I nodi della robotica sul manifatturiero
Stabilità lavorativa e salari: come incide la tecnologia e il suo sviluppo accelerato sul mondo del lavoro, specie nei settori produttivi?
Stabilità lavorativa e salari: come incide la tecnologia e il suo sviluppo accelerato sul mondo del lavoro, specie nei settori produttivi?
Bacia la mano che non puoi tagliare
Proverbio Tuareg
L’impatto dell’automazione nel mondo del lavoro incide particolarmente sui settori dove il lavoro è pesante e ripetitivo; non è un fenomeno nuovo, anzi, tipico del ‘900, ma oggi l’ampliarsi dei campi di utilizzo e dell’autonomia della robotica e dell’IA nello svolgimento di pratiche sempre più complesse rischia di essere devastante per il mondo del lavoro nel suo aspetto occupazionale.
È dal 2013, con lo studio Carl Frey e Michael Osborne, che si è cominciato di leggere il futuro del mondo del lavoro alla luce dell’evoluzione della tecnologia intelligente. Già il rapporto dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (European Agency for Safety and Health at Work) del 2015 segnalava tra i vantaggi l’utilizzo dei robot al posto delle persone che oggi sono obbligate a lavorare in ambienti insalubri o pericolosi. Questo è certo un contributo positivo, visto che ad agosto 2021 il conto dei morti sul lavoro, secondo Inail, è di 677, compreso il caso di Luana D’Orazio che ha scosso l’opinione pubblica.
Per un confronto sul campo, proviamo a vedere gli effetti della robotizzazione in Germania, la locomotiva d’Europa ed essenziale partner commerciale del Veneto, in un rapporto del 2017. Sostanzialmente, le analisi mostrano che la robotizzazione non ha causato perdite di posti di lavoro complessive, ma influisce piuttosto sulla composizione dell’occupazione, incidendo in particolar modo sul settore della produzione: si stima infatti che ogni robot sostituisca circa due lavori di produzione. Ciò ha implicato una perdita totale di 275.000 posti nel manifatturiero nel periodo 1994-2014, circa il 23% del calo complessivo durante quei due decenni. Questa perdita sarebbe stata completamente compensata (o anche leggermente sovracompensata) da posti di lavoro aggiuntivi nel settore dei servizi.
Quindi, la lezione che possiamo trarre dall’esempio tedesco sarebbe che i lavoratori altamente qualificati in occupazioni manageriali e scientifiche tendono a beneficiare della robotizzazione sia in termini di stabilità lavorativa e salari; a rischio sono invece i lavoratori mediamente qualificati che svolgono principalmente attività manuali di routine che devono affrontare perdite significative di guadagni dall’aumento dell’esposizione dei robot. Questo, in effetti, sembrerebbe concordare con un’altra indagine del 2019 – stavolta su scala mondiale – che, oltre a sottolineare gli innegabili vantaggi produttivi e le ricadute sulla crescita, rimarca il limite attuale maggiore, ovvero che sarà ancora il settore manifatturiero a essere falcidiato, in particolare in Cina, dove eserciti di lavoratori potrebbero essere sostituiti da macchine; circa 1,7 milioni di posti di lavoro nel settore manifatturiero sono già stati persi a causa dei robot dal 2000, di cui 400.000 in Europa, 260.000 negli Stati Uniti e 550.000 in Cina. Oxford Economics stima fino a 20 milioni di posti di lavoro nel settore manifatturiero persi a causa dei robot entro il 2030. Un esempio nostrano di lungo periodo: se negli anni ‘70 lo stabilimento FIAT Mirafiori contava quasi 70.000 dipendenti, nel 2020 ne contava meno di 10.000, di cui 2900 addetti alle carrozzerie.
Da un’indagine effettuata da Unioncamere Veneto del 2019 emerge che il 44,5% delle imprese del manifatturiero del Veneto con almeno 10 addetti ha dichiarato di aver adottato una o più tecnologie previste dal Piano Industria 4.0, in linea quindi con la tendenza generale mondiale; gran parte di queste aziende, sempre in linea con le previsioni, ha dichiarato un aumento del fatturato consistente e di contro appare come le imprese meno propense alla digitalizzazione riscontrino una contrazione del fatturato. Quindi, l’innovazione paga in termini di fatturato; tuttavia, il possibile impatto sul lungo termine in termini di occupazione è nei numeri, anche se il Veneto mostra anche una ridotta propensione delle sue aziende ad investire nell’intelligenza artificiale.
