Tutto a posto, Mr Biden?
Sono passati dodici mesi dall'insediamento del presidente democratico. Qual è il bilancio fino ad oggi? In chiaro-scuro, senz'altro, tendente al grigio.
Sono passati dodici mesi dall'insediamento del presidente democratico. Qual è il bilancio fino ad oggi? In chiaro-scuro, senz'altro, tendente al grigio.
Solo dodici mesi fa il mondo assisteva all’irrituale insediamento di Joseph Biden come Presidente eletto degli Stati Uniti. Ci resta l’immagine iconica delle migliaia di bandiere che riempivano il prato, le fortificazioni erette contro possibili nuovi attacchi alle istituzioni e Lady Gaga splendente nel suo accorato inno alla democrazia.
Nel suo discorso, Biden promise di riportare “unità e grandi cose, raddrizzare i torti e creare lavoro”. Alla luce dei sondaggi attuali, la sensazione degli americani sembra accusarlo di aver promesso Disneyland senza arrivare neanche al campetto di quartiere.
Secondo gli analisti di RealClearPolitics il Presidente ha ricevuto oltre 80 milioni di voti, il maggior numero nella storia del Paese, e all’inizio il 56% della popolazione approvava il suo programma, mentre un anno dopo la percentuale è scesa al 42%. Nel confronto con gli ultimi predecessori, solo Donald Trump ha avuto un crollo di consensi simile, passando dal 45% al 35% un anno dopo.
Barack Obama aveva invece cominciato a lavorare forte del 70% di approvazione, scalando al 50% un anno dopo; solo per par condicio, vista la situazione (speriamo) irripetibile, George W Bush passò dal 60% iniziale a quasi il 90% dopo l’Undici Settembre.
Non è quindi tanto sorprendente il balletto dei numeri e la forbice sempre più larga tra chi approva Biden (42%) e chi lo disapprova (52%), se non per il suo valore assoluto molto lontano da 50 e poco rassicurante in ottica di rielezione. Certo, Biden è stato eletto per quattro anni e uno solo, per di più senza precedenti, non può tradursi in condanna. Ma qualche conto in tasca a Mr President possiamo comunque farlo, seguendo il fil rouge delle sue promesse inaugurali.
Gli uomini di potere, specie quando è molto, hanno tutti una stessa debolezza: non resistono al richiamo del proclama, dell’affaccio sul balcone con la frase ad effetto. Che si parli di Bush jr quando dichiarò la guerra in Iraq una “missione compiuta” o di Biden con il suo “festeggiamo l’indipendenza dal virus” dello scorso 4 luglio, la voglia di stupire e ammaliare è troppo forte. Nessuno che impari dalla Storia, che si ricordi che fine hanno fatto quelli che dissero “vinceremo” o quegli altri che “abbiamo abolito la povertà”.
Qualcosa però Biden l’ha portata a casa: il 75% degli americani ha avuto almeno la prima dose e circa il 65% è pienamente vaccinato. Ma le varianti Delta e Omicron hanno riportato il numero dei contagi e dei morti a livelli preoccupanti. Le tre ondate principali hanno portato via oltre 850.000 cittadini. Un lavoro ben fatto ma rimasto incompiuto.
Su questo tema, da sempre polarizzante in America, Biden era stato chiaro. Voleva terminare il regime di separazione delle famiglie di migranti e la detenzione dei bambini al confine. Ha mantenuto la parola, messo fine alla politica di “tolleranza zero” di Trump e i minori sono stati in massima parte ricongiunti ai familiari.
Ma l’immigrazione non è sotto controllo, non si è trovato un metodo alternativo di gestire gli scontri tra migranti e forze dell’ordine che, sembra quasi assurdo, sono aumentati in modo vertiginoso. Nel 2021 si sono registrati due milioni di incidenti simili, 165.000 dei quali hanno visto minori coinvolti.
Le riforme non sono nell’orizzonte visibile, la proposta di regolarizzare 11 milioni di migranti illegali è in un cassetto del Congresso ed è fallito il tentativo di cancellare la norma trumpiana per cui i richiedenti asilo devono attendere l’esito in Messico. Al contrario, Biden ha utilizzato l’espulsione automatica per ragioni di emergenza sanitaria (il Title 42 voluto da Trump) nei confronti di 4000 haitiani senza documenti, lanciando un messaggio almeno equivoco.
