«Dobbiamo curare il bene pubblico»
Intervista a Marco Wallner, coordinatore della sezione veronese di Azione, il movimento di Carlo Calenda, il cui leader pochi giorni fa ha fatto tappa in città.
Intervista a Marco Wallner, coordinatore della sezione veronese di Azione, il movimento di Carlo Calenda, il cui leader pochi giorni fa ha fatto tappa in città.
Siamo a fine novembre e fra poche settimane scollineremo nel 2022. Per Verona sarà un anno cruciale, visto che in primavera sono in programma le elezioni amministrative per il rinnovo del Consiglio comunale e della Giunta. Verona, fra l’altro, sarà il capoluogo più importante di quella tornata elettorale e vista la recente debacle del centro-sinistra delle grandi città (Roma, Napoli, Torino, Milano, Bologna) il terreno di scontro scaligero sarà particolarmente cruento.
I partiti scaldano i motori in vista della campagna elettorale che partirà ufficialmente, si presume, con gennaio, anche se ufficiosamente è già iniziata da tempo. Quello di primavera sarà un appuntamento importante per tutta la cittadinanza, chiamata a confermare il sindaco uscente (Federico Sboarina) o a dare fiducia a candidati “vecchi” (Flavio Tosi) o nuovi (Damiano Tommasi).
Ne parliamo con Marco Wallner, coordinatore della sezione locale di “Azione”, il partito fondato da Carlo Calenda, recentemente venuto a incontrare la cittadinanza veronese al Teatro Stimate.
Wallner, a dieci giorni dall’evento al Teatro Stimmate con Carlo Calenda, che bilancio possiamo fare di quell’incontro?
«Siamo contenti del successo dell’evento. Hanno partecipato 250 persone ed è un numero straordinario, se si pensa che stiamo ancora vivendo un momento difficile, con i contagi che stanno purtroppo nuovamente aumentando. Questa partecipazione ha indicato che a Verona c’è voglia di qualcosa di nuovo. È raro, infatti, che un partito nato da poco e su basi non certo ideologiche come il nostro abbia questo tipo di successo. Non abbiamo mai investito soldi in pubblicità, ma oggi possiamo già contare su una base di 300 scritti. Sono numeri da grande partito.»
Venendo all’incontro con il vostro leader, cosa è emerso?
«Calenda ha ribadito che Azione è e sarà sempre un partito che rifugge da qualsiasi tipo di ideologia. Il tema destra-sinistra ci lascia totalmente indifferenti. Noi ragioniamo su iniziative pragmatiche. Nel nostro caso per la città di Verona. Il nostro posizionamento prevede politiche di transizione ecologica e di investimento nell’istruzione (siamo il Paese con il tasso di alfabetizzazione fra i più bassi d’Europa, ndr) ma non solo. Bisogna realizzare tanti progetti per un vero rilancio, nazionale e locale, ma per farle bisogna uscire dagli schemi ideologici che tendono a mandare sempre tutto in caciara. Penso a temi come l’immigrazione e in particolare a quello dei “porti aperti sì, porti aperti no”, ma anche, più recentemente, al tema del “green pass sì, green pass no” e via dicendo. Dobbiamo fare un salto di qualità anche nel dibattito. Solo così si può crescere veramente come comunità. Durante l’incontro, poi, si è parlato di politica industriale e di problemi concreti e soluzioni per migliorare la vita dei cittadini veronesi.»
Qual è la proposta di “Azione”?
«Noi come cittadini dobbiamo iniziare a pensare che il bene pubblico è davvero un bene nostro, di tutti. Il Paese è nostro, il destino del Paese è il nostro destino. Sembrerà scontato, ma non lo è. Noi italiani abbiamo sempre un po’ l’idea che il bene pubblico sia qualcosa che non ci riguardi direttamente. Noi di “Azione” abbiamo fatto una campagna di tesseramento che dice una cosa molto banale: se si ereditasse un bar da un parente, si metterebbe a gestirlo qualcuno che ha già esperienza nel settore e sa già come muoversi o il primo che passa per la strada? È ovvio che la scelta ricadrebbe su una figura qualificata. E se si pensa così per un semplice bar perché non si dovrebbe ragionare così anche per il governo delle nostre città, Regioni, Paesi. Dobbiamo mettere persone che hanno competenza e visione strategica nei posti di potere. Facendo una battuta la questione dell’uno vale uno, per intenderci, non ha alcun senso se l’esperienza che porto a casa l’ho appena appresa su Google. Uno dei motivi che hanno portato al declino il nostro Paese e la nostra città è proprio legato a questa mentalità che ha portato a una diffusa incompetenza nei ruoli chiave.»
