L’aria di Verona fra le più inquinate di Europa
Lo dice uno studio congiunto della università di Utrecht, del Global Health Institute di Barcellona e del Tropical and Public Health Institute svizzero.
Lo dice uno studio congiunto della università di Utrecht, del Global Health Institute di Barcellona e del Tropical and Public Health Institute svizzero.
Lo studio, finanziato dal ministero per l’innovazione spagnolo e dal (Global Health Institute), pubblicato il 19 Gennaio scorso, ha esaminato circa mille città europee dove l’inquinamento atmosferico è rilevante ricavandone una classifica sulla base di una evitabile mortalità.
Sono stati presi in considerazione due principali agenti inquinanti in rappresentanza di una più vasta gamma che da tempo avvelenano l’aria che respiriamo: le polveri sottili che chiamiamo PM2.5 e gli ossidi di azoto indicati come NO2.
Brescia e Bergamo hanno il tasso di mortalità da PM2.5 più alto in Europa, (Verona si piazza all’undicesimo posto, prima di Milano, Treviso e Padova), ma il dato più significativo è che fra le prime cinquanta città più inquinate ben venticinque sono italiane, tutte situate nella pianura padana da Torino a Pordenone.
Verona in particolare, negli anni prima della pandemia, presentava una concentrazione media di 25.9 μg/m3 (microgrammi per metro cubo) di PM2.5 e 34.1 μg/m3 di NO2, valori superiori a quelli minimi consigliati dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità).
Lo studio propone anche una simulazione, un approfondito calcolo di quante morti si eviterebbero se limiti OMS venissero rispettati: 269 all’anno a Verona, circa 51.000 in Europa. Nella nostra città le morti evitate salirebbero a 368 nel caso in cui le condizioni dell’aria fossero al livello delle migliori riscontrate nel campione preso in esame. Non quantifica le malattie croniche generate.
Il fatto che l’atmosfera veronese sia gravemente inquinata non è una novità. Il rapporto sull’Ecosistema Urbano 2020 di Legambiente, pubblicato nel quarto trimestre dello scorso anno, poneva Verona all’86esimo posto fra le città capoluogo di provincia italiane per la qualità dell’aria.
L’Italia, soprattutto la pianura padana, è sistematicamente sopra i limiti consentiti e per questo sottoposta a procedura di infrazione europea. La situazione è cronica e desta serie preoccupazioni per la salute. Studi epidemiologici, condotti nel corso degli ultimi vent’anni, hanno dimostrato che esiste una notevole correlazione fra la presenza di concentrazioni elevate delle polveri sottili e il numero di patologie dell’apparato respiratorio, di malattie cardiovascolari.
Le polveri PM2.5 sono costituite da una miscela di sostanze chimiche che includono metalli ( ferro, zinco, piombo, calcio, magnesio, alluminio, nichel, cadmio e arsenico) e composti come i nitrati e i solfati di ammonio, emessi dal traffico veicolare, durante la combustione di biomasse (legna) e gasolio per il riscaldamento domestico e dai processi industriali (cementifici, fonderie, …). Non sono estranei gli allevamenti intensivi e le concimazioni, sono i principali emettitori di ammoniaca in atmosfera (il 97% del totale nel bacino padano – Fonte LIFE Prepair, Dataset delle emissioni del Bacino Padano), la quale funziona da precursore di particelle fini nell’aria.
Per la loro finezza sono dette anche polveri respirabili in quanto sono in grado di penetrare nel tratto inferiore dalla trachea sino agli alveoli polmonari; depositandosi nel tratto tracheobronchiale provocano e aggravano malattie respiratorie croniche (asma, bronchite, enfisema) sino ad indurre anche neoplasie polmonari.
Si tratta di un inquinamento che è in gran parte correlato all’utilizzo dei combustibili fossili nella mobilità, nel riscaldamento e nelle produzioni industriali e per questo può trovare una soluzione strutturalmente stabile solo all’interno della transizione energetica della nostra società. Sarà quindi la riduzione di emissioni di CO2 che guiderà la riduzione delle emissioni di buona parte degli inquinanti atmosferici e purificherà stabilmente l’aria che respiriamo.
Su questo, nonostante le tante dichiarazioni di buona volontà, non si sta facendo ancora abbastanza.
L’assessora all’ambiente del Comune di Verona Ilaria Segala, in una recente intervista al nostro giornale, così sintetizzava le azioni messe in atto sino al quel momento sul tema: «abbiamo attivato un tavolo di confronto tra i Comuni capoluoghi del Veneto. La lotta allo smog è una battaglia che deve vedere allineate amministrazioni e cittadini. Come amministratori, ci siamo dati l’obiettivo di definire strategie comuni in tutte le città venete».
Ma del Paesc ( Piano Ambiente Energia Sostenibile e Clima) che ha come oggetto le azioni da realizzare in città per ridurre le emissioni della CO2 del 40% entro il 2030, si sono perse le tracce mentre il PUMS (Piano Urbano Mobilità Sostenibile), approvato pochi mesi fa, da questo punto di vista, è largamente insufficiente.