Venerdì 11 febbraio si è svolta presso la Società Letteraria l’affollata conferenza del professor Raoul Pupo presso. Due ore dense di notizie, fatti, collegamenti che lo storico, già ospite in altre due occasioni e autore del volume Adriatico amarissimo (Laterza, 2021) ha illustrato ai partecipanti, restituendo a tutti la complessità della questione istriano- dalmata e del tema delle foibe, ben lontana dalla vulgata retoricamente nazionalista della destra.

A introduzione dell’evento – organizzato insieme all’Anpi e all’Associazione nazionale Perseguitati politici italiani antifascisti ( ANPPIA) – il presidente uscente dell’Istituto veronese per la Storia della Resistenza Stefano Biguzzi ha sottolineato: «Tra le cose che non mi mancheranno c’é sicuramente il Giorno del ricordo a Verona, perché è diventato progressivamente un’occasione per non fare storia, per fare minaccia politica reciproca, per fare controinformazione, per cercare di imbrigliare il libero pensiero degli storici o di chi vuol fare informazione o divulgazione storica, invitando figure che di volta in volta vengono ritenute non accettabili, non gradite in questa città».

«Tra le cose che invece mi mancheranno dell’Istituto storico della Resistenza di Verona – ha sottolineato per contrasto – c’è il tenere la barra dritta sul confronto storico, sul mestiere dello storico, sulla storia e la storiografia come scienza, non come esatta opinione».

I fattori che hanno innescato la Prima Guerra mondiale

Articolato come un botta e risposta tra lo studioso e il presidente dell’IvrR, l’incontro ha fatto chiarezza sui fattori che hanno innescato la Prima Guerra mondiale e sul panorama jugoslavo che si è trascinato dopo il 1945. Termini come slavismo, irredentismo, genocidio, esodo, hanno finalmente trovato la giusta collocazione alla luce dei documenti e della verità storica.

«Ci sono tre piani sostanzialmente per affrontare questa vicenda: quello della memoria, per chi ha avuto familiari morti, ed è a mio avviso sacro e inviolabile. Poi abbiamo il piano politico, di distorsione assoluta. Il terzo piano, troppo spesso trascurato, è quello della conoscenza seria, che si trasmette attraverso saggi, conferenze, studi come quelli di Raoul Pupo, capaci di restituirci la complessità di quella situazione.»

«Quando si studia la storia di un territorio complicato come la frontiera adriatica, non si può semplificare – ha esordito il professor Pupo – certamente il Novecento è stato epoca di grande violenza, ma anche di grandi passioni, di grande solidarietà, grande capacità di sacrificio. Io sono incappato nella dimensione della violenza perché è stata quella che ha connotato di più la storia di frontiera dalla Grande Guerra in poi.»

«Si tratta – ha proseguito il docente – di mettere a confronto alcune stagioni diverse, additate sotto il profilo della violenza politica. Non tutta la violenza, non quella criminale, ma nemmeno la violenza di guerra, quindi non sotto la Grande Guerra ma nemmeno sotto la seconda guerra mondiale con tutte le sue terribili complicazioni legate alla Resistenza. Anche in epoca asburgica c’è violenza politica, soprattutto osserviamo un incremento delle tensioni perché tra il circa 1880 e la Grande Guerra si creano delle nuove fratture, che prima non c’erano, principalmente di natura nazionale. In quegli anni compare, intorno al 1848, un nuovo soggetto storico che prima non c’era.»

Il Risorgimento e le divisioni fra italiani e austriaci

«Il risorgimento italiano è stato fatto dagli italiani da una parte e dagli austriaci dall’altra – ha spiegato ancora Raoul Pupo – e finché la polarità è italiani contro tedeschi la situazione è chiara. Poi compare un terzo interlocutore, prima numericamente poi anche come ruolo sociale, infine politicamente: lo slavismo adriatico. Ecco che si rompe il meccanismo in qualche misura idilliaco asburgico. Questo nuovo soggetto minaccia l’italianità adriatica, le sue tradizioni, la sua egemonia. Perché questo nuovo elemento può godere dell’appoggio delle autorità austriache (ricordiamo che gli italiani avevano dato inizio alle guerre d’indipendenza, gli austriaci sentivano di non potersi fidare) . Gli italiani non si sentono tutelati e nasce una nuova priorità, la difesa nazionale».

