Sta volgendo al termine questo giorno in cui si festeggia l’Europa, ricorrenza che cade il 9 maggio per ricordare la data in cui, nel 1950, Robert Schuman presentò il piano di cooperazione economica. Da quel momento ebbe avvio il processo di integrazione europea che vedeva nella realizzazione di un’unione federale la svolta storica per il continente, piegato da due guerre mondiali devastanti.

E infatti non a caso il 9 maggio è pure il giorno in cui ebbe fine de facto il secondo conflitto mondiale, a seguito della capitolazione nazista in mani sovietiche.

Sophia Magdalena, rosa bianca della resistenza a Hitler

C’è poca voglia di celebrare, l’UE sembra in preda a una convalescenza dalla quale fatica riprendersi e molte sono le pulsioni di sfiducia nel progetto unionista.

Sarà per quello che il centenario di una ragazza, che quel tempo di conflitti incendiari lo ha attraversato e ne è divenuta martire, pare ancora più necessario.

Nasceva oggi, nel 1921, Sophia Magdalena Scholl a Forchtenberg, cittadina del Baden-Württenberg. Quarta di sei figli, insieme al fratello Hans ha segnato la storia della Germania come riprova che non tutti approvarono il regime nazionalsocialista e che, anzi, una resistenza interna è esistita. In casa vigevano i principi religiosi ed etici luterani per parte di madre, che era stata diacona, e cristiani per parte di padre. E furono proprio i cardini impartiti dai genitori a guidare la giovane, che inizialmente insieme al fratello Hans aveva subìto il fascino della propaganda e si era iscritta alla Hitlerjugend, ma poi ne prese le distanze.

Una immagine sorridente di Sophie Scholl

Lontanissima dall’iconografia della ragazza ariana, Sophie ostentava, durante gli incontri con la Lega delle ragazze, un taglio di capelli corto e presto iniziò a fumare, in controtendenza rispetto allo stile di vita salutista proposto dall’ideale hitleriano per le donne tedesche.

Piccoli segni di un carattere autonomo, che la portò a impegnarsi politicamente insieme ad Hans, il quale nel 1940 si trovò al fronte orientale dove si rese conto delle atrocità che le SS compivano nei confronti degli ebrei. Fu al ritorno in patria e alla frequentazione di un gruppo di studenti dell’università Ludwig Maximilian di Monaco che il desiderio di opporsi all’ideologia nazista prese una forma organizzata.

Sei volantini per dire no

Il primo testo, che diede vita a una serie di volantini, elaborato dal gruppo risale al 1942 e si parla della vergogna che ricadrà «su noi e sui nostri figli, quando un giorno cadrà il velo dai nostri occhi e verranno alla luce i crimini più orrendi». Colpa più grande del regime, secondo gli autori che ormai hanno dato vita alla Rosa Bianca insieme ad altri attivisti, è aver rinchiuso ogni individuo «in una prigione spirituale mediante una violenza lenta, ingannatrice e sistematica». E il testo si chiude con una frase che definisce le ragioni del movimento: «Non dimenticate che ogni popolo merita il governo che tollera!».

Sophie Scholl il giorno dell’arresto

La Rosa Bianca riuscì a realizzare in tutto sei volantini per risvegliare la coscienza del popolo tedesco: i primi furono spediti in città della Baviera e dell’Austria, poi si passò anche a scrivere frasi di ribellione sui muri di Monaco, fino al lancio dell’ultimo opuscolo dall’università della capitale bavarese, proprio per opera di Sophie. Ne seguì l’arresto insieme al fratello e all’attivista Christian Probst. Sottoposti a un processo farsa, furono giudicati dal Tribunale del popolo presieduto dal giudice Roland Fresler, che fu inviato da Berlino insieme ad altri giudici su ordine di Joseph Goebbels. Privi di difesa, i giovani furono condannati alla ghigliottina il giorno stesso della sentenza, il 22 febbraio 1943.

Il ricordo dell’ultimo testimone

Dieci anni fa, a Bolzano Franz Joseph Müller, collaboratore esterno della Rosa Bianca, membro del cosiddetto “gruppo di Ulm”, e scomparso nel 2015, venne in Italia, a Bolzano, a testimoniare quella piccola fetta di storia resistente. Ne scrissi allora per un settimanale torinese non più in edicola, e l’incontro con quell’uomo anziano, del tutto calato nel suo messaggio, non l’ho mai più scordato.

