A pochi mesi dalla conclusione dell’edizione 2020, la fatidica Corsa Rosa, tornata alla sua più tradizionale collocazione nel mese di maggio, riparte sabato 8 da Torino per terminare a Milano, una volta portate a termine le consuete ventuno tappe. Una di esse avrà come sede d’arrivo anche la città di Verona, per una giornata dedicata a Dante a 700 anni dalla sua morte e, con tutta probabilità, ai velocisti del gruppo, visto che da Ravenna alla città scaligera, i corridori percorreranno 198 km in perfetta pianura. Il Giro d’Italia, però, vivrà molte altre giornate in cui gli uomini di classifica potranno darsi battaglia. In primis le due prove a cronometro – il prologo e l’atto conclusivo – adatte agli specialisti, e sei giornate di media e alta montagna, oltre ai temutissimi percorsi sterrati che ripercorrono i famosi tratti delle Strade Bianche.

Il ciclismo su strada moderno, infatti, strizza sempre più l’occhio al ciclocross e a forme di spettacolo alternative, molto apprezzate dai tifosi e dagli stessi ciclisti. In carovana c’è in corso un ricambio generazionale che sta spostando l’asticella delle prestazioni ancora più in alto e in cui i principali esponenti di questa evoluzione sono atleti per lo più provenienti proprio dal ciclocross, esercizio caratterizzato da sforzi più brevi, ma in totale fuori soglia e in cui la guida della bicicletta assume una rilevanza maggiore. Se sarà questo il futuro anche del ciclismo su strada non è dato a sapere, ma per ora il fascino della tradizione, della storia e della cultura ciclistica, così come lo abbiamo conosciuto finora, non appare a rischio. Tra filmati in bianco e nero, scenari mozzafiato provenienti dai luoghi attraversati dalla corsa e lunghissime telecronache, “mamma” Rai provvederà ancora una volta a rinnovare l’epica del ciclismo, esaltandone i significati più inclusivi e popolari, ma tacendone con benevolenza i lati oscuri e meno virtuosi.

Il pronostico, forse mai come quest’anno, è aperto a molti atleti. Poche le possibilità per gli atleti tricolori, per loro già un podio finale avrebbe del miracoloso. Ancora una volta ci si affida a Vincenzo Nibali, al rientro lampo dopo una frattura del radio. Un suo approdo nei primi dieci sarebbe il coronamento di una carriera strepitosa ma, date le circostanze, non si può chiedergli di più. Se non avessero compiti di gregariato, meglio di lui potrebbero fare i vari Fausto Masnada, in costante miglioramento negli anni, Giulio Ciccone, talento ancora solo parzialmente espresso, e Matteo Fabbro, giovane da cui ci si aspetta un piglio battagliero ogni volta che la strada guarderà in su. Chiedere loro un podio, però, appare eccessivo, soprattutto scorrendo l’elenco degli altri big in starting list. Il primo nome è Simon Yates, brillantissimo alla vigilia, forse addirittura già troppo in forma, la cui unica incertezza, ma significativa, è la tenuta sulle tre settimane. Che sia il più forte in salita oggi non v’è dubbio, che lo sappia dimostrare per 20 giorni senza “cotte” isolate, appare un’incognita, specie se si guarda anche alla relativa forza della squadra che lo accompagna. Parlando di compagini forti, una delle più attrezzate appare la Deceunick-QuickStep che può contare, oltre che su Masnada, anche su Joao Almeida, rivelazione dello scorso anno, e sul talento di Remco Evenepoel. L’atleta belga, uno che non ha mai corso un grande giro, è fermo da lungo tempo per la rottura del bacino, ma ha saputo convincere i bookmakers che gli hanno attribuito quote bassissime, cosa mai vista prima in ambito ciclistico. Se potrà puntare a vincere davvero lo capiremo forse già dal prologo, essendo uno dei più forti interpreti delle gare a cronometro. Egan Bernal, se dovesse aver risolto i problemi di schiena, andrebbe aggiunto al novero dei favoriti, così come Mikel Landa, se saprà andare forte ad inizio giro più del suo compagno Pello Bilbao, qualcosa più che un outsider, viste le sue qualità in alta montagna. Il novero dei principali favoriti si chiude con Alexader Vlasov, venticinquenne in rampa di lancio per ottenere il risultato che vale una carriera e ormai nel pieno del suo sviluppo tecnico e fisico.  

Il corridore italiano Vincenzo Nibali

Guardando più nello specifico al percorso, dispiace che Nibali non sia più nel fiore degli anni e nella giusta condizione perché questo Giro sembra proprio disegnato per lui. Per vincere, infatti, serviranno continuità, completezza, ma anche capacità di creare imboscate e non subirne dagli altri, esercizio in cui un Nibali in forma è stato di esempio per tutti. Lo spauracchio monte Zoncolan, in programma alla tappa numero 14, contribuirà ad alimentare l’attesa di spettacolo, ma ne farà meno del previsto, come sempre, date le eccessive pendenze. Attenzione, invece, alla tappa che termina a Sega di Ala dopo una salita impegnativa, ma che, per nomea, potrebbe essere sottovalutata da qualcuno. Inoltre, è programmata in coda alle fatiche della tappa regina del Giro, quella con arrivo a Cortina d’Ampezzo e 5700 metri di dislivello. L’erta finale del passo Giau, prima dell’arrivo nella perla delle Dolomiti, potrebbe fare la differenza non solo in salita, ma soprattutto in discesa, specie perchè affrontata dopo i passi Fedaia e Pordoi. Sono dunque queste le frazioni in cui si definirà il vincitore. Chi, invece, non potrà vincerla emergerà di sicuro già alla tappa numero 9 a Campo Felice, che prevede gli ultimi 1800 metri di sterrato in salita, o due giorni dopo nei 35 km di sterrato della tappa di Montalcino. Due tappe che, pur organizzate e disputate con mezzi non paragonabili, ci riportano al ciclismo eroico della polvere e del copertone a tracolla, immagini e simboli di un’era, e di un ciclismo, che non ci sono più, nonostante tutti gli sforzi dei media siano protesi a umanizzare uno sport che di umano ha sempre meno.   

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