Matteo Zilocchi, giornalista, collabora con blog Mafie su “Domani”. È specializzato nel raccontare le mafie e su questo argomento ha scritto due opere: “Il corvo di Palermo” e “All’inferno e ritorno”. Nei giorni scorsi è stato fra i protagonisti del Festival del Giornalismo organizzato dall’Associazione Culturale Heraldo (editrice anche del nostro magazine) e ne abbiamo approfittato per ascoltare la sua opinione, soprattutto nei giorni in cui si celebra il trentesimo anniversario della strage di Capaci in cui morirono il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre uomini della loro scorta. Poche settimane dopo, il 17 luglio, anche il giudice Borsellino venne trucidato nella strage di via D’Amelio.

Zilocchi, innanzitutto perché oggi più che mai è ancora importante ricordare quegli uomini che, in piena solitudine, provarono a cambiare l’Italia?

Matteo Zilocchi

«È importante per non dimenticare cos’hanno fatto fino all’ultimo istante della loro vita per servire lo Stato. Hanno combattuto contro Cosa Nostra e da Cosa Nostra (e, forse non solo) sono stati uccisi. È importante ricordare in generale quell’epoca, i primi anni Novanta del secolo scorso, per cercare quelle verità che ancora ci mancano. Non sappiamo ancora tutto sulle stragi del ‘92 e su quelle del ’93. E non sappiamo nemmeno tutte le verità di quanto è avvenuto dopo l’arresto di Riina, Provenzano, etc. Ci sono delle verità che dobbiamo sapere, che mancano a questo Paese che, se vuole andare avanti, deve conoscere perfettamente il suo passato. Anche per non ricadere negli stessi errori.»

Come si è evoluta da allora la lotta alla mafia nel nostro Paese?

«Meno di quando si sia evoluta la stessa mafia. Noi abbiamo negli occhi la mafia corleonese, quella militare di Riina e Provenzano. Quella, per intenderci, dei morti, delle bombe, dei morti ammazzati. Quella mafia è stata un’anomalia. La mafia in realtà ha sempre preferito il silenzio al rumore delle bombe e questa anomalia è durata solo in quel (relativamente) breve periodo. Dopo quella stagione la Mafia è tornata a fare quello che sa fare meglio: affari e infiltrarsi negli apparati istituzionali e finanziari. Oggi sono cambiati anche gli equilibri, con la ‘ndrangheta che ha preso potere a discapito di Cosa Nostra, che ha perso peso proprio in seguito a quelle stragi e la successiva reazione dello Stato. La ‘ndrangheta è definita come la “mafia degli affari” e purtroppo in Italia ancora non abbiamo capito come contrastarla. La ‘ndrangheta nel frattempo prospera. Lo dimostrano ogni anno i numeri del suo business, che crescono a dismisura. Oggi forse ci vorrebbe ancora un Giovanni Falcone, che, unico, riuscì davvero a capire come contrastare Cosa Nostra rivoluzionando il metodo di lotta.»

Ormai è da tempo acclarata la presenza della mafia nei nostri territori nel nord-Italia. Perché si prestano così tanto all’occupazione da parte della malavita organizzata?

«La ‘ndrangheta va dove ci sono i soldi. Negli ultimi due anni la provincia di Lecco è stata quella in tutta Italia dove ci sono state più confische ai beni della mafia e anche nel Veneto ci sono state numerose operazioni di questo tipo. Le radici sono ancora al sud, ma ha una presenza capillare non solo in Italia ma anche in Europa e in tutto il mondo, dagli Stati Uniti all’Asia. Oggi in Veneto, Piemonte, Lombardia ed Emilia Romagna la mafia ormai non è soltanto “infiltrata” ma è addirittura assoluta protagonista di questi territori ed è diventata parte integrante purtroppo di una certa economia.»

Lei ha scritto due inchieste dedicate interamente a questi argomenti. Che tipo di lavoro è stato?

«Ne “Il Corvo di Palermo” racconto una vicenda fondamentale, quella avvenuta nella primavera del 1989, che aiuta a capire il clima che si era creato attorno a Giovanni Falcone, il quale dovette combattere sì contro la mafia ma anche contro il cosiddetto “fuoco amico”. È stato un lavoro di inchiesta, con ricerche d’archivio fra vecchie sentenze e articoli di giornale. Ho sentito Bruno Contrada, il giudice Ayala, la sorella di Falcone e tanti altri. A trent’anni di distanza rivivere quella vicenda aiuta a far capire qual era il clima nei corridoi del Palazzo di Giustizia del capoluogo siciliano. La magistratura non è cambiata molto, i contrasti, le insidie. Una storia vecchia ma ancora attuale.

Matteo Zilocchi con Fabiana Bussola durante l’incontro al Festival del Giornalismo di Verona 2022

E con “All’inferno e ritorno”?

“Qui racconto la storia di un membro della ‘ndrangheta che poi ha fatto un percorso carcerario che gli ha permesso di uscire dall’organizzazione e riscattarsi. È un’inchiesta che ci fa capire bene quanto sia potente la malavita calabrese oggi, non tanto per quello che fa ma per quanto sia vista bene da certa politica e certa imprenditoria, sempre alla ricerca di sponde. E questo rende la ‘ndrangheta veramente forte perché le fa capire che sono gli altri ad avere bisogno di lei e non lei ad avere bisogno degli altri.»

Qual è il futuro della mafia e della lotta alla mafia?

«La mafia ha dimostrato di essere più resiliente della lotta alla mafia. È sempre un passo avanti. Oggi lo vediamo con la nuova economia, i bitcoin e le criptovalute. La mafia arriva sempre prima degli altri dove andrà il business. Ecco, fino a quando non riusciremo a capire quali sono i trend che in prospettiva inseguiranno le mafie e anticiparli saremo sempre costretti a inseguire.»

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