Vecchi e nuovi Talebani
Quali sono le differenze, in Afghanistan, fra chi era al potere prima dell'arrivo degli Americani e chi lo è oggi?
Quali sono le differenze, in Afghanistan, fra chi era al potere prima dell'arrivo degli Americani e chi lo è oggi?
I Talebani oggi al potere in Afghanistan sono gli stessi di vent’anni fa o sono cambiati? Questo è un quesito che si pongono in tanti. E la quasi totalità propende per un secco “no”, i Talebani sono sempre gli stessi, ieri come oggi. Ed effettivamente può essere che sia così. Ma venti anni sono il passaggio di una generazione e moltissime cose sono effettivamente cambiate nel mondo ed anche in Afghanistan. E poi la storia non si ripete mai esattamente eguale.
Prima di approfondire le caratteristiche dei “primi” Talebani e di quelli odierni, è opportuno richiamare due elementi, non sempre tenuti nella dovuta considerazione.
Il primo è che la Sharia, la legge islamica, non venne introdotta in Afghanistan dai Talebani ma esisteva già da varie generazioni. Solo che veniva interpretata secondi i canoni tribali afghani, con moderazione, pragmatismo, tolleranza e buon senso. Nell’economia del “bazaar” convivevano pacificamente musulmani, indu, sikh, ebrei. La religione islamica era inoltre temperata dal sufismo, una pratica di perfezionamento interiore dei dati religiosi nata per contrastare la rigidezza del dogma. In sostanza per i sufisti essa equivaleva ad una celebrazione della vita di personaggi mistici, ma molto radicati nell’animo dei fedeli. Per questo i Talebani l’hanno immediatamente combattuta, giudicandola blasfema. In secondo luogo il sostegno dato all’Islam sunnita radicale serviva anche a controbilanciare un decennio di “deislamizzazione forzata” che i Sovietici avevano cercato (invano) di imporre al Paese.
I “primi” Talebani sorsero nel 1994 nel sud est, zona di Kandahar, piena area tribale Pashtun, promettendo alla gente “ordine e sicurezza”, del tutto inesistenti da quando, cacciati i Sovietici, i Mujaeddin si erano di nuovo divisi e si combattevano tra loro, taglieggiando, estorcendo, rapinando e minacciando la popolazione.
Pakistan e Arabia Saudita compresero subito l’importanza di creare un gruppo in grado di unificare il Paese; i primi, con l’addestramento e le armi per imporre un Governo amico in grado di opporsi all’arcirivale India, i secondi, con la formazione di una classe di predicatori indottrinati al sunnismo radicale, come argine allo sciismo iraniano. Il tutto inserito nella lotta per l’influenza regionale che le due Potenze si contendevano. I flussi di denaro delle associazioni di beneficenza private saudite alimentarono la nascita di madrasse (scuole coraniche), che, oltre ad impartire l’educazione, contribuivano alla crescita dei giovani, togliendoli dallo sfruttamento e dalla strada (anche se poi ben li “usavano” in maniera più pericolosa, tipo attentati suicidi). Le scuole si diffusero in un primo tempo più in Pakistan che in Afghanistan, anche perché l’inesistente confine di ben 2600 km tra i due Paesi permetteva una facile osmosi, da utilizzare a seconda delle circostanze.
Le redini del movimento erano in mano ai religiosi e il loro capo era Mullah Omar, dal quale dipendevano tutte le decisioni, dalle più importanti alle più banali. I talebani si espansero in tutta l’area Pashtun o poco più, mentre al nord gli afghani di etnia tajika, uzbeka e hazara posero una dura resistenza, sotto la guida di Ahmed Shia Massoud, leggendario capo dell’insurrezione antisovietica, che venne ucciso in un attentato (probabilmente di Al Qaeda) due giorni prima dell’attacco alle Torri gemelle a New York.
La base talebana era costituita da agricoltori, pastori, disoccupati, contrabbandieri, ex miliziani, tutti privi di qualsiasi istruzione, che restavano ammaliati dalle prediche degli ulema e sognavano un riscatto ottenibile solo con le armi. Ma nel Paese era molto attiva la presenza qaedista e di Osama Bin Laden in particolare, presenza che portò i Talebani alla rovina. Questa sorta di Trotzky islamico, che sognava la liberazione di tutto il Medio Oriente dai regimi “blasfemi” e il mondo intero dall’egemonia USA acquistò sempre più potere anche per via del denaro che, in cambio dell’ospitalità, Bin Laden forniva loro, erede come era della colossale fortuna di uno dei più importanti costruttori sauditi. Furono così preparati gli attentati alle due ambasciate USA in Africa e infine l’attacco alle Torri gemelle, di cui fra pochi giorni ricorrerà il ventennale.
