Fresco di Sanremo con il brano «Mai dire mai (La locura)», Willie Peyote approda sugli scaffali delle librerie con quella che potremmo definire una parafrasi delle sue opere oltre che della sua esperienza, di essere umano e artista.

Dov’è Willie? Un dialogo con Giuseppe Civati, che inaugura la collana “Birrette” della casa editrice People, è una conversazione, iniziata davanti a una birra di fine estate in quel di Verona, tra Willie e Civati, diventato editore insieme a Stefano Catone e Francesco Foti.

Ogni capitolo parte con un incipit di Civati che provoca l’argomento per poi lasciare fluire le parole dell’artista torinese. Il percorso narrativo segue la vita e la filosofia di Willie Peyote, fa inevitabilmente tappa nella scelta di andare a Sanremo e vive, in un nesso causa-effetto, attraverso una pandemia globale che ha azzerato la creatività e lasciato il mondo di cui Willie fa parte completamente alla deriva (non a caso il pezzo sanremese parla anche di questo).

In tutta onestà prima di Sanremo, e successivamente di questo libro, sapevo ben poco di Willie Peyote, probabilmente artefatta da quei preconcetti per cui il rap e l’hip hop poco mi competono. Non potevo avere considerazione più superficiale o sciocca di questa.

E se al festival, con quella citazione di Boris (serie tv cult italiana) che da sola bastava per conquistarmi, ha acceso una scintilla di genuino interesse, il libro non ha fatto altro che buttarci sopra una buona dose di benzina: brillante, stimolante, scatena il pensiero e anche una certa critica, in senso positivo, che è confronto e conversazione. Non ci sono discorsi diretti, ma la percezione di chi legge è quella di trovarsi davanti a un dialogo – un simposio direbbero gli antichi greci – che sarebbe meglio affrontare davanti ad una birretta (o ad almeno un paio) di quelle giuste, gustata seduti al tavolo.

Magari dopo un concerto, uno di quelli che contano e che ti porti a casa. Lo dico così tanto per suscitare l’effetto nostalgia per quelle cose che iniziamo a dimenticare come si fanno.

Ma quindi, dov’è Willie? Ma soprattutto chi è Willie Peyote?

Guglielmo Bruno in arte Willie Peyote

Al secolo Guglielmo Bruno, classe 1985, nella biografia di Twitter Willie Peyote si presenta come «nichilista, torinese e disoccupato perché dire cantautore fa subito festa dell’unità e dire rapper fa subito bimbominkia».

Si laurea in Scienze politiche e parallelamente inizia a dedicarsi alla musica, ereditando la passione dal padre, prendendo parte a diverse band (dal rock, al punk fino ad arrivare al rap). Prima di dedicarsi completamente alla musica è impiegato in un call center, rispecchiando la parabola del millennial, a cui tutto era stato promesso e nel momento del raccolto quasi tutto è stato negato.

Il lavoro al call center lo forma in quella maniera umana e reale che forgia la sensibilità degli artisti e questa esperienza ritorna nei suoi pezzi (tra cui uno dei suoi migliori «Ma che bella giornata») e in questo libro.

«Ma senza il call center non avrei imparato a scrivere nel modo che mi ha reso quello che sono oggi – si legge in un passaggio -. Ci sono tante persone che scrivono bene nel rap italiano, molti scrivono meglio di me, ma il mio obiettivo finale è comunicare, non solo specchiarmi nella tecnica e nella bella scrittura».

Una generazione di antieroi

Il viaggio dell’eroe nella narrazione del libro diventa quello dell’antieroe, in cui Willie Peyote sembra identificarsi meglio. Essendo tifoso del Toro, dice, in una città come Torino per forza di cose sei un antieroe, un Davide contro Golia (la Juve).

Dov’è Willie, Un dialogo con Giuseppe Civati, di Willie Peyote, People editore, 2021

Dov’è Willie non è un libro sulla musica, certo ne parla, ma l’autore scrive soprattutto di politica, di società, di famiglia, di quartieri, di Torino, di strade, di persone e perché no anche di calcio, non come gioco ma come specchio in cui l’Italia nel bene e nel male spesso si identifica nelle sue connotazioni e appartenenze.

Attraverso le strade che hanno portato al successo, si innescano storie di vita vissuta, le stesse che si ritrovano nei suoi pezzi, personali a volte, ma sempre con un valore sociale e politico che spinge l’acceleratore su significati che scavano nel profondo dei problemi e delle contraddizioni della società in cui viviamo.

Si parla soprattutto di una generazione, (i nati tra inizio e fine anni Ottanta), che si è persa a metà strada tra una crisi economica e una pandemia globale, abbandonata dalla promesse di un futuro glorioso per ritrovarsi tra le mani un presente votato al precariato.

Non credo sia sbagliato definirlo un libro generazionale, si innescano frammenti di un vivere e sentire comune dei trentenni di oggi, quelli che nessuno ha ancora il coraggio di chiamare adulti. Torna anche quel 20 luglio 2001, il giorno in cui la nostra generazione si è fermata – forse non ce ne siamo accorti subito – ma i fatti legati al G8 di Genova hanno cambiato radicalmente quel percorso che altri avevano scritto per noi.

Poco meno di due mesi dopo crollarono le Torri Gemelle e il resto è già storia.

Dov’è Willie? è un libro razionale, diretto, innesca il pensiero e spinge nella direzione di molteplici riflessioni. C’è sofferenza, preoccupazione ma anche quella strana forma di leggerezza cervellotica che contraddistingue la generazione che racconta.

C’è spazio anche per la speranza perché, forse, non è davvero tutto perduto e se c’è qualcosa per cui siamo stati addestrati è ricominciare tutto da capo.

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