In principio fu un ragazzo riccioluto, dalle ginocchia tartassate dalla sfortuna e con un talento smisurato tra i piedi. In principio fu un amore spezzato. Di quelli che recidono in maniera profonda i legami e generano un rancore sordo, in grado di resistere al passare degli anni. In principio fu Roberto Baggio, ora tocca a Dusan Vlahovic scrivere una nuova pagina del complicato rapporto tra Fiorentina e Juventus.

Non c’è dubbio che, all’interno dello sterminato libro del calciomercato italiano, quello tra viola e Juve sia un capitolo decisamente a parte. Quasi un romanzo a sé, che oscilla tra la concretezza dei soldi in viaggio tra le due società e l’emotività che solo il tifo può generare. Con tutto il bagaglio di irrazionalità che porta l’immaginazione del fan a spingersi oltre alle pure vicende calcistiche. Tirando in ballo storie, destini e antichi eroi.

Provando a vestire i panni di un tifoso gigliato, oggi, la sensazione è quella di essere soggetti alla più classica legge del contrappasso. Fosse vissuto in quest’epoca, magari Dante avrebbe creato un girone infernale dedicato esclusivamente ai frequentatori della Fiesole. Eternamente costretti a cedere i propri gioielli più luccicanti a madama Juve, senza poterne mai ammirare il completo splendore. Un amore costantemente reciso.

Se c’è una pena da scontare, però, deve necessariamente esserci anche un peccato originale da cui tutto scaturisce. Allora è il caso di sfogliare gli almanacchi, ripercorrendo trattative e snodi di mercato per trovare il vulnus che ha causato l’eterna condanna della Fiorentina. Si scopre quindi che il romanzo che abbiamo davanti ha una storia tutto sommato recente. Non si perde nei meandri del calcio pioneristico, ma nasce probabilmente nell’estate del 1978.

Giancarlo Antognoni

Protagonista è Giancarlo Antognoni, bandiera viola reduce da un Mondiale argentino giocato con la tarsalgia, che lo limita parecchio. Ma negli anni precedenti ha già fatto vedere tutta la sua classe cristallina. La Juventus di Gianni Agnelli lo cerca insistentemente e mette sul piatto due miliardi e mezzo delle vecchie lire. “Antonio” dice no. Il ragazzo “che giocava guardando le stelle” preferisce restare con i viola. Non per viltade, anzi, ma trattasi di gran rifiuto. Da lì, ci direbbe forse anche il Poeta, la condanna perpetua del popolo viola.

Uscendo dal campo di calcio e addentrandoci nel Risorgimento italiano, si potrebbe anche risalire ad una sorta di nemesi storica. A quel settembre 1864, quando la notizia del trasferimento della capitale del Regno da Torino a Firenze causa violenti tumulti nella città sabauda. 52 morti e 187 feriti allora, in qualche maniera “vendicati” dall’impossibilità, per la Fiorentina, di essere regina della serie A oggi.

Trascendere troppo dalla realtà, però, può essere controproducente. Si rischia di perdersi oltre i confini del mare, dove “termina la conoscenza e inizia la speculazione”. Il che ci porterebbe a dimenticare alcuni dati oggettivi, ad esempio che l’ultima Fiorentina in grado di competere per lo scudetto ha dovuto salutare autentici totem come Batistuta, Rui Costa e Toldo, nessuno dei quali ha mai indossato la maglia bianconera.

Allo stesso modo rischieremmo di dimenticare che il tragitto Firenze – Torino non è sempre a senso unico. A fine anni ‘90 sono arrivati in viola ottimi mestieranti come Torricelli e Di Livio, nel 2006 è approdato al Franchi Adrian Mutu, capitano di una frizzantissima Fiorentina protagonista in Champions League e Coppa Uefa. C’è poi tutta una serie di movimenti di basso profilo, vuoi per il valore tecnico del giocatore, vuoi per la giovane età di futuri top (leggesi Chiellini). E abbiamo pure le grandi sole rifilate alla Juve: 25 milioni di euro per Felipe Melo sono l’equivalente di un furto con scasso, dai.

La statua dedicata a Batistuta dai tifosi della Fiesole

Tornando a tempi più recenti, le spiegazioni di certi trasferimenti, sono certamente molto più prosaiche. Difficile, oggi, sfuggire alle “gerarchie sportive” e alla suprema legge del fatturato. Ecco perché gli addii a Bernardeschi e Chiesa non possono che rientrare nella logica di una società, la Juventus, che negli ultimi dieci anni ha spadroneggiato in lungo e in largo nel calcio italiano. Roba non solo nostra eh. Provate a chiedere in Germania se sono tutti così felici di vedere generazioni di campioncini finire quasi sempre in maglia Bayern Monaco.

Però ora la situazione sembrava diversa. La Vecchia Signora prende Vlahovic non per aumentare il divario con le inseguitrici, ma per tentare un’affannosa rincorsa alla zona Champions. C’erano anche le offerte dall’estero. E le indagini sulle plusvalenze. Perché allora proprio alla Juve?

Forse perché certi amori li puoi spezzare solo una volta. E quel sentimento che legava Roberto Baggio alla città e alla tifoseria viola era qualcosa di diverso, e lo trovi raramente. L’uomo non voleva partire, le società scelsero per lui. Difficile anche pensare che un ragazzone serbo di 22 anni, in rampa di lancio e giustamente ambizioso, possa provare lo stesso sentimento di riconoscenza e, sulla base di quello, rinunciare ad un’opportunità.

È il calcio moderno, dicono. Forse hanno ragione. Magari sarebbe da discutere su cosa intendano per “moderno”. Ma ci vorrebbe troppo tempo, e i tifosi della Viola vogliono giustizia ora. L’augurio migliore è di far fruttare al meglio i soldi in arrivo. E di potersi vendicare sul campo. Faccia a faccia col loro ex bomber, in un match decisivo per la corsa Champions magari. Toh, guarda, proprio all’ultima giornata di campionato.

© RIPRODUZIONE RISERVATA