La violenza sulle donne assume le forme più varie, estreme e subdole: dagli abusi sessuali allo stalking, le molestie sul posto di lavoro, gli stupri. E poi gli stupri di guerra, le mutilazioni genitali femminili, le aggressioni con l’acido, i femminicidi. Un elenco terribile, disturbante.

La violenza si consuma sovente tra le mura domestiche come  fisica, psicologica, sessuale, economica. Difficile da individuare, sovente non denunciata e quindi sottaciuta come forma di sopruso.

É del 1999 la risoluzione 54/134 dell’Onu che indica nel 25 novembre la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro la donna. Da allora i governi, le organizzazioni internazionali, le Ong, le associazioni sono chiamate a organizzare attività volte a sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema della violenza contro le donne o violenza di genere.

Anche il Comune di Verona, con l’Assessorato Pari Opportunità, insieme a una rete di istituzioni e associazioni del territorio, tra cui la Consulta delle associazioni femminili, anche quest’anno ha costruito un programma di iniziative per mantenere viva l’attenzione sulla prevenzione e il contrasto alla violenza sulle donne.

Una nuova definizione di reato

Nel panorama legislativo italiano il termine femminicidio ha fatto la sua comparsa con la legge 93/15 ottobre 2013. Secondo l’indagine Istat del 2014, il 31,5% delle donne italiane tra i 16 e i 70 anni d’età aveva subito almeno una forma di violenza fisica o sessuale. Il rapporto Eures sui femminicidi in Italia tra il 2000 e il 2020 denunciava 3344 donne uccise. E per l’Osservatorio analisi criminale della Polizia di Stato quest’anno non ancora concluso ha registrato 103 donne uccise, una ogni tre giorni. Sono numeri che si commentano da soli.

I simboli del contrasto alla violenza

Nelle nostre città sono comparse le Panchine rosse, simbolo del percorso di sensibilizzazione, per dimostrare una presenza accanto e per le donne che cercano di uscire dalla condizione di violenza, e per ricordare le donne che hanno perso la vita per femminicidio. Il numero antiviolenza 1522 vi è chiaramente indicato e rappresenta un primo aiuto offerto in caso di emergenza, risponde un servizio istituito dal Dipartimento delle Pari Opportunità del Consiglio dei Ministri ed è attivo 24h su 24.

Un particolare del murales con le Scarpe rosse, simbolo del femminicidio, che si trovava su Stradone Santa Lucia. Fu cancellato nel novembre 2019 e mai più realizzato, nonostante le promesse dell’amministrazione di trovare un nuovo spazio.

L’artista messicana Elina Chauvet, nell’opera Zapatos Rojas, ha ricordato con scarpe rosse, come il sangue, le centinaia di donne rapite, stuprate e uccise a Ciudad Juàrez, al confine con gli Stati Uniti, dove dal 1993 si sono moltiplicati gli atti di violenza sempre senza alcuna considerazione dalle autorità. Ed è lì che l’artista ha realizzato la prima installazione con centinaia di scarpe rosse, a simboleggiare il sangue versato dalle donne. 

Da allora le scarpe rosse hanno fatto la loro comparsa in ogni parte del mondo e raccontano una silenziosa marcia femminile per il diritto di esistere senza essere oggetto di violenza.

I centri antiviolenza

Sono i luoghi in cui si offre consulenza e accoglienza alle donne che stiano subendo o abbiano subito violenza. Rappresentano gli unici posti sicuri a cui rivolgersi in stato di necessità, però soffrono da sempre una cronica e strutturale mancanza di fondi.

Al momento si conosce lo stanziamento di circa sei milioni di euro fatto dal Dipartimento per le Pari Opportunità, diretto dalla ministra Elena Bonetti, per consentire alle Regioni di potenziare i servizi di protezione. Solo in dieci, fra cui il Veneto, hanno reso noto come sono stati impiegati i fondi e la maggior parte di essi viene spesa per aiutare le donne a rifarsi una vita.

(La scorsa settimana è stato presentato in Consiglio dei Ministri il Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2021-2023, con un investimento in legge di bilancio pari a 30 milioni di euro, cui si aggiungono 5 milioni di euro per l’attuazione del Piano e altrettanti per l’attuazione del Piano parità, ndr). 

La responsabilità di educare

C’è un aspetto che non andrebbe sottovalutato: ben vengano i discorsi e le analisi fatte nella giornata del 25 novembre, ne sentiremo parecchi, ma non va sottovalutata l’azione educativa che possono svolgere, ogni giorno, le scuole e le donne.

Questo è un argomento spinoso che si preferisce non toccare, ma pare evidente che uomini violenti siano stati bambini e abbiano ricevuto esempi e insegnamenti che li hanno portati a credere alla loro presunta superiorità sulle donne, fino alla sopraffazione.

Non va poi dimenticato che il linguaggio crea i significati, li conserva e li trasmette: è portatore di rappresentazioni, valori morali, stereotipi, pregiudizi e condiziona il comportamento dei parlanti.

Due bambine si divertono con un classico “gioco da maschi”. Foto di Foto di Polesie ToysPexels.

Quante frasi fatte, luoghi comuni, proverbi hanno avallato e continuano a favorire un ordine gerarchico che sminuisce o ignora il merito delle donne? Pensiamo ai titoli politici e professionali, per esempio, quasi fosse più autorevole dire ingegnere e non ingegnera, medico e non medica, sindaco e non sindaca, ministro e non ministra, termini attestati nei dizionari fin dagli anni Settanta del secolo scorso, eppure ancora scarsamente usati quando non derisi.

Non siamo più nell’Ottocento, si dirà, vero. Eppure persiste un modo diverso di educare i bambini e le bambine, dando loro più o meno consapevolmente una altrettanto diversa prospettiva di vita.

Raramente si regalano armi giocattolo e automobiline alle bimbe, e ai ragazzi difficilmente si regalano scopa e paletta, bambolotti e tegamini. I bambini si preparano così ad avere il potere fuori e dentro casa, alle bimbe resterà il dominio della cucina e il compito di cura.

A fronte della scarsità di fondi messi a disposizione per la prevenzione, la promessa di un futuro senza violenza sulle donne sembra riposto in gran parte nei giovani genitori e negli/nelle insegnanti, che sappiano trasmettere valori ed esempi sostanziali di parità e rispetto a quelli che saranno gli adulti di domani.

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