La immediata reazione americana comportò il crollo del regime talebano. I combattenti si ritirarono ai confini con il Pakistan e lì si riorganizzarono, aprendo le ostilità contro il nuovo Governo afghano, appoggiato dagli Occidentali. Iniziò così quella lunga battaglia che si è conclusa qualche giorno fa con il loro rientro a Kabul.
Oggi esiste una nuova dirigenza, che agisce in maniera collettiva: c’è un leader, il Mullah Hibatullah Akundzada, in carica dal 2016, di cui si sa pochissimo, ma che, nonostante il titolo religioso, sta mostrando soprattutto doti di mediazione politica, necessarie per tenere unite le varie anime del movimento, oggi non più compatto come un tempo. Lo assistono quattro Vice: il figlio del Mullah Omar, Mohammed Yakoub, responsabile delle operazioni militari, Sirajudin Haqqani, cui fa capo l’ala oltranzista dei Talebani e responsabile di innumerevoli attentati suicidi contro personalità dell’amministrazione afghana e della missione internazionale, Abdul Ghani Baradar, unico sopravvissuto della vecchia dirigenza che, fuggito in Pakistan, ha lì trascorso otto anni in carcere perché arrestato dai Servizi segreti pakistani che volevano dimostrare agli USA la loro “serietà” nella lotta al terrorismo. Infine il Mullah Abdul Hakim, capo negoziatore degli accordi di Doha e massima autorità giudiziaria.
Vi è poi il Consiglio della Legalità (Rahbari Shura), cui spettano le decisioni più importanti. È composto di 26 membri. Vi sono inoltre le Commissioni o Dipartimenti (es. militare, di intelligence, politico, economico, agricolo, commerciale ecc.), una sorta di rudimentale apparato amministrativo; infine i capi militari locali che, diversamente dal passato, godono di ampia autonomia operativa.
Tra i combattenti talebani (il cui numero varia tra 60 e 80 mila) si segnalano studenti, disoccupati e coloro che sono considerati “arrabbiati” per la corruzione esistente nel Paese. In generale sono più istruiti e consapevoli rispetto ai “primi” Talebani e manca quella preponderanza dei religiosi che esisteva in passato: anzi molti teorizzano che sia arrivato il momento in cui l'”intelligentjia” afghana debba finalmente arrivare a governare. Anche la conquista del potere è avvenuta in maniera diversa: anziché partire dalle città i Talebani sono partiti dalle zone rurali e hanno accerchiato i centri urbani dove le forze fedeli al Governo, prive della possibilità di ricevere rinforzi, munizioni e vettovagliamenti, hanno dovuto arrendersi. Stanno inoltre utilizzando i mezzi di informazione moderni: il loro portavoce rilascia interviste (come quella ormai celebre concessa alla BBC), e non esitano a lanciare messaggi rassicuranti quali la necessità di arrivare finalmente alla pace, la non persecuzione dei “collaboratorI’ e persino il perdono per i militari del precedente Governo. Restano certo impregiudicati alcuni importanti aspetti quali il diritto delle donne a uscire sole da casa, a lavorare e a studiare, ma le proposte “pragmatiche” di comportamenti meno brutali e persecutori ci sono tutte.
Di certo i Talebani hanno bisogno di rompere l’isolamento internazionale (e in parte ci sono già riusciti) perché necessitano degli aiuti umanitari stranieri per andare avanti. Sembrano meno influenzabili dai loro tradizionali “patrons” (Pakistan e Arabia Saudita) e fanno della moderazione la loro bandiera. Ci sono però due pericoli: in Afghanistan è presente, oltre ad Al Qaeda (con circa 2500 combattenti) – di cui si ignora il grado di influenza su questa nuova dirigenza – l’ISIS Khorasan, attivo nella parte orientale del Paese, che i Talebani hanno finora combattuto con estrema decisione. Ma se essi si spostano su posizioni più moderate, non potrebbero far convergere sull’ISIS quei “puri e duri”che sono contrari ad ogni compromesso? E, ancora: il Corano suggerisce, anzi prevede che un buon musulmano possa “dissimulare” i suoi pensieri quando entra in contatto con gli infedeli. E quindi?
Ultima annotazione, purtroppo molto negativa: la produzione di oppio ed eroina in Afghanistan raddoppia ogni anno; si calcola che oggi esista un giro di affari pari a circa 7 miliardi di dollari, oltre un terzo del PIL del Paese. Ma negli ultimi mesi è stata scoperta una nuova pianta, la Efedra sinica, che cresce liberamente nel nord e nell’ovest del Paese, ideale per la produzione di meta-anfetamine. Il commercio di questa pianta sta crescendo a livello esponenziale e alcuni esperti sostengono che in brevissimo tempo creerà un mercato della stessa importanza di quello oppiaceo. Con l’attuale clima di instabilità pensare a dei controlli efficaci è assurdo. L’erba quindi prenderà la via dell’export, Iran, Turchia, Mediterraneo, Europa Occidentale, Italia compresa. Una brutta realtà di cui avremmo fatto volentieri a meno.
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