Verona a detta di tutti ha un potenziale enorme spesso inespresso. E così?
«Mah, guarderei la cosa sotto un punto di vista diverso. Verona non deve fare un salto di qualità. Verona deve piuttosto invertire il declino in cui si è infilata. Verona nei primi anni Duemila faceva a gara con Milano come capitale finanziaria italiana. Aveva grandi banche, assicurazioni, grandi multinazionali, un aeroporto internazionale. Noi ci vantavamo fuori dai nostri confini di essere una “provincia non provincia”, un grande capoluogo. Quando un milanese, un bresciano, un bolognese conoscevano uno studente universitario che era di Verona ma fuori sede dicevano sempre “ma tanto tu tornerai nella tua città”. Era una cosa che veniva data per scontata. Perché Verona all’epoca era attrattiva, non solo per noi veronesi, ma anche per altri. Ora, onestamente non lo è più. Le banche sappiamo che fine hanno fatto, Generali porterà Cattolica a Mogliano Veneto, l’aeroporto è già tanto se oggi ha delle tratte che collegano Verona con Monaco di Baviera. Se si guardano i numeri forniti dalla Camera di Commercio relativi al triennio 2017-18-19 (quindi pre-Covid) nei settori chiave come manifattura, agricoltura e costruzioni il saldo fra aziende aperte e chiuse è di mille in meno. Una strage. Ecco, secondo noi è arrivato il momento di tornare indietro a quello che eravamo. E lo possiamo fare perché le risorse qui ci sono. Dobbiamo però tornare a parlare di un aeroporto degno di questo nome, con collegamenti diretti con le grandi capitali d’Europa. AGSM, dal canto suo, deve ambire a una dimensione consona, magari anche attraverso un’operazione esterna con un grande player nazionale.»
Ci spieghi meglio quest’ultima idea…
«Non dico che AGSM debba essere venduta, ma che deve fare una fusione (magari con A2A o Iren, ma si tratta solo di un esempio) tenendo la maggioranza in mani pubbliche (come peraltro era previsto nel piano proposto dall’ex dirigente Finocchiaro). Deve puntare a una joint venture che la faccia aumentare di dimensioni, senza snaturarne l’anima. Se ci chiudiamo nel concetto di veronesità, però, prima o poi arriverà sempre qualcuno più grande a mangiare la nostra realtà. Vediamo quello che è successo con Cattolica dove c’era un dirigente ambizioso come Minali che voleva farla crescere e invece Verona, come da tradizione, si è chiusa in difesa e lo ha cacciato, salvo poi veder arrivare Generali a prendersi tutto.»
Chi sta facendo, secondo lei, il cammino giusto?
«A Bologna nei primi anni Duemila si viveva una crisi anche di status cittadino. Non era più la grande Bologna di vent’anni prima e stava vivendo un momento di difficoltà, sociale, economica, culturale. Invece con il tempo Bologna è riuscita a riprendere in mano il suo destino anche grazie a una cooperazione virtuosa fra Regione e Comune e all’utilizzo di fondi europei e provenienti dal MISE (Ministero per lo Sviluppo Economico, ndr), fondi che hanno permesso di erogare alle aziende più di 100 milioni di finanziamenti. A Bologna, peraltro, hanno ancora una grande banca e una grande compagnia di assicurazioni, elementi che Verona ormai non ha più. Hanno saputo inventarsi e rinnovarsi. La nostra città, invece, non ha saputo credere in sé stessa.»
Ora però stanno per arrivare i soldi del PNRR. Potrebbero rappresentare una buona opportunità?
