Un Verona a mezzo servizio non basta contro il Napoli
Troppe le assenze tra i gialloblù, troppa la forza dei partenopei, troppe le disattenzioni. Eppure anche contro la squadra di Spalletti l'Hellas ha venduto cara la pelle.
Troppe le assenze tra i gialloblù, troppa la forza dei partenopei, troppe le disattenzioni. Eppure anche contro la squadra di Spalletti l'Hellas ha venduto cara la pelle.
Nel pomeriggio di fuoco del Bentegodi, scaldato dal pubblico delle grandi occasioni e arroventato dalle polemiche pre partita, ha certamente vinto la squadra più forte. La sconfitta contro il Napoli brucia, non c’è dubbio. Brucia per come sono arrivati i gol, brucia per le scelte arbitrali, brucia perché – alla fine – è sempre Verona-Napoli.
La sfida, come sempre, è iniziata fuori dal campo. Il controverso striscione appeso nottetempo nei pressi dello stadio e firmato Curva Sud, con le coordinate di Napoli e le bandiere Russa e Ucraina, ha rinnovato la tradizione di Verona-Napoli di finire su tutti i giornali prima ancora dell’apertura dei cancelli del Bentegodi. Qui, però, parliamo di pallone.
Sul campo ha vinto la squadra più forte. Ma poteva benissimo finire altrimenti. Il Verona ha dovuto fare a meno di pedine fondamentali, ha sofferto il valore innegabile degli avversari, ha faticato a sviluppare il suo gioco per lunghi tratti di gara. Tutto vero. Ma anche in queste condizioni non si può certo dire che il Napoli abbia dominato, anzi, l’Hellas è rimasto in partita fino alla fine, uscendo sconfitto ma tra gli applausi dei suoi tifosi.
L’Hellas di Tudor, si sa, da sempre macina gioco sugli esterni. In particolare la catena di sinistra, con Casale, Lazovic e Caprari, ha fatto le fortune del Verona in questo campionato, con sovrapposizioni, penetrazioni improvvise e galoppate esaltanti. Purtroppo, contro il Napoli, due dei tre anelli di quella catena non sono scesi in campo, e la differenza si è vista eccome.
De Paoli spostato per necessità a sinistra e uscito già alla fine del primo tempo per infortunio, non è riuscito a dare il dinamismo che altre volte aveva assicurato, e Caprari è sembrato avere maggiore intesa con Tameze, ancora una volta il coltellino svizzero del centrocampo gialloblù, adattato nell’emergenza nuovamente a fare l’esterno. Non a caso è da una combinazione di questi due elementi che è nato l’assist al bacio per il gol che ha riacceso, seppur brevemente, le speranze del Bentegodi.
Un altro assente – sebbene in campo per novanta minuti – è stato Barak. Il ceco non si era completamente ristabilito dalla botta all’anca rimediata due settimane fa, ma con il forfait di Lasagna è stato costretto a stringere i denti e a scendere in campo nel tridente delle meraviglie gialloblù. Purtroppo, un po’ per la sua forma non ottimale e un po’ per il valore dei difensori partenopei, Barak ha fornito una prova inconsistente che ha pesato come un macigno sulla produzione offensiva del Verona.
Oltre alle assenze pesanti e ai giocatori forzatamente fuori ruolo, l’impressione è che il Verona contro il Napoli abbia perso la partita a centrocampo, nel vivo della battaglia. In questo campionato l’Hellas ha costruito proprio lì le sue fortune, con il pressing alto a tutto campo, la foga sulle seconde palle e la pressione costante sulle fonti di gioco degli avversari. Oggi questo dominio fisico e questa intensità sono state le armi del Napoli per quasi tutta la partita, e questa mossa di Spalletti ha sortito l’effetto sperato dall’allenatore toscano: mandare fuori giri i ragazzi di Tudor.
