Torna Mainetti con uno spettacolo solo per gli occhi
Freaks Out, ovvero quando la sceneggiatura sarebbe il vero super-potere. Che invece non c’è.
Freaks Out, ovvero quando la sceneggiatura sarebbe il vero super-potere. Che invece non c’è.
Nella bellissima serie televisiva Ted Lasso, l’allenatore protagonista appende nello spogliatoio dei calciatori un cartello con la scritta “Believe” (“Credici”). Ecco, forse ingenuamente pensavo che il regista Gabriele Mainetti avesse appeso nel suo studio un altro messaggio motivazionale, preso da una celebre frase pronunciata nientemeno che da Billy Wilder:
«Sceneggiatura splendida più cattivo regista, uguale possibilità di un buon film. Cattiva sceneggiatura più grande regista, uguale pessimo film».
Mi sbagliavo. E di grosso. Oppure il cartello gli dev’essere caduto, o andato a fuoco, al termine della lavorazione della sua precedente pellicola, altrimenti non mi spiegherei molte cose.
Già nei primi minuti di proiezione comincia a insinuarsi il sospetto che la sceneggiatura non sarà il punto forte di Freaks Out e, purtroppo, basta poco per averne la definitiva conferma; per tutto il tempo ho sperato tantissimo, lo giuro, in un colpo d’ala, in un approfondimento dei personaggi che non si limitasse a qualche battuta in romanesco, così come a una svolta del soggetto che, invece, racconta una storia prevedibile in ogni suo minimo risvolto e già raccontata meglio in altri contesti.
Lo spunto iniziale alla “Gli X-Men rivisitano la Storia, perché se lo ha fatto Tarantino lo faccio anch’io” poteva starci e, infatti, ci sta. Peccato che sia tutto qui. E non voglio certo sminuire il notevole sforzo produttivo, che in Italia un film con una confezione come questa forse non lo abbiamo mai visto, ma bisogna anche essere onesti e porsi una domanda: andreste a cena con una bellissima donna (o uomo, o chi volete voi), che non ha nulla da dire, con un cervello grande come una nocciolina che le consente sì e no di ordinare le pietanze dal menù impugnato al contrario?
Chi ha risposto «Sì» può anche andare oltre e leggersi un’altra recensione, per tutti gli altri vorrei puntualizzare una cosa: mi capita spesso di ascoltare sommari (e somari) giudizi del tipo «I film di supereroi sono solo effetti speciali» quando ammetto – senza vergogna alcuna – di andarli a vedere tutti, in quanto appassionato di fumetti Marvel e DC Comics da sempre.
Bene, sappiate che non è per nulla così, perché la regola di Wilder vale per chiunque, persino per SpiderMan. Poi, è vero, le sceneggiature dei cinecomics sembrano scritte con il metronomo, calibrate con precisione millimetrica per alternare scene d’azione a momenti più intimi e con battute qua e là a far da contorno. Però, anche in quell’universo, ci sono lavori riusciti bene e altri meno, o ancor peggio.
Mainetti, con il suo Lo chiamavano Jeeg Robot (2015), aveva sopperito alla mancanza di budget con una maniacale cura della sceneggiatura scritta da Menotti (alias Roberto Marchionni, un noto fumettista), dando vita a un supereroe di borgata e alla sua crudele nemesi che ancor oggi ci ricordiamo, grazie anche alle ottime interpretazioni rispettivamente di Claudio Santamaria e di Luca Marinelli.
Con Freaks Out decide di debuttare come sceneggiatore sul grande schermo, aiutato da Nicola Guaglianone autore del soggetto. Ed è un disastro. L’incapacità di scrittura fa sì che ai protagonisti non ci si affezioni neppure per mezzo secondo, quindi va a farsi benedire l’empatia necessaria per creare un legame tra loro e lo spettatore, mentre per il macchiettistico cattivo si prova quasi pena e, forse, non era esattamente nelle intenzioni iniziali, dato che è un nazista assassino e maniaco, per non parlare degli altri personaggi di contorno, tipo gli sgarrupati partigiani che, per far capire che sono tali, devono subito intonare in coro “Bella ciao”.
Già sentire nel trailer la frase «Il mio non è un dono, ma una maledizione» mi aveva fatto accapponare la pelle, però «suvvia – mi sono detto – è solo un trailer!». Invece sono due ore e ventuno minuti scritti esattamente così, con questo tono e questa grazia, impreziositi “solamente” da una buona messa in scena (Mainetti in questo non è certo l’ultimo della classe), dalla bellissima fotografia di Michele D’Attanasio, dagli ottimi effetti speciali che nulla hanno da invidiare agli amici oltreoceano e dall’onnipresente musica realizzata dallo stesso regista con Michele Braga.
Credetemi se vi dico che sono entrato in sala con le migliori intenzioni, incurante di dover percorrere diversi chilometri in auto sotto una pioggia battente e di pagare il biglietto d’ingresso in un giorno festivo, dato che un film italiano di genere che sfida produzioni americane sullo stesso terreno di gioco non è certo roba che si vede tutti i giorni.
Ho ammirato anche la cocciutaggine dell’autore a non volersi piegare ai vari servizi di streaming come Netflix, questo malgrado la pellicola fosse pronta già da un anno, perché meritava comunque il grande schermo, ma voler passare da autore ad Autore non si è dimostrata un’impresa facile. Per farlo serviva davvero un superpotere che Mainetti, al momento, ancora non ha: l’umiltà.
Voto: 2,5/5
Freaks Out di Gabriele Mainetti
con Aurora Giovinazzo, Claudio Santamaria, Pietro Castellitto, Giancarlo Martini, Giorgio Tirabassi, Max Mazzotta e Franz Rogowski.