Secondo il Rapporto Verona 2040 l’economia veronese è fortemente connessa con i mercati internazionali; l’impressione generale è che nel campo dell’innovazione Verona vanti anche eccellenze in una situazione complessiva però di ritardo rispetto ad altre realtà. “Verona, infatti, si posiziona solo al 39esimo posto per propensione all’innovazione, con un indice del 18% inferiore rispetto ai best performer Bologna e Milano.” Non solo: sulla “propensione del sistema imprenditoriale ad orientarsi verso attività ad alto contenuto innovativo; Verona mostra percentuali modeste (il 5,9%), da paragonare, in Veneto, al 13,5% di Vicenza, al 9,3% di Padova o all’8,5% di Treviso.” Una situazione, quindi, di chiaroscuri. Se focalizziamo il manifatturiero, Verona punta al momento sull’agroalimentare e sull’industria delle bevande, “comparto che da solo assorbe il 21,8% del totale degli addetti manifatturieri, dato da confrontare con il 12% medio nazionale.” Aziende, quelle dell’agroindustriale, in termini di addetti molto più consistenti rispetto alla media italiana (27,8 addetti per impresa nel 2018 contro gli appena 7,9 medi nazionali). “Altro settore centrale per l’economia provinciale è il comparto della fabbricazione di macchinari e apparecchiature per usi generali e speciali, che pesa oltre il 16% in termini di addetti (12,5% è la media nazionale)”.
Se la forza di Verona si gioca su un mix che mescola tutti i settori produttivi, l’impatto della robotica e delle IA nel settore manifatturiero locale sembra meno preoccupante dal punto di vista dell’occupazione, anche grazie alla vocazione agroalimentare della nostra provincia; tuttavia, questo pone però dei dubbi sulla competitività a lungo termine del sistema nordest.
Ritornando sul panorama generale, in un articolo di Donovan Alexander del 2020 viene sottolineato che verranno creati anche molti nuovi posti di lavoro e che sul lungo periodo l’effetto dovrebbe essere positivo per l’economia nel suo complesso, così come nel rapporto della Oxford Economics del 2019 si dichiarava che i vantaggi in termini di produttività derivanti dall’automazione dovrebbero stimolare la crescita. Questo ottimismo, però, è da prendere con le pinze, perché di fatto poi la produzione deve essere assorbita dal mercato e questo risulta problematico sia in caso di sovrapproduzione quanto di ridotta capacità di acquisto causata dalla compressione o dalla perdita del reddito, come abbiamo potuto constatare. L’esempio tedesco ci insegna che solo i sindacati fanno da argine alla meccanizzazione e alla salvaguardia dei salari e che i robot sembrano aver contribuito al declino della manodopera e della quota di reddito.
Non solo: il rapporto del 2015 segnalava che gli effetti della robotica sulla motivazione e sul benessere dei lavoratori e dei dirigenti sono noti solo in parte e che i fattori psicosociali collegati alla robotica richiederanno una maggiore attenzione nel campo della sicurezza e della salute. Prendiamo il modello Amazon: “un’organizzazione del lavoro meticolosa e scandita da quello che qui chiamano Il Sistema: il misterioso algoritmo che governa ciò che altrimenti sarebbe Il Caos. Tuttavia, anche Il Sistema deve per forza coordinarsi con menti e corpi umani: la merce dagli scaffali non si muove da sola, non ancora.” Ed è anche per questo che nel 2021 i drivers di Amazon sono scesi in piazza, sfiancati dai ritmi forsennati dell’algoritmo che conosce l’efficienza ma non la fatica e le necessità dell’uomo. In merito agli stipendi bassi, effetto dell’ostilità di Amazon verso i sindacati e in linea con il rapporto tedesco, i primi effetti dell’accordo del 21 settembre 2021 con le sigle sindacali sono recentissimi e vedono un aumento della la retribuzione d’ingresso dell’8%.
Il mantra rassicurante, dunque, è che i posti di lavoro persi saranno compensati da nuove occupazioni nel terzo settore e che l’avvento dei robot comporterà una diminuzione dell’occupazione per i lavoratori con competenze medie, ma pure un aumento dell’occupazione per i lavoratori a bassa e alta qualificazione, almeno secondo lo studio The Robot Revolution: Managerial and Employment Consequences for Firms del 2020. Forse è vero limitatamente allo sviluppo della robotica: con il progredire in parallelo delle IA, vedremo come anche ‘i colletti bianchi’, i lavoratori del terziario e coloro che hanno un titolo di studio sono a rischio, e parecchio.
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