Il risultato? Disattenzioni e imprecisioni su appoggi anche semplici, scarsa intensità negli interventi, superficialità nelle situazioni da palla inattiva. Fino all’esempio più grave: il tempo di gioco perso da Ceccherini per protestare è stato sufficiente per Di Lorenzo per infilarlo e trovare l’assist per Osimhen e il raddoppio napoletano. Cose che al Bentegodi, quest’anno, non si sono viste spesso.
All’intensità e al pressing il Napoli ha unito un’impressionante fisicità in tutte le zone del campo. Dalla diga innalzata da Koulibaly e Rrahmani, all’one man show di Osimhen, capace di portarsi a spasso il povero Gunter, oggi comprensibilmente surclassato, passando dagli strappi inarrestabili di Anguissa.
Il Verona, per tutto il primo tempo e metà del secondo, non è mai riuscito a prendere in mano il pallino del gioco, pur senza concedere troppo al Napoli in termini di occasioni da rete.
Malgrado la superiorità mostrata dai partenopei, l’Hellas non si è mai lasciato andare e non ha perso il contatto con la partita. Anche dopo un raddoppio beffardo che avrebbe tagliato le gambe a chiunque. Nel secondo tempo, forse complice un calo di intensità dei napoletani, il Verona è finalmente riuscito a mostrare le sue geometrie e, puntuale, il gol è arrivato. Partita riaperta e inerzia a quel punto dalla parte del Verona, con un Napoli che dopo la rete dell’uno a due è apparso appesantito e in apprensione.
Purtroppo, oltre alla forza dell’avversario, l’Hellas ha dovuto fare i conti anche con l’operato dell’arbitro Doveri che, con una sola imperdonabile decisione, ha chiuso definitivamente la partita in favore del Napoli, proprio nel momento in cui il Verona sembrava essere riuscito a invertire l’inerzia della gara.
Punire il tocco di mano di Ceccherini con il secondo giallo non è stata solo una scelta discutibile per l’eccessiva severità o per l’incoerenza del metro di giudizio, ma una decisione errata a livello di regolamento, dato che il fallo di mano in questione non ha interrotto alcuna azione pericolosa e si è verificata in una zona del campo lontanissima dalla porta di Montipò.
In queste situazioni la VAR non può intervenire per correggere l’abbaglio del direttore di gara, dato che, com’è noto, il supporto video può mettere in discussione la decisione di campo solo in casi di rosso diretto e di “chiaro ed evidente errore” da parte dell’arbitro, lasciando il necessario margine di discrezionalità. Discrezionalità sul cui orientamento sarebbe opportuno fare delle riflessioni, anche alla luce di ciò che è accaduto – nello stesso turno – sui campi di Torino e di Udine.
Da questo Verona-Napoli sono arrivate alcune conferme, qualche tegola inaspettata e almeno una buona notizia.
Le conferme riguardano i limiti delle seconde linee del Verona, di cui si è già ampiamente parlato, e la difficoltà della squadra di Tudor di cambiare spartito quando quello classico non funziona. Sono difficoltà che si trascinano e che non possono essere risolte da una settimana all’altra, ma la cui risoluzione incarna il processo di crescita di una squadra e di un club.
Le cattive notizie sono tutte per la gara di Empoli della prossima settimana. Già ieri mister Tudor ha dovuto portare in panchina quattro Primavera. Con le ulteriori espulsioni di Ceccherini e di Faraoni – grave l’ingenuità del capitano – la squalifica per diffida di Ilic e gli altri guai fisici dello spogliatoio, l’allenatore gialloblù dovrà inventarsi qualcosa di speciale per riuscire a giocare da Hellas in casa di una buona squadra come quella di Andreazzoli.
Infine la buona notizia: anche in una sconfitta amara come quella contro il Napoli, il Verona non si è mai disunito, non è mai uscito mentalmente dalla gara, ha saputo giocarsela fino all’ultima palla lunga con rabbia e determinazione. Anche in dieci contro undici. Anche contro le scelte di Doveri. Il Verona, insomma, non è mai domo.
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