«È un’occasione storica per una città come Verona, quasi “da dentro o fuori”. Farà la differenza fra chi è in grado di sfruttarla e chi no: chi è in grado potrà fare davvero il salto di qualità auspicato. Per gestire queste cose, però, ribadisco che ci vogliono persone competenti. Proponiamo per questo al Comune di creare un ufficio di Euro-progettazione, come esiste all’interno del Comune di Bologna. Un ufficio che si impegni a sfruttare i fondi con idee, proposte e la giusta capacità di progettazione e realizzazione dei piani di lavoro. Un tema per noi fondamentale è quello dell’idrogeno verde. In Veneto, a Marghera, esiste l’Hydrogen Park dell’Eni, ma anche a Verona abbiamo una delle aziende pioniere dell’idrogeno verde. Bisogna assolutamente sfruttare questa opportunità di business, ma per farlo ci vogliono le infrastrutture e una cooperazione fra il Comune e i grandi player internazionali. Per tutto questo, penso sia abbastanza chiaro, ci vogliono competenze specifiche. Ed è un’opportunità da non perdere.»
Draghi sembra aver dato uno scossone a certo modo di fare politica. Che ne pensa?
«Draghi è una benedizione per questo Paese. Trovare una persona con quelle competenze e capacità che si sacrifica a negoziare con tutti per portare a casa i progetti necessari per il nostro Paese è davvero una cosa a cui non eravamo abituati. Il Movimento 5 Stelle, in questo senso, ha avuto il grande “merito” di aver fatto capire alla gente che se metti le persone sbagliate al Governo di un Paese queste te lo possono distruggere in poco tempo. Ma proprio grazie all’ultima stagione politica ci siamo resi conto che questo concetto alla lunga ti porta alla rovina, con aziende che chiudono e persone che non hanno più un lavoro.»
Veniamo a Verona. Il centro-sinistra sembrerebbe stringersi compatto attorno alla figura di Damiano Tommasi. È la soluzione?
«Damiano è una grande opportunità per questa città, per cambiare marcia e per avere una nuova visione politica. Stiamo parlando di una persona perbene, di specchiata moralità, valida sotto tutti i punti di vista. C’è qualcuno che vuole farlo passare per una “figurina”. Invece ha un passato e un presente importante. Il fatto che sia stato un calciatore di successo è per certi aspetti un bene, almeno da un punto di vista della notorietà, ma ricordiamo che ha anche un passato importante come Presidente dell’Associazione Italiana Calciatori, ruolo che ha svolto per tre mandati (9 anni, ndr) e che oggi è un imprenditore di successo in un ambito cruciale come quello della formazione. È una persona a tutto tondo che può portare una visione nuova per la nostra città.»
Quali sono, secondo lei, le priorità che dovrebbe avere la nuova amministrazione, a prescindere da chi sarà il sindaco di Verona dal 2022 in poi?
«Ne dico tre. In primis bisogna adoperarsi per un vero rilancio economico della città, il che vuol dire prevedere sia la rivisitazione della strategia che riguarda partecipate, con i dossier su AGSM, aeroporto e fiera da curare in via privilegiata, sia un rilancio degli incentivi alle aziende, che comporti a sua volta anche una riqualificazione delle aree industriali. Poi ci metto la viabilità: traforo delle Torricelle, filobus ma in generale anche una riprogettazione generale della viabilità cittadina, con corsie preferenziali o parcheggi scambiatori. Si parla sempre di grandi progetti faraonici, che poi puntualmente non si riescono a realizzare, ma basterebbe partire da queste piccole cose, che poi tanto piccole non sono. Infine è necessario prevedere un piano più incisivo di iniziative sociali a sostegno delle fasce più deboli. Verona è una città ancora molto ricca ma nasconde sacche di povertà che si stanno allargando.»
Ultima domanda: sul fronte cultura cosa proponete?
«È un ambito importantissimo, che si collega al turismo. Noi a Verona abbiamo da sempre turisti che rimangono in città pochi giorni, se non addirittura poche ore. Dobbiamo assolutamente scappare dalla trappola di essere una grande San Gimignano o una piccola Venezia. Dobbiamo rilanciare un turismo di alta fascia. Per far questo andrebbe completamente rivista l’offerta culturale. Occorre creare un polo museale di importanza nazionale, con grandi mostre temporanee oltre che esposizioni fisse. Infine bisognerebbe rivedere anche l’offerta teatrale, che non può essere di buon livello solo in estate, quando utilizziamo l’Arena o il Teatro Romano, ma deve garantirlo sempre, nell’arco di tutto l’anno.»
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