Prosegue anche a settembre il Festival della Bellezza 2021, che quest’anno ha scelto una formula diffusa non solo nel tempo (iniziato a luglio, è proseguito ad agosto e ora pure a settembre e nei prossimi mesi), ma anche nello spazio. Non più una sola location o comunque solo Verona, ma spazi nuovi (e meravigliosi) portati alla conoscenza del pubblico. Con l’inizio di settembre la kermesse si è trasferita a Villa Mosconi-Bertani, in Valpolicella, con due eventi che hanno registrato un buon successo di pubblico.

Stefano Massini

Dopo il concerto di mercoledì 1 settembre della pianista Frida Bollani Magoni, giovedì 2 settembre, nel tardo pomeriggio e con un tramonto che si spegneva lentamente dietro le dolci colline di Arbizzano, il giornalista e scrittore Stefano Massini si è dilettato con un discorso di circa un’ora dedicato interamente alla nostra identità e alla scoperta di ciò che è veramente bello. Che, parlando di persone, Massini ha subito chiarito non ha nulla a che vedere con l’avvenenza. L’esempio fatto in primis è quello di Henry Toulouse-Lautrec, il celebre pittore francese che fece perdutamente innamorare una delle donne più belle dell’epoca, nonostante la sua evidente bruttezza esteriore causata da una malattia che lo aveva afflitto fin da piccolo. “Da quando ho perso lui ho perso la bellezza” risponde la donna a chi le chiedeva come potesse una creatura meravigliosa come lei struggersi d’amore, una volta lasciata, per quell’essere “deforme”. Eppure… Eppure la bellezza, sta proprio nella sorpresa indefinita di scoprire ciò che siamo e ciò che non siamo, non solo agli occhi altrui ma soprattutto ai nostri. E in questo senso sono numerosi anche gli esempi, tutti storici, che Massini pone all’attenzione del pubblico.

A cominciare da quello di Ana Alvarez, la ventottenne messicana che sopravvisse ben dodici giorni senza bere e senza mangiare, con un filo d’aria, sotto le macerie di un palazzo di sette piani crollato a causa di un devastante terremoto a Città del Messico. E questo nonostante avesse sempre pensato di essere claustrofobica. Lei stessa non sapeva spiegare come avesse potuto resistere in quello spazio angusto, sotto chili e chili di mattoni e polvere, per così tanto tempo.

Oppure l’esempio di Edith Piaf che, costretta in tenerissima età dal padre aguzzino e aspirante circense a svolgere per il pubblico esercizi pericolosissimi e quasi certamente per lei mortali, trovò inaspettatamente la salvezza cantando disperata e con la sua voce d’usignolo in modo da incantare gli astanti e convincerli che sarebbe stato meglio per tutti che lei avesse continuato a cantare. E da quel momento si avviò la carriera di una delle più grandi interpreti della storia della musica.

Oppure, ancora, quello di Wolfgang Goethe, colto per mesi da struggente nostalgia durante la “campagna militare di Francia” – alla quale partecipò come soldato – e che, quando finalmente si ritrovò sul battello fluviale per tornare a casa, scoprì che invece a farlo star veramente male era proprio il pensiero di tornare ai luoghi natii. A quel punto il giovane scese dal battello e si avviò per un lungo viaggio, lontano da casa, che peraltro contribuì a farlo diventare l’acuto scrittore che tutti conosciamo. Un mistero, questo improvviso sentimento, che lui stesso non seppe spiegare.

Oppure, infine, il primo approccio alla musica di un giovanissimo e poverissimo Louis Armstrong, che pur non sapendo eseguire melodie con la tromba appena mise la bocca e le mani sullo strumento – peraltro tutt’altro che facile da suonare – seppe subito, grazie a una misteriosa spinta interiore, come emettere alcune note. Scoprendo in quel modo di avere un talento che poi lo ha catapultato nell’Olimpo del jazz del Novecento.

Insomma, gli esempi che Massini propone al pubblico sono, uno dietro l’altro, coerenti con l’idea che la nostra identità in realtà non è realmente nota nemmeno a noi, se non quando veniamo posti di fronte a situazioni estreme o comunque mai affrontate prima e che ci pongono di fronte a un bivio, spesso decisivo per la nostra vita.

Quando infine arriva a Dante, Massini – nel recitare il primo canto dell’Inferno e l’ultimo del Paradiso, l’inizio e la fine della Commedia – si commuove a pensare a quanto lo stesso Alighieri, 700 anni fa, invitava l’uomo e il suo spirito a sporcarsi, letteralmente, con il fango del proprio “io” pur di riuscire a ritrovare la propria essenza e tornare “a riveder le stelle”. Un processo, questo dello scendere nel profondo abisso della nostra anima, che Dante ritiene necessario per riscoprire la propria essenza e dare un senso compiuto alla nostra esistenza. Perché è quando ci ritroviamo in crisi che, probabilmente, scopriamo la verità su noi stessi. Una verità che è bella e terrificante allo stesso tempo, spiazzante, perché quasi mai corrispondente ai calcoli e ai progetti che avevamo fatto su noi stessi e frutto – questi ultimi – di proiezioni evidentemente non reali.

Lo stesso Sommo Poeta, sottolinea Massini durante la sua performance, quando si ritrova al cospetto di Dio e della sua eterna bellezza non sa trovare le parole. E non se ne vergogna, ma lo ripete più e più volte. Perché la vera bellezza è indefinibile e impossibile da catalogare. Perché è la felicità sfuggente, spesso rimandata e quasi mai assaporata in pieno, che deve essere colta, anche se si manifesta un solo attimo nell’arco di tutta la nostra esistenza, breve o lunga che sia. Perché per quell’attimo, in fondo, vale la pena vivere. E Massini, con il suo accorato appello, ci indica la via. Grazie alle parole di Dante e alle esperienze di chi in passato ha fatto della propria vita un’opera d’arte.

Il Festival tornerà dall’12 al 14 settembre al Teatro Romano con una nuova serie di incontri “veronesi” (Gino Paoli e Danilo Rea, Luca Barbareschi, Arianna Porcelli Safonov e Vittorio Sgarbi) per poi uscire dalla nostra provincia e trasferirsi in autunno a Bibiena (Mantova), Padova, Firenze, Vicenza e Salò.

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