Di diversità, si sa, se ne sente parlare spesso. In tutti gli ambiti, che siano lavorativi o sociali. In un mondo globalizzato come quello in cui viviamo, in cui sembra, con la digitalizzazione che progredisce, mancare quasi una dimensione spazio-tempo, veniamo costantemente a contatto con realtà differenti. Queste ultime, intese come possibilità di arricchimento e non come deterrente per una distinzione marcata dalla quale estraniarsi. Quello che manca, secondo Cristina Balloi, autrice della ricerca La diversità nei luoghi di lavoro. Modelli, approcci e competenza pedagogica interculturale per il Diversity Management edita da FrancoAngeli, è l’attenzione. Come dichiarato dall’autrice, infatti, «C’è del lavoro da fare, perché è una questione di formazione, ovvero quanto in termini di attenzioni pongo come priorità lo sviluppo della leadership interculturale».

Un’attenzione che risulta essere strettamente legata essenzialmente a due fattori: il tessuto produttivo italiano, che non è formato per la maggior parte da multinazionali ma da piccole aziende, spesso a conduzione familiare, e l’input a livello organizzativo che rimanda la società. La gestione del Diversity Management, che è il focus principale di questa ricerca di dottorato, è un concetto recente che risale all’incirca all’ultimo decennio, nato negli Stati Uniti quando la globalizzazione ha iniziato a influire in maniera significativa anche all’interno dei sistemi organizzativi aziendali, proponendosi come base da cui partire per gestire la diversità nei luoghi di lavoro.

Cristina Balloi

In questo senso, contrariamente all’accezione comune che è possibile attribuire alla pedagogia e che si riconduce invece alla psicologia del lavoro, la pedagogia interculturale si pone come “spalla” a supporto della gestione e all’attuazione di soluzioni pratiche a livello di leadership interculturale. «Spesso, quando dico che la pedagogia ingloba anche le aziende e non solamente adulti e bambini, noto dello stupore. Generalmente c’è sempre una divisione, com’è naturale che sia, tra mondo scientifico e organizzazione, ma non c’è una separazione netta tra pedagogia e psicologia del lavoro. Si tratta di guardare la stessa cosa, semplicemente da prospettive differenti», aggiunge Cristina Balloi, dottore di ricerca in Scienze Umane e assegnista presso il Centro Studi Interculturale dell’ateneo veronese.

Uno studio, dalla prospettiva pedagogica, che è stato fatto su tre aziende: due multinazionali, una in ambito farmaceutico e l’altra in brokeraggio assicurativo, e una medio-grande, di help desk. A questo studio hanno partecipato, per ciascuna azienda, almeno un referente/responsabile risorse umane, con cui si è interagito attraverso interviste semistrutturate ponendo l’attenzione sulla questione-problema e non viceversa.

Vari gli aspetti che sono stati analizzati, seguendo quanto emerso dalle definizioni di diversity management individuate dai manager nel corso dello studio: dall’età, al genere, alla maternità, alle pari opportunità fino alla questione cittadinanza e diversità religiosa. Ciò che è emerso, infatti, è una categorizzazione, come cita il libro, che però corre il rischio di allontanarsi da quella che è la persona in quanto tale, focalizzandosi solamente sulla diversità. Non è un caso se, infatti, negli ultimi anni si è sempre più parlato di capitale umano, come risorsa al pari del capitale essenzialmente inteso come economico.

Oltre all’attenzione, ciò che serve è anche la consapevolezza, sia tra colleghi ma intesa anche come consapevolezza dei propri diritti in quanto lavoratrici e lavoratori. «Si vive la pluralità, spesso in positivo, perché si è colleghi prima di tutto, ma non c’è sempre consapevolezza così forte su un livello più ampio. C’è quando l’azienda interviene con iniziative, attività, documenti di policy. È una questione di divulgazione culturale, la consapevolezza alla diversità c’è ed è percepita se la valorizzo», continua Balloi.

Il testo di ricerca pone, come si accennava precedentemente, anche la questione dei diritti. E lo fa attraverso la “Carta della diversità”, riconosciuta dall’Unione europea come strumento per comunicare diritti e valori a ciascun lavoratore e ciascuna lavoratrice, e utile all’azienda come punto di riferimento dei sistemi culturali e valoriali per la gestione della diversità.

In Italia, per un fattore di targhettizzazione storica, viene ancora chiamata “Carta delle pari opportunità”, forte l’accento sulle pari opportunità di genere. «Come lavoratrice e lavoratore devo essere consapevolezza che ho dei diritti, sia sul piano nazionale che internazionale, sul mio essere rispettato come persona, a maggior ragione là dove ci sono atti di discriminazione o disuguaglianza», aggiunge Balloi, ma «chiamarla Carta della diversità è riduttivo, andrebbe aggiunta anche la parole inclusione».


La strada giusta da intraprendere, quindi, sembra essere focalizzata sull’attenzione e sulla consapevolezza della diversità, al pari della formazione. Una strada che non è chiusa, ma fatta per progredire e andare avanti, in costante evoluzione. «La competenza interculturale richiede una formazione continua, principalmente tecnica per chi organizza i gruppi di lavoro per lo sviluppo di una leadership interculturale. È qualcosa che devo costantemente monitorare, e deriva molto dal contesto in cui agisco. Non è un valore numerico, ma un punto di partenza per una riflessione con il singolo lavoratore o manager per capire come agire, altrimenti rimane teoria che non è possibile declinare nella pratica», dichiara l’autrice.

Uno studio che, quindi, non si deve fermare alla semplice raccolta dati. Infatti, «quando entro in un’azienda è mio scrupolo non pensare che siano dei laboratori da cui ricavare dati e andarmene. Raccolgo sicuramente dei dati, ma devo anche restituire qualcosa. È questo il ruolo della ricerca pedagogica, ma è anche una nostra responsabilità in quanto ricercatori far capire l’importanza di queste ricerche», aggiunge Cristina Balloi.

Il punto essenziale, l’obiettivo della ricerca, è infatti quello di divulgare quanto più possibile la cultura del diversity management e della pedagogia interculturale. Complice il fatto che è possibile scaricare gratuitamente il testo dal sito dell’editore. «Nella pedagogia interculturale i sistemi lavorativi sono poco oggetto di analisi. Renderlo fruibile in questo modo possono leggerlo tutti, c’è un forte bisogno di questa prospettiva», conclude Balloi.

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