«Allora, a 18 anni, ero un liceale e si conviveva con la Hitlerjugend. Una presenza ingombrante, che si è complicata quando ingaggiò una vera e propria pressione nei confronti dei cattolici che andavano a messa. Dalle 9 alle 10 avevano imposto che si marciasse tutti insieme. Ma io non ci andavo. Purtroppo anche i preti non erano tutti contrari a Hitler e riferivano ai membri della gioventù hitleriana se ero andato a messa o no».

Franz Joseph Müller, ultimo membro della Rosa Bianca, a Bolzano nel 2011 durante un incontro organizzato dal Centro per la pace, foto di Fabiana Bussola

Müller si impegnò nella distribuzione e nell’approvvigionamento del materiale per realizzare i volantini, oltre a distribuirli. Ricordò il furto di buste da lettera dall’ufficio del padre, il campo base costituito in cimitero e il materiale clandestino nascosto dietro gli organi delle chiese. E persino l’occultamento di quei foglietti tanto pericolosi nella divisa da gioventù hitleriana.

«Il quinto volantino giunse anche in mano agli inglesi, che ne stamparono 5 milioni e li lanciarono dagli aerei in volo sulla Germania, l’Olanda, la Francia. In esso si leggeva il futuro dell’Europa che volevamo: unita, in pace, con un parlamento unico. Poi questo si è avverato: posso dire che siamo stati profetici, ma soprattutto siamo riusciti ad agire intellettualmente contro la guerra».

Il ricordo di Sophie Scholl, ragazza «orgogliosa, consapevole di se stessa, coraggiosa più di un uomo», che gli consegna il quinto volantino è rimasto indelebile, anche per la soggezione che quella giovane così determinata gli incuteva.

«Una resistenza un po’ naif», la definì Müller, che però nella sua povertà di mezzi e di protezione ebbe il coraggio di inchiodare l’intero popolo tedesco alle sue colpe, perché nessuno dopo la guerra potesse dirsi innocente.

Un nome abusato dall’estrema destra

Oggi una Germania anch’essa stravolta dall’impatto della pandemia non solo sul piano sanitario, ma anche delle libertà individuali, confonde nelle manifestazioni anti-governative il nome di Sophie Scholl. Lo scorso novembre una giovane donna a una manifestazione ad Hannover si è paragonata apertamente al simbolo della resistenza civile tedesca contro il nazionalsocialismo. Una suggestione la cui eco ha un suono distorto, dato che tutto ciò è accaduto all’interno di una manifestazione inscenata dal movimento Querdenken, che rastrella migliaia di adesioni anche dall’estrema destra (ne abbiamo parlato in questo articolo, ndr).

«È un abuso» ha chiaramente affermato Hildegard Kronawitter, presidente della Weisse Rose Stiftung, intervenuta venerdì scorso alla conferenza “Sophie, un soffio di speranza per l’Europa”, organizzata dall’associazione italiana Rosa Bianca. Oltre all’episodio di qualche mese fa, continuano a verificarsi utilizzi impropri della figura della giovane resistente da parte di gruppi di estrema destra «Nel movimento Sophie è stata l’unica donna a pagare il suo impegno con la vita. Nei suoi anni chi parlava liberamente veniva condannato a morte. La fondazione Rosa Bianca spinge a tenere alta l’attenzione nel mantenimento della democrazia e ad approfondire la conoscenza dei valori che le si addicono.»

«Se avesse pensato a tutto questo, signorina Scholl, si sarebbe lasciata invischiare in azioni simili?» si legge nel verbale dell’interrogatorio condotto dal funzionario della Gestapo Robert Mohr. «Ripeterei quello che ho fatto, perché non io, ma lei ha una falsa visione del mondo.»

Un mondo, un’Europa, che oggi non riconosce chiaramente il proprio volto tra quello dei suoi abitanti e che si trova molto confusa nel pronunciare la parola che Sophie Scholl aveva scritto sul retro dell’atto di imputazione: libertà.

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