«Cos’hanno in comune la “Divina Commedia” di Dante Alighieri e “Alla ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust? All’apparenza nulla, se non quella di essere state concepite da due scrittori che appartengono senza dubbio all’Olimpo della letteratura mondiale. Ad uno sguardo più attento, invece, si scopre che…

Parte da questi legittimi dubbi la lezione/monologo di Alessandro Piperno, nel quinto e ultimo appuntamento di questa prima parte del “Festival della Bellezza”, arrivato quest’anno alla sua ottava edizione. Dopo Toni Servillo, Vinicio Capossela, Umberto Galimberti e Gloria Campaner, che hanno animato le prime quattro serate, ieri è stato il turno dello scrittore romano, classe 1972, che si è cimentato su una questione che da tempo solletica la curiosità di critici letterari e semplici appassionati.

Alessandro Piperno al Teatro Romano – Foto di Ernesto Kieffer

Con una grande foto in bianco e nero dell’autore francese sullo sfondo, Piperno ha catturato per circa un’ora l’attenzione del pubblico veronese su quelle che potrebbero essere – supportato dalle opinioni di studiosi ed esperti abbondantemente citati – le similitudini fra la meravigliosa Commedia del Sommo Poeta fiorentino, a cui è dedicata l’intera manifestazione, e quella altrettanto importante dell’autore parigino, che compose la sua maestosa opera, divisa in sette volumi, fra il 1909 e il 1922. Quindi ben sei secoli dopo quella del “ghibellin fuggiasco”. Un dettaglio ovviamente non banale.

Definendoli come veri e propri “manuali dell’animo umano”, Piperno ritrova sia nell’una che nell’altra opera un intero campionario di emozioni, sentimenti e pensieri che nel loro complesso racchiudono tutto ciò che c’è da sapere – a livello di relazioni – sulla nostra esperienza terrena. Come se le due opere, pur distanti nel tempo e nello spazio, risultino quasi gemelle in ciò che intendono comunicare. Pur con gli opportuni distinguo, insomma, è proprio questo ciò che, nel suo appassionato intervento, cerca di spiegare Piperno.

E cioè che l’uomo può sì cambiare ed evolversi a livello culturale e sociale, può essere sì nato in tempi e in zone diverse del mondo, può sì essere intriso della propria cultura del tempo, cristiana nel caso di Dante e laica nel caso di Proust, e può aver sì vissuto esperienze personali diverse, se non addirittura opposte. Alla fine i grandi artisti sanno sempre leggere, spesso in maniera convergente, il grande libro dell’uomo. O meglio, lo sanno scrivere e descrivere. Raccontando di un’umanità che, mutatis mutandis, continua a incorrere nelle stesse sensazioni, negli stessi pensieri, nello stesso tipo di situazioni. Da Omero fino a Sartre, senza soluzione di continuità.

Molto di ciò che scrisse Dante nel descrivere il suo viaggio ultraterreno si ritrova in Proust nel suo viaggio ideale e terreno, raccontato nell’Alla ricerca del tempo perduto. Proust quasi sicuramente conosceva la Divina Commedia che può anche averlo ispirato, in più di qualche brano. Non è però questo il punto. Il fatto è, secondo Piperno, che la sensibilità di questi autori (come anche di altri grandi, peraltro citati qui e là nel corso del suo discorso) converge sempre nello stesso punto. Nella stessa descrizione dell’amore e dell’odio, della paura e della vendetta, della pietà e dell’indifferenza.

Con una sorta di stimolante ping pong narrativo, particolarmente ostico per chi non aveva letto entrambe le opere, si scopre nel corso della serata che in maniera quasi speculare i due viaggi esistenziali, i due percorsi quasi opposti fra loro, portano entrambi allo stesso risultato. E cioè alla redenzione del protagonista. Che è anche la redenzione dell’intero genere umano. Certo, occorre non poca fantasia per cogliere le analogie descritte, ma Piperno prende lo spettatore per mano e con ampi riferimenti anche alla dottrina lo conduce attraverso questo affascinante campo minato. E per farlo racconta anche di episodi curiosamente simili, come quelli legati a Filippo Argenti in Dante e a Monsieur Argencourt in Proust: entrambi con un non casuale riferimento nel proprio cognome al prezioso metallo, sono peccatori della peggior specie ma anche vittime di un sorprendente accanimento, quasi violento, da parte dei due scrittori, solitamente invece sempre molto empatici nei confronti delle debolezze e dei peccati dei loro personaggi. In questo caso sono estremamente duri nei confronti di questi due soggetti. Un parallelismo che induce Piperno ad affrontare, sul finire del suo intervento, anche il tema della vendetta e del modo in cui, letterariamente parlando, spesso la scrittura ne diviene strumento.

Certo, c’è da dire che lo scrittore romano non è uno storyteller di professione e si vede. A differenza ad esempio di Baricco o Buffa, nomi già accostati al Festival in passato, non ha certamente il dono di incollare con la sua retorica lo spettatore alla sedia. Ma dopo un inizio un po’ faticoso, in cui si è quasi costantemente affidato a un foglio di appunti per avanzare nella sua lezione, ha trovato sempre maggior confidenza con la platea e le gradinate, dimostrando nella seconda parte dello spettacolo maggior fluidità e sicurezza nel racconto. Cosa che ha donato alla performance, inevitabilmente condizionata dalla tematica a dir poco ostica anche per i più avvezzi, maggior piacevolezza. Insomma, apprezzando l’onestà intellettuale e lo sforzo di rendere fruibile qualcosa che fruibile non lo era affatto, alla fine il pubblico si è trovato ad applaudire e invocare più volte l’uscita sul palco di Piperno, che timidamente si è preso la sua meritata dose di ringraziamenti. E in fondo il pubblico si è portato a casa un messaggio importante, legato alla maggior consapevolezza di ciò che la letteratura, quella più grande, sa raccontare di noi e del nostro essere.

Il Festival si sposta nei prossimi giorni all’Anfiteatro del Vittoriale a a Gardone Riviera (Brescia) dove dal 3 al 5 agosto si esibiranno, nell’ordine, Alice, Gino Paoli insieme a Danilo Rea, Mogol e, infine, Morgan.

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