Le proteste in Kazakhstan
In Kazakhstan la crisi economica è sfociata in proteste di piazza, sedate nel sangue dal dittatore Tokayev.
In Kazakhstan la crisi economica è sfociata in proteste di piazza, sedate nel sangue dal dittatore Tokayev.
«Dall’estero ci chiedono di trovare una risoluzione pacifica. È una vera idiozia! Che mediazione ci può essere con 20mila criminali? Abbiamo a che fare con banditi addestrati e ben equipaggiati, sia locali che provenienti dall’estero. Questi sono terroristi e devono essere distrutti, non ascoltati. Vi assicuro che accadrà molto presto.»
Queste sono le parole con cui il Presidente del Kazakhstan, Kassim-Jomart Tokayev, si è rivolto alla nazione, sull’unico canale televisivo rimasto operativo dopo gli scontri che hanno interessato le principali città del Paese nell’ultima settimana. Nello stesso discorso il Presidente ha autorizzato lo “shoot-to-kill” alle forze armate impiegate nelle manifestazione e annunciato di aver chiesto l’intervento delle forze di sicurezza dei Paesi ex-sovietici per un intervento mirato a “portare la pace”.
Sono arrivati corpi speciali da tutti gli alleati, circa 3.000 unità, tra cui anche il famigerato gruppo di contractor russi “Wagner Group” – quello di cui si racconta della partita di calcio giocata con la testa dei prigionieri, per capirci. Sicuramente un’esagerazione, ma forse neanche tanto lontana dal tipo di sensibilità espressa dai miliziani russi in molti Paesi del mondo.
Non sorprende quindi che negli ultimi giorni la situazione si sia calmata: le principali piazze sono chiuse e presidiate, così come i siti strategici, dei trasporti e produttivi. I media sono stati invitati a “non diffondere astio” e ci sarebbero “gravi danni” alle infrastrutture internet. Sono inutilizzabili anche tutti i social media più noti e, per la prima volta, è stata bloccata anche la piattaforma cinese WeChat.
Nonostante non ci siano dati verificabili, stime attendibili del The Guardian parlano di circa 200 morti civili, 18 tra i poliziotti (prontamente insigniti di medaglia al valore in diretta TV) e migliaia di feriti. Si parla anche di diverse migliaia di arresti, senza poter conoscere luoghi e condizioni di detenzione. Tutto esattamente come da copione.
E pensare che Tokayev sembrava innocuo, era soprannominato “furniture”, assimilandone il potere politico a quello dei mobili del suo ufficio. Dalla sua nomina quasi tre anni fa, non ha lasciato il segno, navigando sul solco di un’economia plasmata nei trent’anni di regime del suo predecessore, il “leader della nazione” Nursultan Nazarbayev.
Un dittatore molto amato dai suoi cittadini, grati della piccola parte dell’immensa ricchezza prodotta nel Paese che è stata trasferita anche a loro, sufficiente a creare una comoda illusione di benessere.
Nazarbayev ha creato una nazione che, pur trovandosi al centro dell’Asia e di forti interessi internazionali, è riuscita nel miracolo di essere amica di tutti, sia a oriente che a occidente. In rapporti fraterni con la Russia e con la Cina, ha attratto anche importanti investimenti europei e statunitensi verso gli immensi giacimenti di idrocarburi, uranio e metalli rari.
Il Kazakhstan è accreditato al 12mo posto tra i produttori di petrolio, con circa 1,7 milioni di barili al giorno, e possiede riserve per altri 253 anni allo stesso livello. È anche uno dei maggiori produttori di gas, con oltre il doppio della produzione media mondiale.
Una ricchezza che ha ingolosito le multinazionali straniere, disponibili a chiudere un occhio sul regime autocratico e i diritti calpestati della popolazione. Un dittatore è sinonimo di stabilità, di disturbo minimo a chi lavora, di sicurezza per gli impianti e di stipendi bassi agli operai. Il mondo perfetto per gli investimenti.
