L’Italia del volley maschile bissa l’oro continentale già conquistato dalle ragazze di Mazzanti poche settimane fa e torna al successo in una manifestazione internazionale dopo lunghi anni di digiuno. Una vittoria non pronosticabile, strepitosa, conquistata al termine di un torneo chiuso senza sconfitte e giocato in un crescendo di qualità e intensità agonistica che mai ci saremmo aspettati da un gruppo nuovo, giovane e privo di esperienza. Per comprendere al meglio la portata di tale risultato sportivo, occorre andare indietro di qualche anno.

Anno 2015: Mauro Berruto, all’epoca commissario tecnico della Nazionale, chiude la propria esperienza alla guida degli azzurri dopo aspre polemiche con i giocatori legate al comportamento degli stessi. Nessuna mediazione possibile, le Olimpiadi alle porte impediscono tempi lunghi per affrontare al meglio il caso e la nazionale viene affidata a Gianlorenzo Blengini, fino a quel momento viceallenatore e dal palmares non certo ricco di successi e allori quanto viceversa molti dei suoi illustri predecessori. La scelta appare da subito come un patto di non belligeranza tra i giocatori più influenti e lo staff tecnico che, da quel momento in poi, ammorbidisce lo stile di leadership e delega agli stessi atleti la piena responsabilità di offrire le performance sportive. I sei anni che seguono e terminati con la delusione olimpica di Tokio rappresentano il fallimento totale di quella scelta. A prescindere dal gioco espresso e dagli scarsi successi raggiunti, quella di Blengini è stata una nazionale che non ha appassionato, grigia, affatto coinvolgente, molto spesso proprio brutta da vedere in quanto senza freschezza, senza idee e senza la possibilità di riunire il gruppo attorno a dei principi. Una nazionale legata alle individualità, non da portare d’esempio ad un movimento pallavolistico ancora ancorato, a piena ragione, alla generazione di fenomeni e al loro modo di interpretare lo sport.

Estate 2021: la Federazione, per ripartire con un nuovo ciclo, nomina CT Ferdinando “Fefè” De Giorgi, insignito del ruolo già prima delle Olimpiadi. Appena silurato dallo spogliatoio di Civitanova, guarda caso sostituito proprio da Blengini, De Giorgi si mette all’opera per ricostruire dalle fondamenta la nazionale, con un approccio e uno spirito diverso. Quello che è accaduto poi è la pura e semplice cronaca degli Europei. Un successo. Un girone eliminatorio giocato in crescendo e senza apparenti sforzi, un tabellone ad eliminazione diretta anche un po’ fortunato, ma in cui gli azzurri sono stati capaci in ogni caso di battere Germania e Serbia, maggiormente attrezzate dell’Italia nei pronostici della vigilia. Infine, il capolavoro in finale contro la Slovenia, la più forte tra le avversarie in quanto a compattezza, preparazione tattica e intensità agonistica. La giovane Italia ha barcollato, ha inseguito, ha subito, ha poi sfruttato appieno l’incapacità slovena di chiudere i conti nella fase centrale del quarto set – errore grave – ed è definitivamente esplosa in tutto il suo furore agonistico nel tie break, peraltro cominciato sotto 0-3. Ha vinto soffrendo, maturando come collettivo in campo, proprio quando quasi tutti stavano per darla per spacciata.

In tanti ora gridano al miracolo sportivo, invocano De Giorgi come nuovo Pontefice, erigono statue a Alessandro Michieletto o a Simone Giannelli. Parlare di miracolo però sminuisce la portata del risultato e gli pone un accento di casualità che è del tutto fuorviante. Certo, poteva non andare così e l’Italia senza dubbio ha avuto anche un pizzico di buona sorte in alcuni episodi o nello sfuggire ad abbinamenti molto complicati contro Polonia e Francia, due squadre che per caratteristiche avrebbero complicato maggiormente il cammino azzurro. Rimane però il fatto che questo è un successo costruito. Innanzitutto, occorre porre l’attenzione su quanto lavoro e investimento giovanile ci sia in questa nazionale. Se un Giannelli nasce ogni trent’anni – ma si sviluppa grazie al buon lavoro – un collettivo così pronto, maturo, preparato tecnicamente e tatticamente, lo si porta in nazionale solo se la scuola italiana di pallavolo funziona. E in questo occorre dire grazie soprattutto a Trento e a poche altre eccellenze che hanno saputo educare a tutto tondo i nostri atleti. In seconda battuta occorre evidenziare la netta inversione di tendenza nella guida tecnica e nello stile. De Giorgi non ha sostituito il lassismo della precedente gestione con una improvvisa autorità, che forse sarebbe stata fuori luogo in un gruppo giovane e bisognoso di fiducia, ma con un’autorevolezza dettata dal carisma, dalla pacatezza e dal buon senso. Lo si è apprezzato anche in finale, nella gestione dei time out e nel linguaggio del corpo a bordo campo. Non credo che in queste settimane De Giorgi si sia inventato qualcosa di particolare, né a livello tecnico e nemmeno a livello tattico. Ha prediletto le cose semplici, chiare e ben eseguite. Ha però trasmesso, aspetto più importante, tramite il proprio esempio di persona e atleta, i valori necessari a creare un collettivo coeso e determinato.
Infine, per ogni successo servono gli interpreti giusti. Simone Giannelli e Simone Anzani erano gli unici giocatori già maturi e affermati in campo internazionale, atleti di cui ormai conosciamo virtù e limiti. Sono gli altri, ancora sconosciuti a livello planetario, ad aver fatto la differenza mostrando il loro vero volto. Chi rimpiange lo “Zar” Ivan Zaytzev se Giulio Pinali gioca una semifinale clamorosa e Yuri Romanò entra nel quarto set di finale tirando a tutto braccio ogni palla che gli capita sopra al nastro? Chi vorrebbe ancora in nazionale un Massimo Colaci, se Fabio Balaso è quello visto in questa rassegna? I social lo stavano già prendendo di mira durante la finale per alcuni errori effettuati mentre veniva preso a pallate dagli Sloveni, ma nel quinto set è stato decisivo. Chi, infine, pur riconoscendogli le stimmate del campionissimo, richiederebbe ora ad uno Osmany Juantorena con i migliori anni alle spalle, di sostituire un Michieletto, giocatore totale, o un Daniele Lavia, capace di esprimere tutta la sua tecnica e tutta la sua “garra” in ogni momento importante di questo europeo? Impossibile che ci si possa abbandonare ai rimpianti di ciò che la nazionale si è lasciata alle spalle perché questi atleti hanno fame, belle facce, sono cresciuti con sani principi sportivi e non sembrano avere la necessità di ostentare il proprio ego a vantaggio di telecamera. Finalmente! Questo è ciò che ha appassionato il pubblico e i tifosi e che ha segnato una gradita, e auspicata da anni, inversione di tendenza.

Nel risultato di questi campionati europei, imprevisto e del tutto in anticipo rispetto alla maturazione di questo gruppo, c’è una sensazione di predestinazione. Molti atleti hanno fatto intuire di essere veri e propri campioni, di quelli che non sbagliano quando conta. Se sarà magia di un’estate o qualcosa di più duraturo lo vedremo in seguito. L’Olimpiade parigina però non è lontana. Non sarà affatto facile qualificarsi con tutti i riflettori puntati addosso, ma ci sono diversi segnali, nelle maglie di questo successo davvero impronosticabile, che lasciano spazio a qualche fantasia o sogno ancora mai realizzato dalla nazionale azzurra.

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