Bring the boys back home: lo slogan antico, usato in numerose campagne militari statunitensi, è tornato di moda in occasione del ritiro delle truppe dall’Afghanistan, voluto da Obama, fortemente sostenuto da Trump e concluso, in modo affrettato e obiettivamente poco onorevole, da Biden.
Si è trovato in mezzo al guado, sicuramente. Il fermento in tutto il Medio Oriente, i nuovi equilibri geopolitici che si stanno delineando, lo spettro del nucleare iraniano sono stati tutti cattivi consiglieri. Resta indelebile il fatto che da quel momento le percentuali di gradimento hanno iniziato inesorabili a crollare. A partire dallo scorso agosto è crollato anche un mito, che non fosse più la Casa Bianca a plasmare il mondo, ma il contrario.
La promessa di portare “un nuovo ordine” nel Medio Oriente, sulla scia degli Accordi di Abramo promossi da Trump, sembra quindi lettera morta. Molto resta da fare e non aiutano le “distrazioni” internazionali, i conflitti commerciali con la Cina e soprattutto i venti di guerra in Ucraina. Al momento, Biden sembra ritenere più saggio concentrarsi sulla Guerra Fredda 3.0 che sugli animi incandescenti del mondo arabo.
La promessa di creare occupazione del discorso inaugurale sembra esser stata mantenuta. Durante la pandemia, un mercato con diritti molto sbilanciati a favore dell’imprenditore ha provocato un forte aumento della disoccupazione, con le richieste di sussidio che sono passate da meno del 4% al 15% in pochi mesi. Nell’ultimo anno il rimbalzo è stato notevole, con 6,4 milioni di posti recuperati (meno male che Biden c’è, potremmo canticchiare pensando ai “problemi” nostri), anche se il numero degli occupati resta inferiore ai livelli pre-Covid.
Succede una cosa strana: gli occupati restano pochi ma le richieste di sussidio sono scese al minimo degli ultimi cinquant’anni. Ci sono milioni di americani che hanno semplicemente mollato il lavoro, forse per fiducia in un mercato espansivo, per cercare qualcosa di meglio. Forse per una sorta di reazione alla pandemia, all’incontro con l’ineluttabile, milioni di persone hanno smesso di aver voglia di essere produttive.
La mancanza di forza lavoro ha impattato sulle industria e contribuito ai problemi globali delle supply chains, alimentando l’inflazione. I prezzi sono aumentati del 7% tra dicembre 2020 e 2021, l’aumento più consistente dagli anni Ottanta. Biden ha preso servizio in un momento già favorevole, con il mercato azionario a segnare crescite record e la disoccupazione in calo. Poi sono arrivate le strozzature logistiche, gli aumenti delle materie prime e l’inflazione alle stelle.
Quando l’ha definita “fenomeno transitorio”, in un altro di questi titoloni a misura di tweet, giustamente non ha aggiunto dettagli sul periodo. Furbo.
Nei primi mesi di mandato, Biden ha portato a casa due importanti legislazioni, approvate a livello bipartisan, evento inconsueto in USA tanto quanto la contingenza economico-sanitaria. A marzo è passato il pacchetto di aiuti per 1,9 trilioni di dollari, mentre c’è voluto più tempo e limature al taglio per approvare 1 trilione di dollari per le infrastrutture.
Ha poi riportato gli Stati Uniti al tavolo di importanti organizzazioni mondiali del commercio e nell’Accordo di Parigi sul Clima. Ha rovesciato il divieto di assumere persone transgender nell’esercito, introdotto da Trump, e nominato più giudici lui in un anno di Trump e Obama messi insieme.
Più recentemente alcuni senatori Dem hanno dichiarato di non aver intenzione di sostenere alcune riforme all’ordine del giorno, tra cui la legge sulla spesa sociale e il clima. Durante le feste natalizie, è stato affossato il sistema di deduzione per i figli, lasciando milioni di americani senza il sussidio che ricevevano da oltre sei mesi. E questo ha sicuramente lasciato un segno nei sondaggi.
Eppure, Biden è convinto di non aver “overpromised”, di non aver fatto promesse impossibili. È ancora sicuro di poter spaccare il suo programma, il Build Back Better Act, in sezioni indipendenti per ottenere almeno approvazioni parziali. O, come dice lui, di “far passare dei bei pezzettoni cicciotti” del progetto iniziale prima delle elezioni di mid-term del prossimo novembre, per dare spinta ai suoi traballanti consensi.
Saranno mesi interessanti, speriamo solo si astenga da nuove dichiarazioni altisonanti, che – la Storia insegna – portano solo, tremendamente sfiga.
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