«La frase seguente è vera.
La frase precedente è falsa.
»

Paradosso di Philip Jourdain

Tra il 2007 e il 2009 Cuba è stato uno degli Stati del mondo con un punteggio molto alto per quanto riguarda il discutibile ma significativo “tasso di felicità” che, nel 2021, vede in vetta la Finlandia. Nella classifica più recente Cuba, Porto Rico e Trinidad e Tobago non vengono nemmeno prese in considerazione a causa di una crisi dell’area che incide sulla sicurezza alimentare, su cui ha avuto un peso non indifferente la durezza della pandemia così come previsto per il 2020 dalla Commissione Economica per l’America Latina e i Caraibi (ECLAC). Infatti, la riduzione della mobilità non solo ha limitato l’effetto delle rimesse, ma pure gli scambi e non ultimi i lavori legati al turismo.

Per Cuba la situazione si fa ancora, se possibile, più pesante: la pandemia ha raggiunto il picco in questi giorni; ha ridotto se non cancellato la risorsa del turismo (anche sessuale) dei paesi Occidentali; l’embargo U.S.A. si è fatto sempre più stringente e così la sofferenza anche alimentare ha scatenato delle manifestazioni di piazza di cittadini cubani dentro e fuori il paese come quella, ad esempio, dei cubani residenti a Firenze per sabato 17 luglio. Manifestazioni che qualche giorno fa a l’Avana, la capitale, hanno visto almeno un morto e centinaia di persone arrestate per le proteste; proteste che, se per il Corriere della Sera sono contro il Regime e quindi di natura politica, per Avvenire, più che per motivi di carattere ideologico, sono contro il Governo cubano per la durezza delle condizioni di vita dei cittadini stretti tra fame e pandemia.

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Il nodo, quindi, è quanto ci sia di vero o, meglio, di concreto e diffuso nel desiderio della popolazione di voler cancellare uno dei pochi superstiti regimi comunisti nel mondo, stante l’oscuramento dei media ottenuto bloccando la rete.

Se da una parte il Partito Comunista Italiano riporta un comunicato in cui si afferma che “a Cuba e a Las Tunas va tutto bene. Quello che è successo domenica è che piccoli gruppi pagati dall’impero sono usciti in alcuni punti per le strade di diverse province, tra cui Las Tunas, ma subito sono stati neutralizzati dai cittadini fedeli alla rivoluzione, che sono la maggioranza”, per il presidente statunitense Joe Biden, invece, le manifestazioni dei cubani rappresentano “una chiara richiesta di libertà”. Per alcune riviste specializzate di politica internazionale come Limes, invece, il problema della crisi economica di Cuba è di natura essenzialmente economica e determinata dall’interdipendenza con il Venezuela, anch’esso stretto dall’assedio commerciale e politico degli Stati Uniti d’America.

Gianni Minà, su l’Antidiplomatico, parla di inaccettabile ingerenza statunitense. Sergio Staino, su Repubblica, prende le distanze da Cuba e chiede anche alla sinistra italiana di schierarsi senza ambiguità. Beppe Grillo, infine, esprime il suo sostegno al governo cubano pubblicando sul suo blog una lettera pro Havana di Frei Betto.

C’è libertà di espressione a Cuba? No, perché c’è un regime autoritario. Lo dimostra l’attuale repressione e la chiusura di internet sull’isola decisa dal Governo (ora attivo a intermittenza), la sparizione di almeno 200 oppositori e la testimonianza (anche se la fonte non è proprio super partes) di Felix Pablo Rigau.

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La colpa del disastro di Cuba è del regime? Forse solo in parte. In fondo, nella lista degli Stati classificati per indice di sviluppo umano (I.S.U.), nel periodo 2010-2019 è settantesima, ben prima di Cina e Brasile, ad esempio, e senza le loro risorse. Ma, come visto, sulla crisi generalizzata nell’area si innesta per Cuba l’effetto dell’ultima presidenza Trump che ha aggiunto 242 restrizioni – tra cui l’inasprimento delle norme rispetto al Fincimex, che gestisce le rimesse verso l’isola – in più alla Legge Helms-Barton: una legge del 1996 che costringe all’embargo contro Cuba anche i paesi terzi per la minaccia di annullare le importazioni negli Stati Uniti da quei paesi che effettueranno traffici con Cuba. Il risultato è, come riporta La Presse, che il ministro degli Esteri cubano, Bruno Rodriguez, a una domanda sulle limitazioni nell’accesso a internet ha risposto: “È vero che manca internet, ma mancano anche le medicine”.

Si sono coagulati così schieramenti che sembrano più interessati agli equilibri geopolitici dell’area in una logica quasi da guerra fredda novecentesca che preoccupati dalle condizioni di vita della popolazione cubana.

Da una parte la linea dura contro il Governo cubano dell’amministrazione democratica Biden, sostenuto degli esuli cubani residenti in America, nonostante l’Assemblea generale dell’Onu abbia approvato il 23 giugno 2021 una risoluzione che chiede la fine dell’embargo degli Stati Uniti nei confronti di Cuba. Dall’altra, stati come Russia, Messico, Argentina, Bolivia e ovviamente Venezuela, che si sono dichiarati contro l’embargo e le interferenze americane.

In questa diatriba si erano pure opportunisticamente infilati anche la Cina e lo Stato di Palestina, che aveva cercato a marzo 2021 di far approvare alla Commissione Diritti Umani dell’ONU una mozione – respinta anche col voto dell’Italia – contro l’uso dell’embargo come strumento di ritorsione. Si trattava, in questo caso, di manovre nel contesto delle ritorsioni Occidentali contro soggetti fisici cinesi in relazione alla questione Hong Kong.

Tutto questo ha come effetto un primo tragico paradosso: a differenza dell’Italia, Cuba – lungi dall’essere un paese sottosviluppato – è sì riuscita a sviluppare un suo vaccino ma non ha le siringhe per inocularlo (da qui la campagna-raccolta fondi di “Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba”).

Un secondo ulteriore paradosso: il comportamento degli U.S.A., che sì “condannerebbero fermamente qualsiasi atto di violenza o volto a prendere di mira manifestanti pacifici che esercitano i loro diritti universali”, come affermato dal consigliere per la Sicurezza nazionale, Jake Sullivan, ma che di contro non mostrano altrettanta attenzione per i loro diritti al cibo e alla salute, anch’essi universali, garantiti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 all’art. 25 ma impedito fattivamente dall’embargo: “Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, alle cure mediche e ai servizi sociali necessari”.

E, infine, un terzo paradosso: per sapere se il popolo cubano desideri una democrazia di stampo occidentale o se di contro aspiri semplicemente al benessere economico – possibile solo senza embargo – è necessario in ogni caso far cadere il Regime. Ma se il popolo cubano imprevedibilmente scegliesse, una volta libero, di non rinnegare il senso della rivoluzione castrista, rischierebbe un nuovo embargo e magari una nuova Baia dei Porci.

Insomma, come per l’Italia del secondo dopoguerra, per la quale ogni scelta politica di Governo e posizionamento era costretta nei limiti imposti dagli Stati Uniti e dallo schema della guerra fredda, per il popolo cubano la promessa di una nuova libertà potrebbe ridursi alla solita libertà dei liberti.

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