“Sbatti il mostro in prima pagina”
Verona: studenti bendati e professori sadici. Ovvero, benvenuti al festival dell’ipocrisia.
Verona: studenti bendati e professori sadici. Ovvero, benvenuti al festival dell’ipocrisia.
La notizia dell’altro giorno – il pezzo a firma di Davide Orsato, rilanciato dalla ReteStudentiVerona – è la richiesta di una docente a un’alunna, interrogata in didattica a distanza, di coprirsi gli occhi per non leggere o ricevere aiuti. Intervistata, la presidentessa della Consulta provinciale studentesca Camilla Velotta evidenziava di «attività repressive e violente» contestuali alla DaD.
È evidente che il problema a monte non è la didattica a distanza in sé ma la sua scarsa compatibilità con l’attuale normativa scolastica italiana; va pure detto con chiarezza che l’articolo del giornalista punta, parafrasando un celebre film di Marco Bellocchio, a sbattere il mostro in prima pagina, invece che affrontare la complessità della realtà scolastica.
Qual è la situazione? Gli studenti giustamente segnalano che atteggiamenti come questo alimentano «un clima del tutto inadatto per la nostra crescita e formazione», ma i docenti, per valutare questo percorso formativo, sono attualmente assolutamente disarmati. La verità è che, come al solito, se ci sono studenti che affrontano la situazione con serietà e pure con un po’ di eroismo, visto l’effetto alienante della DaD, ve ne sono di contro molti altri che non lo sono; la routine di tutti i giorni ci racconta di alunni che, coperti dai compagni, guardano la tv, passano l’aspirapolvere o cucinano coi genitori invece di seguire la lezione e che, quando chiamati dal docente, dicono di aver avuto problemi di connessione; di studenti che non accendono la telecamera affermando che sia rotta mentre sono al centro commerciale; interrogazioni con le cuffiette «perché le casse del pc non vanno bene» mentre in realtà servono per ottenere i suggerimenti dai compagni; in qualche caso, genitori o sorelle che suggeriscono le risposte e persino mamme che, ascoltata di nascosto l’interrogazione, poi discutono del voto col professore perché ritenuto troppo basso.
Se la scuola fosse solo un luogo informale di formazione ed educazione, un grande Grest, non ci sarebbe niente di male. Le pratiche valutative dei docenti, al contrario, sono atti amministrativi, tanto è vero che per visionare le verifiche scritte serve un accesso agli atti e che, in caso di ricorso, fanno parte essenziale della documentazione. Non è uno scherzo: si svolge davanti a un pubblico ufficiale (il docente) e contribuisce a costruire un percorso che si conclude con una certificazione (il diploma) che ha valore legale.
Certo, il contesto qui è spurio, perché ci troviamo di fronte minorenni che devono ancora (se mai tutti ci arriveranno) acquisire un solido senso di responsabilità, ma rientra nella professionalità del docente il dovere di garantire la correttezza della procedura della verifica con dei testimoni, un congruo numero di domande, una griglia di valutazione trasparente. La prova, orale o scritta, è una cosa seria, tanto è vero che negli esami universitari viene chiesto inderogabilmente di mostrare la stanza e la postazione prima della prova e, a sorpresa, i professori possono chiedere di condividere lo schermo. Si dirà che l’università è un’altra cosa: sì, lo è, ma solo perché siamo di fronte ad alunni maggiorenni; il percorso, dal punto di vista burocratico, è identico.
E qui arriviamo al nodo. La docente ha fatto bene o male? Ha davvero utilizzato la DaD come «pretesto per azioni intimidatorie nei confronti di chi sta sostenendo una prova di valutazione» o forse si è accorta che qualcosa non andava nell’atteggiamento dell’alunna, come lascia implicitamente intendere quel «continuando a rispondere non senza qualche difficoltà»? Davvero vogliamo pensare a un corpo docente sadico? O piuttosto siamo di fronte a una professoressa che sta cercando di riportare un minimo di serietà in quello che si sta facendo, anche per rispetto degli altri alunni?
Ragionando a mente libera forse, effettivamente, non si sarebbe dovuti arrivare a tanto, ma non perché la richiesta non sia stata giusta in sé, quanto piuttosto perché rappresenta di fatto una soluzione che soluzione non è: alla fine dell’anno le carte da mostrare in caso di ricorso sono tante e tali da risultare pressoché impossibile imporre qualsiasi elemento di serietà e selezione. D’altra parte, non dimentichiamoci che l’anno scorso tutti sono stati promossi per decreto: e quest’anno, dal punto di vista scolastico, è la fotocopia del 2020.
Siamo quindi di fronte a un nodo: accettare tutto come se nulla fosse alla faccia di chi con impegno e dedizione sceglie di vivere la sua formazione scolastica con onestà od opporsi, magari con situazioni limite come queste, dettate più che altro dall’esasperazione. Oppure, ancora, possiamo togliere il valore legale al percorso scolastico e rendere la scuola un luogo facoltativo di cultura e crescita. Ma la questione va risolta e presto, perché dev’essere chiaro a tutti se l’onestà sia o meno un valore esigibile nella scuola italiana e perché pensare che il problema sia una benda durante le interrogazioni è davvero mostrarsi ciechi di fronte alla realtà.
© RIPRODUZIONE RISERVATA