Il motociclista pesarese Valentino Rossi, uno dei piloti più vincenti nella storia del motociclismo, è tornato ancora una volta protagonista. Approfittando, se vogliamo, anche dell’infortunio occorso al “cannibale” Marc Marquez – per lui omero fratturato – il “Dottore” è riuscito in Andalusia, a Jerez, a tornare sul podio (terzo, dietro al vittorioso Fabio Quartararo e in lotta fino all’ultimo per la piazza d’argento con il compagno di squadra Maverick Viñales) a quasi un anno e mezzo – in mezzo 17 GP – dall’ultimo, maturato sul circuito di Austin nell’aprile del 2019. Insomma, dietro a quelli che sarebbero potuti essere se non suoi figli, quantomeno suoi nipoti, “zio Vale” sa ancora come farsi rispettare su una pista. Un ritorno prepotente, quindi, per il pilota italiano della Yamaha, che alla veneranda età di 41 anni si deve spesso confrontare con “ragazzini” rampanti nati quando lui già collezionava trofei da parecchio tempo. Quartararo è nato nel 1999, Viñales nel 1995. Per intenderci lui ha iniziato a vincere nel 1996 (24 anni fa!) in Repubblica Ceca e nella storia del motociclismo lui è stato l’unico a ottenere il più importante titolo, quello di campione del mondo, in ben quattro classi diverse: la 125, la 250, la 500 e poi ovviamente la MotoGP, confermandosi nelle varie categorie quasi sempre senza rivali. Con il titolo vinto del 2009, inoltre, è suo anche il record di campione più longevo in MotoGP, considerando che questo trofeo l’ha vinto quando aveva già 30 anni e 8 mesi. 

Un esempio estremo di longevità con davvero pochi eguali, non solo nel mondo dei motori. Valentino Rossi ha dovuto, però, lottare all’interno della propria scuderia per riuscire a ottenere negli ultimi tempi quella fiducia dal proprio team manager che, a chi guarda dall’esterno, appare scontata e quantomeno necessaria per poter lavorare al meglio all’interno di una squadra. Già perché, come dichiarato dallo stesso Rossi fino a ora, in questa stagione venivano imposte le moto senza che potesse più di tanto intervenire sulla dinamica, lasciando ai tecnici giapponesi la totale sperimentazione. Un peccato, perché il corridore ha sempre dimostrato, fin dalla giovinezza, di essere molto sensibile alle sollecitazioni che la sua M1 gli ha dato e che proprio i suoi interventi in fase di progettazione e affinamento del mezzo, sono spesso risultati decisivi per i risultati che in passato sono stati a dir poco esaltanti. Con nove campionati del mondo vinti, 115 vittorie, 235 podi e 404 gare disputate “nonno Vale” è davvero un highlander del motociclismo e non accenna a mollare la presa. Il podio di Jerez, dopo due ritiri tanto tristi quanto eloquenti, ha evidentemente una storia dietro. Perché Rossi, con il suo fido alleato David Muñoz, capotecnico della scuderia giapponese, ha implorato di essere lasciato libero e infatti, guarda caso, si è vista una moto che risponde ai comandi e un pilota che arriva ad un soffio dal secondo posto. Tanto da aver già annunciato che gareggerà ancora in Yamaha per questo e per il prossimo anno. E chissà che non torni a vincere nuovamente. Sarebbe bellissimo per lui e per i suoi tantissimi tifosi, non solo in Italia ma nel mondo. Da quando sulla scena di questo sport è arrivato Marc Marquez per lui non è stata più la stessa cosa, lo sanno tutti. Marquez ha fatto a Valentino Rossi ciò che lo stesso Valentino ha fatto ai suoi predecessori. Rubare non solo la scena per l’aggressività e la qualità della corsa e dei sorpassi, ma soprattutto accumulare vittorie su vittorie.  In dieci anni lo spagnolo ha vinto in otto occasioni ed è ad un passo dal raggiungere e chissà, forse presto, superare il suo “maestro”.

Un passaggio di consegne probabilmente inevitabile, che Valentino Rossi accetta da tempo senza però  smettere mai di lottare. Anche per rendere, per certi aspetti, ancora più nobili le vittorie del suo giovane rivale spagnolo. Il quale, in fondo, sa benissimo che Rossi è un modello a cui lui e tutta la sua generazione di motociclisti si ispirano. Non potrebbe essere altrimenti, visto il grande successo e appeal che Rossi ha avuto nell’arco della sua carriera, gestita anche a livello di comunicazione con grande capacità di “bucare” sempre lo schermo. Dai festeggiamenti bizzarri e sempre originali in caso di vittoria (e le vittorie, lo abbiamo detto, sono state tante) alle conferenze stampa pre e post Gran Premio mai banali e scontate, fino a quel suo modo un po’ guascone e quasi sempre simpatico di interagire con i tifosi. Insomma, un capopopolo naturale, che quando sale in sella a una moto diventa, però, una sorta di drago senza eguali. Fino alla venuta di Marquez, appunto, che suo malgrado gli ha tolto lo scettro. Ora però Valentino ha dimostrato che se gli viene lasciata la possibilità di lavorare, di proporre e discutere liberamente con i tecnici, e se gli viene data soprattutto quella fiducia che in fondo ha sempre meritato… beh, allora per lui c’è ancora qualcosa da dire. A uno sport a cui ha dato tanto e che – quando deciderà di smettere – vivrà sempre nel suo esempio.

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