagogia. Ci sono tutti gli strumenti per prevenire i conflitti sociali. Basta soltanto volerlo. Certo, se risolviamo i problemi, spuntiamo le armi a chi li cavalca e ne trae guadagno. Senza contare che, dati gli scarsi studi in proposito, giornalisti e conduttori di talk show sanno assai poco di scienze sociali.

Continuare, poi, ad agitare lo spettro dell’immigrazione come causa di tutti i problemi ormai non impressiona, né convince, nessuno. Chi va a lavorare al posto dei cittadini stranieri? Chi copre i posti che – per poca voglia di lavori manuali e per un calo demografico allarmante – in Italia non riusciamo a coprire in tante aziende?

Come insegna Marzio Barbagli, sociologo che si è occupato di immigrazione e criminalità, ogni Paese ha l’immigrazione che sceglie di avere. Le classi dirigenti in Italia non si sono mai poste il problema di un piano per l’immigrazione. Ti pare che si preoccupino delle seconde generazioni di persone di origine straniera, che al pari di tutte le giovani generazioni sono quelle che più sfidano certezze, ipocrisie e assetti di una società?

Il tema viene lasciato alla tanta buona volontà di operatori sociali, di educatori, di insegnanti e di imprenditori che si fanno carico del problema e della risorsa immigrazione. Gli “imprenditori della paura” (i fannulloni del razzismo) si ricordano dell’immigrazione – e con loro i media – quando gli fa comodo. Almeno la mera repressione servisse a qualcosa: allontana i problemi, ignora le cause, tiene le tensioni in caldo per la prossima scadenza elettorale.

La soluzione è tuttavia semplice: prevenzione, intervento sulle cause, educazione e rispetto della legge. Fare rispettare l’ordine è l’esatto contrario del criminalizzare: nel primo caso, la ricetta funziona; nel secondo caso, tutto resta come prima.

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La paura è uno strumento di lotta politica e di vantaggio economico

Il valore della legalità: il crimine, le regole, la prevenzione

Sulla legalità e sul crimine credo sia necessario fare qualche precisazione. Come ci ricorda il professor David Canter, padre della Psicologia Investigativa, che ho avuto l’onore di conoscere e intervistare sul caso giudiziario Sutter-Bozano, quand’è che abbiamo un atto criminale? Quando si viola una legge penale. Senza legge penale, non c’è crimine. Elementare, Watson.

In Italia un evasore fiscale tra un po’ lo facciamo santo. Di sicuro non lo consideriamo un pericoloso delinquente. Negli Stati Uniti, la pensano diversamente: se rubi al fisco, sei un delinquente, sei un ladro. In Gran Bretagna, una signora di 73 anni è stata condannata a sette giorni di prigione, nel 2005, per essersi rifiutata di pagare l’equivalente di 800 euro di tassa municipale. Neppure imposta statale, proprio tassa comunale. Con grande clamore sui media. Nessuno dei media italiani, invece, tematizza l’evasione fiscale che crea problemi ai Comuni. Giusto per comprendere come il criminalizzare dipenda dalla cultura e dalle rappresentazioni mediatiche.

Detto questo sul crimine e le leggi, va anche detto che le moderne forze di polizia non ci stanno a fare la parte dei manganellatori. Così come ai militari italiani non gli va di andare ad ammazzare altre persone. Il mestiere di poliziotto (o carabiniere o guardia di finanza o vigile urbano) e quello di soldato è, Costituzione alla mano, di assicurare la sicurezza. Il massimo per un poliziotto è lo stesso massimo per un medico al pronto soccorso: intervenire il meno possibile. Perché prevenire è meglio che curare.

La domanda che mi sento di fare, allora, è questa: perché i media non si pongono come facilitatori della legalità? piuttosto che come propagandisti del panico morale? I media di massa – a partire dai giornali e dalle loro professionalità – potrebbero dare voce agli esperti e agli studiosi: ci sono tutte le tecniche possibili, a livello psicologico e di relazione fra persone e gruppi, per gestire i conflitti. E per mediare là dove vi sono interessi in conflitto. Le tecniche ci sono. Gli specialisti ci sono. Eppure nessuno se ne cura, i media meno degli altri. Perché? Per ignoranza? Perché distratti da altro? Perché funzionali a certuni interessi?

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I giovani sono spesso presentati dai media come diavoli sociali

Baby gang e vecchi che dimenticano

I giovani sono, da sempre, giudicati con severità dagli adulti e dagli anziani. Ne troviamo un’interessante conferma nel libro di Stanley Cohen, citato prima, sui folk devils e il panico morale. L’evento che studia Cohen accade negli anni sessanta in una località turistica nel sud della Gran Bretagna: un ambiente, se vogliamo, simile ai fatti accaduti nel basso lago di Garda, a inizio di giugno 2022. In quella zona della Gran Bretagna si fronteggiarono due gruppi di motociclisti: i Mods e i Rockers. Danni a negozi e ristoranti. Centinaia di arresti. Droga e alcol a fiumi.

Ebbene, intervistati anni dopo su fatti analoghi che avevano suscitato l’allarme dei media, alcuni anziani che si lamentavano della violenza minorile, si sono ritrovati impantanati, senza volerlo: proprio loro, gli anziani, che inveivano contro i giovani devianti, al tempo dei Mods e dei Rockers avevano fatto parte di una di quelle bande. Un po’ come quei militanti di estrema sinistra, in eskimo, e di estrema destra, nero fumo, che ora ritroviamo in giacca e cravatta ai vertici di aziende e istituzioni.

Sulle baby gang possiamo, allora, arrivare a una certa conclusione: i giovani “devianti” – i diversi, quelli scomodi, quelli che non fanno ciò che vorremmo – godono di cattiva stampa perché alla stampa importano assai poco. Se poi sono stranieri di origine e commettono atti illegali, sono criminalizzati senza appello. E sono presentati dai giornali come “orde di barbari”, dimenticando che pure noi abbiamo sangue barbaro nelle vene. Solo crescendo, invecchiando, i giovani acquisiscono la simpatia dei media: proprio quando vanno a far parte dei Poteri Forti. Quei poteri a cui molta stampa – non tutta per fortuna – s’inginocchia benevolente. E silente.

(le foto sono tratte dal sito Dreamstime.com)

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