«…era in parte etiope, in parte afroamericana, in parte del Malawi e in parte inglese, che a suddividerla così suonava strano, perché di base era semplicemente un essere umano tutto intero».

Queste è una delle frasi più significative del romanzo Ragazza, donna, altro di Bernardine Evaristo, uscito a novembre 2020 per Edizioni Sur.

Una citazione che racchiude in sé il senso profondo di questo testo e cioè che a prescindere dalle diversità che caratterizzano gli individui – in questo contesto particolare si tratta di donne – quello che l’autrice fa emergere forte e chiaro è che alla fine siamo tutti uguali, tutti essere umani nella nostra interezza: con un proprio orientamento sessuale, politico, culturale, un’identità sociale ed etnica, ma ugualmente meritevoli di diritti e di rispetto.

Nata a Londra nel 1959, Bernardine Evaristo è nata da madre inglese e padre nigeriano (con origini brasiliane) e con Ragazza, donna, altro è stata la prima scrittrice afro-discendente a vincere il prestigioso Booker Prize nel 2019, diviso insieme a Margaret Atwood. È autrice di otto romanzi, fra cui alcuni in versi, e di testi teatrali e critici, da sempre impegnata in campagne per l’inclusione e la visibilità degli artisti afro-discendenti.

Dodici voci femminili di rottura

La scrittrice con questo romanzo racconta, tratteggiando il loro percorso di vita, l’esistenza di dodici donne nere che vivono in una Londra frenetica.

Donne completamente diverse, distanti nell’età, nello status culturale, nella classe sociale, nell’orientamento sessuale; tuttavia, accumunate non solo dal colore della pelle ma dalle lotte vissute, ognuna a suo modo, per farsi spazio nel mondo come “esseri umani”.

Bernardine Evaristo e Margaret Atwood alla cerimonia di consegna del Booker Prize nel 2019, foto The Booker Prize

Il romanzo è stato definito dal Guardian e dal Sunday Times «opera che ha definito il decennio» ed è stato inserito nei dieci migliori libri dell’anno per New Yorker e Washington Post.

Tradotto in tutto il mondo, è un successo internazionale che ha raccolto l’apprezzamento di critica e pubblico.

«Il futuro della letteratura è nelle sue donne, nella sua libertà, nell’intersezionalità del mondo che rappresenta».
Bernardine Evaristo

Il libro è l’insieme di dodici voci: storie di donne nere singolari, originali e a loro modo bizzarre. Non sono racconti disgiunti anche se a ognuna l’autrice dedica capitoli separati, ciascuno di una trentina di pagine.

Ogni traccia raccontata si amalgama perfettamente alle altre per connessione di legami, relazioni o circostanze. Sono percorsi di donne molto lontane dallo stereotipo di figura femminile che ha sempre caratterizzato la letteratura inglese – donne viste sotto il profilo domestico o intimo/amoroso –, ma individui liberi, sociali, intrepidi nelle proprie scelte, nel modo di proporsi alla società.

Il motore propulsore della storia è Amma, regista teatrale, donna profondamente femminista, lesbica, che dopo anni di gavetta, soprusi, porte chiuse – perché nera e lesbica -, riesce a portare il suo spettacolo al National Theatre di Londra, “L’ultima amazzone del Dahomey”.

È così la prima donna nera che debutta in questo teatro, da sempre struttura ospitante manifestazioni realizzate e dirette da persone di pelle chiara.

Si apre così lo scenario che accompagna il lettore nella storia di altre undici donne legate ad Amma, o semplicemente accomunate dalla partecipazione a questo importante evento teatrale.

Le diversità come perno di cambiamento sociale

Tra le tante troviamo Carole, segnata da un grave stupro adolescenziale, che con determinazione si riscatta dal suo dramma e prende in mano la sua vita, fa carriera nel mondo della finanza nonostante fosse figlia di immigrati. Durante la sua storia l’autrice narra che più volte Carole nelle riunioni se porta il caffè con il vassoio viene scambiata per la cameriera perché nera, anche se indossa abiti eleganti.

