Non si placano le proteste negli Stati Uniti. Iniziate il 25 maggio, con la diffusione della morte dell’afroamericano George Floyd, vittima di violenze da parte della polizia di Minneapolis durante un arresto, da oltre due mesi le città a stelle e strisce vivono sotto assedio. In particolare il movimento “BlacksLivesMatter”, diventato presto un trend mondiale con sportivi e personaggi del mondo dello spettacolo scesi accanto ai manifestanti con i loro hashtag e non solo, sta condizionando pesantemente questi mesi estivi, con le varie città, una dopo l’altra, che diventano teatro di scontri sempre più duri. Le proteste, che dopo una prima ondata piuttosto violenta ora iniziano quasi sempre in modo pacifico, sono spesso affrontate “di petto” dalla polizia e dai militari inviati dal Presidente Trump, a sostegno delle forze dell’ordine locali. Gas lacrimogeni, proiettili di gomma, arresti arbitrari e via dicendo. Ciò comporta inevitabilmente un acuirsi della spirale di violenza, con scontri, atti vandalici e una situazione che appare sempre più difficile da gestire dal punto di vista delle tensioni sociali. Molti sindaci delle città interessate, da Portland a Chicago, sono scesi in piazza con gli stessi manifestanti, polemizzando con lo stesso Trump, il quale per tutta risposta ha inviato ulteriori rinforzi alle truppe federali già presenti sul territorio, accusando i primi cittadini di non essere in grado i mantenere l’ordine.

E come se tutto questo non bastasse, la pessima gestione dell’emergenza sanitaria, che ha reso il Paese americano l’epicentro mondiale della pandemia, ha fatto il resto. Oggi gli USA devono fare i conti con oltre quattro milioni di contagiati (sia pur, va detto, su quasi 350 milioni di abitanti) e 160mila decessi, mentre il PIL interno lordo del trimestre aprile-giugno, su base annua, ha registrato un calo del 32% rispetto all’anno precedente. Ciò significa che oltre a non aver tentato di fermare il virus, che invece ha dilagato in lungo e in largo per i 50 Stati dell’unione, anche l’economia più forte del pianeta ha subito un calo che non può che essere considerato devastante, mai registrato prima nella storia della nazione. Una vera e propria debacle per Trump, che prima del Coronavirus viaggiava su sondaggi rassicuranti e che ora si trova, forse con sua somma sorpresa, a inseguire.

Joe Biden

Joe Biden, avversario alle prossime elezioni presidenziali del 3 novembre (a proposito: Trump con un tweet nei giorni scorsi ha ipotizzato, anche solo per vedere “l’effetto che fa” per dirla alla Jannacci, un possibile rinvio, pur sapendo perfettamente che non è nelle sue facoltà poterlo imporre), registra nei sondaggi un +10%, più del doppio di quanto registrato più o meno nello stesso periodo, quattro anni fa, dall’allora candidata democratica Hillary Clinton. Che poi, è bene ricordarlo, al responso delle urne a novembre 2016 risultò perdente nei confronti del candidato repubblicano. Ma dieci punti, pur con ancora tre mesi dalla chiamata elettorale, sono un valore considerato rassicurante e non è un caso se Trump e il suo staff, pur non appoggiati dal Partito Repubblicano di cui il tycoon rimane pur sempre un corpo estraneo, ha tentato di depistare l’attenzione puntando il dito sulle elezioni “falsate” dal voto per posta, l’ipotesi al momento più accreditata per permettere alla maggior parte della popolazione americana di votare in sicurezza, ipotizzando che fra un centinaio di giorni, quando ci saranno appunto le elezioni per stabilire chi sarà il presidente per i prossimi quattro anni, gli Stati Uniti non saranno ancora usciti dall’incubo coronavirus. Nel frattempo Biden preferisce apparire poco e dichiarare ancora meno. Forse, avrà pensato, rischia meno in questo modo, tanto Trump al momento basta e avanza. Manda avanti, piuttosto, il carismatico Barack Obama, di cui è stato vice durante gli otto anni di presidenza e che gli sta aprendo con la sua decisa “discesa in campo” la strada ad un ritorno democratico alla Casa Bianca. E annuncia che se verrà votato la sua vice presidente sarà una donna afroamericana. Probabilmente una fra Karen Bass, deputata californiana, e Susan Rice, ex consigliera per la sicurezza nazionale di Barack Obama. Una mossa astuta per cavalcare l’onda del movimento, potrebbe dire qualcuno. Per dare il colpo di grazia a Trump, dirà qualcun altro.