Siamo quello che mangiamo, quello che scegliamo di mettere in tavola.

Attenzione alla qualità, alla provenienza e, ultimo ma non meno importante, al prezzo dell’alimento. Partire dalla ricetta originale, tramandata di generazione in generazione in quanto parte integrante della tradizione del luogo, e arricchirla con ingredienti sempre nuovi e ricercati. Un pizzico di fantasia, ovviamente.

È questo quelle che, secondo Monica Sommacampagna, scrittrice veronese e giornalista specializzata in enogastronomia, non deve mai mancare in cucina. La qualità, pilastro del suo lavoro di ricerca che percorre tutto lo stivale, da nord a sud, è il filo conduttore che lega i suoi cinque libri, usciti dal 2019 a oggi con Gribaudo, ognuno con un tema specifico: La cucina di campagna, La cucina marinara, Il grande libro delle verdure, Il grande libro della cucina di montagna e, apparso in edicola il 1 luglio scorso, Il grande libro dei fritti regione per regione.

A proposito delle sue pubblicazioni, infatti, dichiara: «Sono libri di cultura gastronomica, perché includono una parte di ricette di diverse tradizioni, mentre dall’altra ci sono parecchi aneddoti, con riferimenti ai diversi territori. Prediligo il cibo ancorato fortemente ad un luogo. Niente è scritto per caso, ognuno ha dei rimandi di qualcosa in cui io credo, ci sono collegamenti tra quello che mangiamo e quello che viviamo, relazioni che si intrecciano a partire dal cibo».

La raccolta di pubblicazioni di Monica Sommacampagna dedicate alla tradizione gastronomica italiana, pubblicate dall’editore Gribaudo.

Com’è cambiata la cultura gastronomica ed enogastronomica negli ultimi anni?

«C’è un trend che si è accelerato negli ultimi anni verso la salute e il benessere. Adesso il consumatore è molto più attento alle etichette, è cresciuto, guarda sempre al risparmio ma in maniera controllata. Si informa di più sulla provenienza e dove viene prodotto l’alimento. La cucina è cambiata di pari passo, anche quella italiana. Ne Il grande libro dei fritti regione per regione vengono recuperate soprattutto le ricette della tradizione, in cui si utilizza quello che si ha in cucina. Ci sono tantissime contaminazioni, il mondo è diventato globale anche ai fornelli. Nello stesso tempo, l’Unione europea in questi anni ha lavorato moltissimo per fare chiarezza sulla filiera degli alimenti, un aspetto importante per il nostro made in Italy. Se un prodotto è solo confezionato nel nostro Paese non è da considerare italiano».

Anche il gusto ha subito una sua evoluzione? Non solo nel tempo ma anche, banalmente, dal punto di vista geografico? Ci sono delle differenze tra nord e sud?

«Il gusto è molto soggettivo. Adesso c’è tanta domanda di prodotti del territorio, rispetto a una tempo in cui andava bene tutto. C’è tanto cibo omologato, tanti marchi si affermano. Per quanto riguarda il ritorno al gusto, quando si assaggiano certe varietà di pomodori, magari al sud, con quel sole, il gusto che arriva è immediato. Se la cucina ha la materia prima eccellente stupisce subito e si possono fare grandi piatti senza essere chef. È il segnale che voglio dare: invito a curiosare tra le materie prime e la loro qualità».

Il fenomeno dei programmi tv di cucina, specie quelli in cui gareggiano gli chef, hanno arricchito la cultura del cibo italiano o le hanno in qualche modo tolto qualcosa?

Un altro ritratto della scrittrice e giornalista Monica Sommacampagna.

«Da una parte hanno portato risonanza, perché comunque sono chef che hanno un attenzione nei loro ristoranti al prodotto, come Canavacciuolo o Barbieri. Poi ognuno di loro ha un suo stile. Hanno allargato la portata della cucina in generale, hanno dato anche dei suggerimenti in alcuni casi. Spiegano esattamente anche che cosa non fare in certe situazioni, sfatano dei miti. Ogni chef ha una sua visione delle cose. Il termine impiattamento chi lo conosceva prima di Masterchef? Ci sono termini entrati nell’uso comune grazie a questi programmi. I corsi di cucina sono sempre pieni. Più ci informiamo noi e più facciamo crescere la qualità del prodotto italiano. Non nego il contributo di questi programmi, che cito anche nei miei libri».

Che ruolo hanno in questo senso gli influencer? Hanno dato un contributo positivo? Penso anche ai tanti profili Instagram di ricette…

«Chiunque punti alla qualità e faccia un lavoro di ricerca, purché giornalistica, può dare un contributo. Per me è importante la veridicità, il sottolineare le peculiarità della gastronomia e della cucina italiana. Sono molti i profili Instagram che propongono ricette, abbinamenti, alcune ricette le ho provate anche io. Non critico, ma cerco di invitare a rispettare, a essere umili, capire che si ha sempre bisogno di imparare, non smettono mai di apprendere nemmeno gli chef. Ci sono anche tanti pasticci in giro, ma va implementata la cultura per cercare di porvi rimedio».

Ci sono dei cibi che appassionano in particolar modo le nuove generazioni? C’è ancora un attaccamento alla tradizione, alla loro storia, o si ha più un occhio verso l’innovazione?

«Il cibo unisce: qualsiasi ragazzo o ragazza si scioglierebbe davanti a una nonna che fa assaggiare le tagliatelle con il ragù fatte in casa. I giovani capiscono che un piatto preparato senza stare ore e ore a cucinare ha un valore. I primi piatti, in particolare, secondo me piacciono molto alle nuove generazioni, ad esempio la carbonara».

Esiste una correlazione tra cibo e anima?

«Assolutamente, e lo sostengo su tutti i fronti. Se vuoi relazionarti con una persona la inviti a cena o a pranzo. Se vuoi cercare di entrare in contatto con quello che vuole dire o non dire, la conquisti a tavola. È un’esperienza molto intima: oltre a quello che introduciamo nel nostro corpo e che deve quindi essere controllato, il cibo ci mette in relazione con gli altri. Anche con i ricordi, riconnette passato e presente e ci proietta verso il futuro. Se vuoi conoscere una persona, portala a cena o pranzo e vedi quello che mangia, ti dirà molto sulla sua curiosità, sul senso di appartenenza, il gusto. Il cibo è un grande nodo anche per essere felici, non per ingozzarsi. Un piatto ci riconnette anche al ricordo di una persona che abbiamo perduto».

©RIPRODUZIONE RISERVATA