Sulle rinomate piste sciistiche dislocate tra Piemonte e Francia, nelle incontrastate valli verdi e tra paesaggi mozzafiato, si registra in questi giorni una grave emergenza umanitaria: la rotta dei migranti al confine alpino. Meno famosa di quella mediterranea, ma non meno pericolosa, in Val di Susa i migranti arrivano a Oulx – Comune di circa 3000 abitanti – snodo di due cammini transfrontalieri: in direzione della turistica Bardonecchia da un lato, o, sull’altro versante verso Claviere, del Monginevro e Briançon. In entrambi i casi chi riesce ad arrivare incontra una frontiera militarizzata: confine pressoché inesistente per un turista europeo, linea convenzionale e convenzionata per un cittadino francese o italiano, barriera spesso invalicabile per il migrante.

Secondo un rapporto dell’organizzazione umanitaria MEDU – Medici per i Diritti Umanitari – sono circa 10mila le persone che dal 2017 all’agosto 2020 hanno attraversato le Alpi passando per la Val di Susa. Nel 2020 si è registrato un cambiamento nella composizione e nella provenienza dei flussi: la maggior parte di chi arriva proviene dalla Rotta balcanica. Afghani, iraniani, mediorientali, curdi, ma anche magrebini che scelgono di non passare dalla pericolosa Libia o di attraversare il mare.

Piero Gorza di MEDU

«La decomposizione del sistema politico in Libia, le atrocità dei capi libici, i respingimenti della guardia costiera libica, i maggiori rischi di mortalità durante l’attraversata del Mediterraneo centrale, hanno portato sia tunisini sia algerini a seguire la via lunga, arrivare in Turchia e da lì iniziare il viaggio lungo i Balcani» racconta l’antropologo Piero Gorza, referente MEDU per il Piemonte. Mancanza di soccorso, cure mediche e assistenza, accuse di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, multe per non aver rispettato il coprifuoco e caccia al migrante: sono queste alcune delle violenze denunciate da MEDU, considerati da Gorza «veri e propri tentativi di criminalizzare una solidarietà che da anni si è ormai consolidata».

Al confine con la Francia arrivano per lo più famiglie, uomini, donne e bambini, anche in tenera età.

«Ci sono neonati di dieci giorni – prosegue l’antropologo – e donne che si presentano in stato di gravidanza. Eppure la loro scommessa è di non fermarsi in Italia, ma di proseguire il viaggio. A qualsiasi costo.» Persone lontane da casa da due, sei o anche trent’anni, che hanno venduto tutto, indebitati e che arrivano al confine con evidenti sindromi post-traumatiche: infezioni, fratture non ricomposte agli arti inferiori, piaghe ai piedi. Ma non solo: «Ci sono neonati con patologie gravi, minori che hanno perso i genitori lungo i Balcani, donne che hanno subito aborti.» Tra tutti sono quest’ultime a patire maggiormente: donne in evidente stato di fragilità e, a volte, con segni di sofferenza psichica, abbandonate alla depressione, agli attacchi di panico, all’ansia.

Le rigide condizioni climatiche dell’alto Piemonte peggiorano la situazione. Dal 2018 il flusso migratorio si è indirizzato verso il Monginevro e a marzo di quello stesso anno a Claviére attivisti e volontari hanno occupato uno scantinato di una chiesa, poi sgomberato dopo alcune pressioni del sindaco e del parroco. «Lasciare le persone fuori, a -15 gradi: come si fa? È impensabile!» afferma Gorza.

Nel dicembre 2018 è stato occupato a Oulx un altro edificio disabitato, tuttora in funzione. Tre sono i rifugi che ospitano, nell’arco di 30 chilometri: due a Oulx e uno a Briançon. I flussi, diminuiti durante il lockdown dell’anno scorso, hanno ripreso a pieno ritmo e non si fermano, nemmeno di fronte alla pandemia: «I sovraffollamenti nei luoghi di accoglienza sono la norma. La gente continua ad arrivare. Il Covid-19 non spaventa le persone che passano.»

Per capire il comportamento dei migranti, occorre chiedersi come fanno i migranti a sopravvivere economicamente nei lunghi anni di viaggio e dove sono rivolti. «Di solito sono diretti laddove hanno reti familiari – spiega l’antropologo. I debiti che contraggono durante gli anni di viaggio possono toccare decine di migliaia di euro -: hanno necessità di saldarli perché fa parte dell’accordo di partenza: arrivare in una terra che permetta di rimandare indietro il denaro.»

Solitamente questa terra è la Germania o l’Inghilterra, per cui attraversare la Manica può costare anche a una famiglia di 5 persone 6.000 euro e arrivare nella terra dei Land può voler dire indebitarsi per oltre per decine di migliaia di euro.

«È chiaro che non si fermerebbero al confine se non venissero bloccati o respinti, è certo che hanno fretta di passare, anche quando le loro condizioni di salute sono estremamente precarie e le fragilità evidenti. Se non ci fosse questa urgenza, non si capirebbe perché il soccorso alpino abbia riscattato una donna a 2.400 metri di altitudine quando era all’ottavo mese di gravidanza» dice Gorza.

Per anni si è tentato di occultare il problema. La presenza del nero, del migrante e del povero è motivo di preoccupazione – o disagio – per le amministrazioni locali attente alle economie montane legate al turismo. Mentre il problema del migrante viene ignorato o scaricato da un Comune all’altro, MEDU riporta come la collaborazione tra volontari italiani e francesi sia un elemento essenziale, anche in quest’ultima stagione. Semplici persone che, indipendentemente dal sesso, grado sociale, pensiero politico, hanno garantito pasti caldi, regalato un paio di scarpe o una sciarpa e salvato le persone in alta quota.

Si può parlare di quanto l’Europa sia stata inefficiente nelle politiche di immigrazione, di come gli Stati nazionali, retti da un governo di destra o sinistra, da una monarchia o una democrazia, negozino con Stati autoritari il respingimento e contenimento di migranti, diventandone di fatto complici. Si può discutere se e come sia giusto aprire le frontiere, se sia più “umano” aiutarli a casa loro o accoglierli senza se e senza ma. Ma mentre si dibatte, mentre ci si scontra dietro la retorica perbenista del vecchio continente che delega alle organizzazioni non governative il lavoro umanitario, ogni giorno su quel confine – e altrove – passano vite umane, invisibili, gente che non ha più niente. E nel niente tenta di ritrovare il tutto.

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