«Si diffonde all’inizio come sentimento, prima elitario poi di massa, poi come fulcro della vita personale e comunitaria. Contemporaneamente, mentre gli italiani ragionano sempre più in termini di difesa nazionale, dall’altra parte si comincia a parlare di riscossa nazionale. Questo conflitto ha un nome, non ancora violenza tout court perché la violenza verrà dopo; ci sono zuffe, bastonature, ma è una violenza ancora ad un livello controllato: né le istituzioni né gran parte della società civile apprezzano la violenza, anzi la rifiutano. Il caso Oberdan ne è un esempio, e la costruzione del “mito” è successiva, nel momento in cui accadono i fatti è un estremista vicino all’anarchismo la cui morte suscita scandalo».

«Paradossalmente la maggiore crisi di violenza politica che si ha nell’ultima fase della dominazione asburgica non ha nulla a che vedere con la difesa nazionale, ma è una tipica strage di classe. Abbiamo uno sciopero dei lavoratori , i fuochisti sfruttati che protestano per le condizioni di lavoro, qualcuno tira un sasso, il poliziotto viene colpito , qualcuno spara. Per il resto zuffe ma soprattutto molta violenza verbale, nei testi scritti, nelle satire. La società comincia ad essere permeata di assoluta intolleranza. SI vive ancora assieme, ma le anime vengono avvelenate e le istituzioni funzionano. Ad un certo punto però il recinto cede e la violenza esplode».

Passaggio a Nord-est

Nel corso della conferenza è apparso evidente che l’errore più comune è leggere il caotico passato del Nordest di fine Ottocento con gli occhi di oggi. Quando parliamo di italiani dobbiamo ricordare che sono italiani anche coloro che risiedono nelle zone oggi oltre confine. A nota di colore, da ricordare che il nome Oberdan è ricordato nella versione germanizzata, il cognome originale era Oberdanich.

«Un altro punto importante è l’uso dell’aggettivo “etnico” – ha espresso ancora il professore –  del tutto fuori luogo perché usando questo aggettivo si taglia fuori circa il 40% dell’italianità adriatica. Il Gruppo nazionale italiano non era un gruppo etnico, era un gruppo nazionale, un fenomeno più ampio; una parte consistente dell’italianità adriatica e anche una parte consistente della leadership irredentista non avevano un’origine etnica italiana, ma avevano le più varie etnie, tra cui greca, slava, ungherese».

«Questa stagione di violenza legata alla guerra non comincia nel dopo guerra e lo si vede dalle fonti. 23 maggio 1915, il giorno prima dell’entrata in guerra dell’Italia. Guardiamo le fotografie e vediamo un incendio. É una sorta di pogrom anti irredentista. Vanno a fuoco le sedi della lega nazionale, di un buon numero di caffè, botteghe, negozi. Sono stati slavi, tedeschi. La stagione di violenza comincia allora. Si bruciano i giornali, inizia quello che ho chiamato la stagione delle fiamme; non è guerra, è una stagione diversa strettamente legata alla guerra».

«Gli ultimi ad arrivare – ha chiosato Pupo – sono stati i fascisti, molto bravi a gestire la violenza. Già nel 1919 abbiamo la violenza di piazza con gli scontri tra giovani bolscevichi e giovani nazionalisti. Abbiamo già la violenza di piazza. Poi l’attenzione si sposta all’estremità orientale della regione e si condensa a Fiume. Un evento con tante possibilità di lettura, sociale, politica, ma anche quello di un’insurrezione militare che ha come obiettivo la ritenzione nazionale di Fiume. La città diventa per lo studioso un punto di incontro tra due storie diverse. In una regione di frontiera come la Venezia Giulia non è possibile applicare solo i criteri della storia nazionale, perché i meccanismi che intervengono sono diversi: sul litorale abbiamo storia austriaca, l’antislavismo era assente dai nazionalisti italiani».

Una conferenza del tutto scientifica e spiegata con tutta la ricchezza del bagaglio di una vita spesa per la ricerca della verità, oltre gli slogan di comodo e la volontà politica di cui abbiamo letto a corredo della ricorrenza.

© RIPRODUZIONE RISERVATA