I giovani “insetti” della periferia che infettano la “Milano da bere”
La violenza sulle donne a Capodanno e quello che i media hanno voluto raccontare del malessere di quartieri dove vivono ragazzi stranieri esclusi.
La violenza sulle donne a Capodanno e quello che i media hanno voluto raccontare del malessere di quartieri dove vivono ragazzi stranieri esclusi.
C’è violenza sulle donne che viene stigmatizzata dai media, com’è giusto che sia. E c’è altra violenza sulle donne di cui non viene detto nulla.
Le violenze in piazza, a Capodanno a Milano, ai danni di giovani donne sono un fatto che va perseguito senza alcuna esitazione. Peccato che siano solo quelle violenze a fare notizia, portando a criminalizzare una periferia meneghina dove – oltre alla repressione – servono politiche sociali e inclusione.
Nel caso milanese, le violenze di Capodanno hanno attivato una strana serie di rimandi politici e sociali quali non si vedevano da tempo. Tanto che il Tg1 Rai ha paragonato agli “insetti” i giovani delle periferie milanesi, autori o meno della violenza di Capodanno.
Paragonare una persona a un insetto è illegale. Non a caso, una sentenza della Corte di Cassazione ha condannato un giornalista che ha paragonato a un escremento niente po’ po’ di meno che un boss mafioso.
Quando si offende pesantemente qualcuno, non si fa giornalismo, ma si travalica il buon senso, si lede la persona, e tutti invece meritiamo rispetto. Così dice la Cassazione in una sentenza del 2017.
I giovani violenti del Capodanno a Milano sono per lo più di origine straniera.
In piazza hanno molestato, in gruppo, alcune ragazze. Non l’hanno fatto nei lindi salotti della borghesia milanese. L’hanno fatto sulla pubblica piazza, ripresi dai telefonini.
Il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, di centrosinistra, giorni fa ha borbottato al Tg1 che i giovani violenti di Capodanno “non sono neppure milanesi”. A sentirlo, ho creduto che fossero di Monza, di Verona o di Bologna. Oppure del Sud.
Poi ho scoperto che sono milanesi, ma della periferia. Sono giuridicamente milanesi, ma “stranieri di fatto”. Sono milanesi e italiani, tuttavia “di seconda generazione”. Insomma, non sono italiani del tutto. Non hanno il giusto pedigree.
Il Tg1 Rai di venerdì 14 gennaio 2022 ha presentato il borgo milanese di San Siro, come “zona difficile e melting pot culturale”. Un giovane dice infatti: “Lui è brasiliano, io peruviano e lui tunisino”.
La domanda che mi sono posto, vedendo il reportage del Tg1, è questa: dove sta il problema: nella violenza di Capodanno sulle giovani donne? nel fatto che i giovani violenti siano di origine straniera? O nel fatto che quei giovani di origine straniera siano della periferia?
Qual è la lettura da dare? Forse che fa comodo un’eco mediatica a qualcuno per farsi notare per una repressione che serve solo nel caso specifico, ma non risolve il problema dell’inclusione?
Mi sono poi domandato se il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, abbia presente anche la violenza sulle donne nelle stanze della borghesia milanese.
Mi sono chiesto se il sindaco Sala abbia presente che le feste a base di cocaina, che si organizzano in ogni città, sono comunque un problema per le donne che vi sono coinvolte.
Il sindaco di Milano, Sala, ha poi assicurato – d’accordo con la Questura meneghina – repressione senza alcuno sconto. Non si è posto, insomma, il problema della periferia.
Abbiamo così un sindaco sceriffo a Milano, forse ispirato da Rudolph Giuliani, sindaco repubblicano di New York dal 1994 al 2001.
C’è però una differenza. Rudolph Giuliani, sindaco di origine italiana e americano in prestito, non solo reprimeva – come è giusto – i violenti, fossero essi delle minoranze o della maggioranze etniche. Investiva anche sui progetti di inclusione sociale, aspetto questo che i media non hanno mai messo in evidenza.
Cosa fanno i comuni, specie quelli più grandi, per investire nell’inclusione sociale? Il sindaco milanese Sala pensa solo all’assunzione, pure utile, di 500 vigili urbani e ad avere più poliziotti. Per questo tipo di strategie non serve un sindaco, basta un burocrate.
Un sindaco di una grande città pensa all’inclusione, alle mediazioni, all’investimento in attività sociale accanto alle azioni di prevenzione e di polizia.
Si badi bene che il problema non è solo la mera discriminazione, che pure è un serio problema. Il problema non è neppure l’odio per il “diverso”, che tuttavia è un altro serio problema.
Il problema fondamentale è la criminalizzazione del “diverso” nei media che diventa fatto di distrazione della pubblica opinione.
Si fa credere ai telespettatori e ai cittadini che la violenza sulle giovani donne sia solo un fatto di ordine pubblico. E che riguardi minoranze etniche e periferiche.
Non vi è dubbio che i reati vadano perseguiti. La marginalità sociale non è un’attenuante nella commissione di un reato.
Non vi è però alcun dubbio che, nel fare giornalismo e nel comunicare sui media, non ci si può fermare alla superficie.
La violenza sulle donne va investigata a 360 gradi. Non basta limitarsi alle imbeccate della polizia o della Procura della Repubblica, giusto per far vedere che stanno facendo il loro – peraltro prezioso – lavoro di inchiesta.
Occorre allargare il campo. Perché il servizio del Tg1 Rai sulle “periferie violente” di Milano non ha toccato, come si deve, il mondo delle gang criminali? Troppa fatica? Troppo pericoloso? Troppo rischioso?
Le gang criminali – la Banda della Magliana lo dimostra – hanno coperture in alto. Non sarebbe difficile individuarle, processarle e sconfiggerle. Perché non lo si fa?
Perché si criminalizzano giovani stranieri di periferia, senza distinguere fra chi ha partecipato alle violenze di Capodanno a Milano; e chi non c’entra nulla?
Ciò che sgomenta – per citare un verbo caro al Giorgio Gaber della canzone Io se fossi Dio – è che il giornalismo, anche quello pubblico della Rai, non esce mai dal pantano delle visioni limitate.
Non si pretende che vi sia un Giornalismo Interculturale, attento ai fenomeni sociali. Non si pretende un giornalismo che ascolti gli esperti e non si fermi alle versioni ufficiali.
Non si pretende nemmeno un giornalismo che voglia comprendere e che rispetti il “diverso”. E se lo giudica lo fa sui dati di fatto, distinguendo fra i delinquenti (o presunti tali) e i giovani in sofferenza e disagio sociale.
Quello che sgomenta – nel vedere il Tg1 della Rai paragonare i giovani delle periferie a “insetti” – è che almeno si abbia il pudore di rispettare la dignità delle persone. E di non fare di ogni erba un fascio.
Quello che sgomenta è l’appiattirsi dei giornalisti sulle fonti ufficiali. E di rinunciare alla lezione del più grande cronista italiano di nera, Tommaso Besozzi: la lezione dell’inchiesta, dell’onestà intellettuale e dell’autonomia dalla versione ufficiale dei fatti.
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