Ogni mattina, un ingegnere biomedico si sveglia e sa che deve correre più veloce dei problemi agli strumenti e agli apparecchi del centro medico. Roberta Mosconi ci racconta un lavoro dietro le quinte, ma fondamentale perché tutto fili liscio in ospedale.

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Che fortuna poter parlare di un mestiere fondamentale ma sconosciuto, ossia l’ingegnere biomedico. Ma proprio per capirne di più, in cosa consiste il suo lavoro, Roberta Mosconi?

«È una bella opportunità condividere un po’ della mia quotidianità con chi non ha mai sentito parlare del mio lavoro o non si è mai reso conto che dietro il tran-tran dell’ospedale ci sono intere équipe di tecnici che si preoccupano che tutto funzioni correttamente.»

Si spieghi meglio, cosa fate quotidianamente?

«Partiamo intanto dal fatto che in ospedale ci sono tantissime apparecchiature molto complesse e specialistiche, dai letti elettrici ai defibrillatori, dalle macchine per le analisi a quelle per la ricerca. Ecco, noi ingegneri biomedici lavoriamo in team e ci spostiamo nelle varie sale per verificare il funzionamento di questi macchinari o coordinarci con i tecnici affinché le riparazioni avvengano al più presto.»

Roberta Mosconi, Ingegnera biomedica

Ah, ma quindi non è un “tipico lavoro da ingegnere” – ovvero, dietro un pc?

«Questo è assolutamente un falso mito! Noi maciniamo km tra i diversi reparti dell’ospedale e abbiamo a che fare con medici e dottori, infermieri, ma anche con il personale specializzato per le manutenzioni e i tecnici. Dobbiamo mettere in comunicazione chi con le macchine lavora e chi con le macchine parla.»

Intende che i tecnici devono convincere la macchina a funzionare con parole dolci?

«No, stavo scherzando. Ma di sicuro dobbiamo capirne il linguaggio, fatto di codici, componenti informatiche e tecnologiche. E, se mi concede già una previsione, sono sicura che a breve le capacità tecniche avranno la loro rivincita: sarà quasi impossibile lavorare senza conoscenze in ambito STEM!»

Sono contenta di questa sua affermazione – sta dando ancor più senso a queste interviste! Ma, a questo proposito, quali competenze crede siano necessarie nel suo lavoro?

«Di sicuro una speciale attitudine al problem solving, alla gestione delle urgenze. Ma anche empatia, perché l’ambiente ospedaliero è, per definizione, molto delicato e di sofferenza – quindi adottare un approccio “zen” e di calma, fa la differenza e permette di dare comunicazioni sincere e, soprattutto, affidabili. E poi la conoscenza delle componenti tecniche per saper leggere i documenti e interpretare simboli, indicazioni d’utilizzo e tempistiche di revisione per poter organizzare le manutenzioni.»

Mi par di capire che queste capacità portino con sé una certa responsabilità…!

«Confermo, è un mestiere delicato – ma dà anche molte soddisfazioni. Con questa qualifica, infatti, noi possiamo partecipare alle commissioni di acquisto dei macchinari e dare indicazioni su quale potenza, quale struttura o tecnologia sia più indicata per la funzione che dobbiamo soddisfare – anche dal punto di vista legale e sanitario, chiaramente.»

In pratica siete degli “arredatori d’interni” d’ospedali, degli assistenti allo shopping altamente specializzati in campo tecnico. Corretto?

«È così! Possiamo dire che traduciamo la nostra componenete di creatività in specifiche tecniche. Ma ci mettiamo anche tanta passione, pensando che le nostre valutazioni andranno a risolvere problemi e dolori fisici di tanti utenti.»

Era questo l’obiettivo per il quale si è avvicinata a questa carriera?

«La verità è che ho combinato due attitudini – la passione per l’informatica e la sensibilità in ambito medico. A dire il vero, da piccola volevo fare l’infermiera, poi, crescendo, complice anche il fatto che i miei avessero qualche videogioco per ragazzi nel loro esercizio commerciale al mare, crescendo mi ero intestardita a voler diventare sviluppatrice di software per capire come regolare quegli apparecchi affascinanti.»

E quindi, cos’ha studiato?

«Alle superiori ho frequentato l’ITIS, indirizzo informatico – ed eravamo solo due ragazze, nel mio anno – e non si parla di ere geologiche fa…! Nello scegliere l’università, indecisa, ho seguito in parallelo ingegneria edile e ingegneria informatica, per poi scegliere la seconda, dopo qualche esame. Però mi sono accorta che stavo pensando come un computer, in sistema binario, e quindi ho cercato qualcosa per combinare anche la parte più umanistica, di servizio e utilità concreta alla comunità. E mi sono quindi specializzata in ingegneria biomedica, combinando la passione sanitaria alla capacità di programmazione.»

Il suo percorso manifesta molta determinazione e tanta passione. Arrivata fin qui, si sente di voler dare qualche consiglio o indicazione a chi volesse avventurarsi in questa direzione?

«Non aspettare di saper fare tutto prima di iniziare una sfida, un lavoro, un’opportunità – inizia e basta, l’esperienza arriverà da sé»

«E poi porto con me una citazione da quaderno di Mr Wonderful, una frase che mi fa sorridere e dice “Racconta al mondo quanto vali – se non lo farai tu, non sarà tua nonna a farlo”.»

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