Con grande lungimiranza, Nazarbayev ha poi reintrodotto parte della ricchezza prodotta in patria nei Paesi investitori, rinsaldando rapporti economici già in ottima salute. Per citare un esempio, la figlia, tra l’altro diventata Presidente del Senato appena papà ha lasciato il ruolo attivo, è accreditata di proprietà per 80 milioni di sterline nella sola Londra, ma la stima di Reuters è probabilmente corta.
Il “soft power” del dittatore è ancor più evidente nella città che ha da poco assunto il suo stesso nome, Nursultan, al secolo Astana (che significa ‘capitale’, sono gente semplice i kazaki), uno dei luoghi più moderni e incredibili su cui si siano posati gli occhi di chi scrive.
Architetti di tutto il mondo sono stati chiamati a liberare la fantasia, a progettare e costruire la città dei propri sogni. Ci sono parchi immensi, viali eleganti ed edifici scintillanti, come la piramide della pace di Norman Foster, che incorpora sale dedicate al culto di tutte le religioni, o il complesso di sale per concerti dell’italiano Manfredi Nicoletti, che ricorda i petali di un fiore. Meraviglie decorate utilizzando i materiali di eccellenza di molti Paesi, tra cui l’Italia con tessuti pregiati, arredamento, marmi rari e perfino le piastrelle in finto granito da usare ai piani più alti. All’estero, hanno mangiato in tanti alla mensa di Nazarbayev.
In Kazakhstan, però, a beneficiare dell’espansione economica era soltanto un gruppo ristretto di amici fedeli, lasciando la popolazione a guardare con occhi luccicanti i nuovi palazzi, per poi tornare a vivere del sussidio statale, in case senza servizi minimi. Ebbene sì, casa di Borat non era solo scenografia.
Quando decise di “abdicare”, nel 2019, Nazarbayev decise personalmente il suo successore, un accademico, laureato in lingue straniere orientali, diplomatico di lungo corso e già due volte Ministro degli Esteri. Un uomo mite, che per 13 anni ha presieduto la federazione tennis da tavolo e che, quand’era direttore all’ONU (2011-2013), ha sostenuto fortemente il disarmo nucleare. Ora invece dice di sparare per uccidere. Il tecnocrate pacifista ha bevuto alla fonte del sistema kazako, pervaso di corruzione, clientelismo e derive autocratiche. E ne è uscito ubriaco.
Adesso che l’intervento delle “forze di pace” pare aver riportato la calma nelle strade, il Presidente dovrà tornare lucido e prendere decisioni importanti, tra cui ripristinare il Governo (proprio oggi è stato riconfermato l’ex Primo Ministro provvisorio Alikhan Smailov, subito votato all’unanimità dal Parlamento) e probabilmente reintrodurre i sussidi sul gas per rappacificarsi con il suo popolo.
Non dimentichiamo che la prima spinta verso le proteste, tutte pacifiche, dei primi giorni, riguarda proprio la decisione del Presidente di eliminare il tetto dei prezzi del gas, come accade in tutta Europa e anche in Italia, del resto. Le quotazioni a livello mondiale non permettono di mantenere prezzi calmierati, nemmeno in un Paese che vi è letteralmente seduto sopra.
Ma lo scenario di protesta, degenerato presto con l’intervento di gruppi di “specialisti della rivolta armata” anche dall’estero (le accuse del Presidente non ci sembrano del tutto infondate), presenta le caratteristiche tipiche di molte situazioni analoghe, tutte con motivazioni profonde ben diverse da quelle di superficie.
Appare almeno strano che non ci siano notizie certe su Nazarbayev, che avrebbe dichiarato, secondo organi di comunicazione di Stato, di “essere da sempre sullo stesso lato della barricata” del Presidente ma che altri sostengono sia già all’estero. Non fuggito, per carità, è all’estero per “consultazioni mediche”.
Non è chiaro se a fomentare le proteste ci fosse lui, piccato per le decisioni autonome del Presidente da lui stesso creato, che aveva epurato alcuni personaggi di spicco, oppure qualche altro “alleato” spinto da preoccupazione sincera. Quel che appare certo, è che non si tratta solo di bollette del gas.
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