E ancora Megan, che poi diventa Morgan, un essere umano nato donna e nera che però non vuole definirsi non riuscendo a capire fino in fondo il suo orientamento sessuale.

Morgan/Megan rappresenta l’altro che troviamo nel titolo.

Un pronome indefinito, il non essere rinchiusi in un concetto perché non sempre è necessario o possibile etichettare le cose e cosi le persone.

«Secondo me in futuro saremo tutti non-binary, né maschi, né femmine, tanto i ruoli di genere sono solo performance, e questo significa che le tue battaglie politiche per le donne, mami, diventeranno superflue, ah e fra l’altro, io mi definirei umanista, che è un concetto molto più alto del femminismo».

Le donne delineate da Evaristo sono rese forti dalle vicende che le hanno segnate, portatrici sane di intersezionalità e alterità, rappresentano la vita nella sua diversità, infatti sono tutt’altro che perfette, spesso sono provocatorie o assumono atteggiamenti umanamente ipocriti, scandalosi o superficiali. Sono donne reali non stereotipate, ma vere, con le loro incoerenze, paure, la loro voglia di riscatto, con la loro sessualità vissuta liberamente e senza schemi prestabiliti.

L’autrice riesce a raccontare le piccole peculiarita di ciascuna tanto quanto riesce a inserire nel romanzo grandi tematiche capaci di dare uno sguardo d’insieme. Macroargomenti che non sono solo occasione di riflessione per il lettore, ma anche di comprensione in merito a circostanze e discriminazioni, che fanno parte del nostro sistema sociale.

Siamo di fronte a un romanzo in cui si rileva la prepotente narrazione del reale, di ciò che esiste e che si fa finta di non vedere portando avanti un conservatorismo ormai specchio del passato e non del presente. La narrazione esplode nella rottura di ipocrisie e di pregiudizi di un Regno Unito sempre più multiculturale, ma non ancora in grado di accettare la diversità (e non solo in UK).

I temi affrontati in Ragazza, donna, altro sono molteplici: l’identità di genere, il razzismo, l’omosessualità, le pari opportunità, la maternità.

L’autrice rappresenta tutto questo con delle storie pregne di una semplicità disarmante.

Pregiudizi e stile messi sotto pressione

Evaristo porta il lettore a riflettere su preconcetti che purtroppo fanno parte del sistema sociale in cui viviamo, ma scardinandoli uno ad uno senza alcun giudizio o critica in merito.

L’autrice si rivela magistrale nel donare a chi legge, grazie ad una scrittura semplice, fluida e genuina, degli strumenti utili alla comprensione. Nonostante alcune parti un po’ più forti del romanzo in merito al sesso, a descrizioni molto audaci circa le provocazioni e le scelte intrepide di queste donne non ci si sente mai a disagio, tutto corre veloce, nella normalità, come poi dovrebbe essere.

Questo perché di solito in letteratura quando si tratta di donne c’è sempre quel senso di pudore, di discrezione che deve animare l’essere femminile: qui troviamo solo ed esclusivamente libertà di esprimersi prima di catalogare l’essere umano come donna.

In relazione allo stile di scrittura Bernardine Evaristo è stata coraggiosa e insolita: non utilizza la punteggiatura, i punti sono sostituiti dai capoverso, non ci sono lettere maiuscole, mancano i segni di interpunzione per il discorso diretto.

Una forma letteraria a metà tra la poesia e la prosa, in versi sciolti, che lei stessa definisce fusion fiction, dove «tutto è fuso insieme, le storie e le frasi, l’interiorità e l’esteriorità».

All’inizio del libro si fatica ad entrare ed abituarsi a questo stile, ma dopo pochi capitoli si è trascinati nella narrazione, un movimento fluente che ti porta fino all’ultima pagina. Proprio questo ritmo incalzante, volutamente dato alla narrazione, ha fatto in modo di rendere la lettura quasi teatrale permettendo anche di amalgamare perfettamente le storie raccontate.

Un romanzo poliedrico, unico nel suo genere destinato a diventare un’opera celebrativa della diversità, ma soprattutto della importanza fondamentale dell’inclusione sotto ogni suo aspetto.

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