Zugabe, il vento della sperimentazione
Gli Zugabe, con il loro post-rock moderno e sperimentale, escono dai confini nazionali per presentare l'ultimo album "Sow the wind"
Gli Zugabe, con il loro post-rock moderno e sperimentale, escono dai confini nazionali per presentare l'ultimo album "Sow the wind"
Gli Zugabe sono una delle realtà più interessanti del panorama underground veronese. Attivi dal 2012, la band è formata da Alberto Brignoli (chitarre, voce, live electronics), Alberto Gaio (chitarre, processori), Michele Pedrollo (Basso) e Antongiulio Ceruti (batteria, pads). Abbiamo intervistato il cantante e chitarrista Alberto Brignoli.
Alberto, parlaci del progetto Zugabe: come nasce, come è cambiato nel corso della vostra produzione e come si è evoluto il suono con l’ultimo “sow the wind”?
«Zugabe nasce nel 2012 con tre degli attuali membri, tutti provenienti dall’underground veronese. Fin dall’inizio il credo è stato il rock strumentale e sperimentale che, con il passare degli anni si è sempre più indirizzato sui binari, pur molto vasti, del post-rock moderno. Il primo disco del 2013 è stato quasi un esperimento, mentre i due successivi “Fragments”-2016 e “Sow the wind”-2019 sono stati lavori più ricercati, complessi e studiati, con il ricco contributo di altri musicisti. In particolare con l’ultima uscita abbiamo trovato la formazione perfetta, molto equilibrata, e lo sviluppo dei pezzi e del sound ne è stato influenzato in maniera decisiva. “Sow the wind” è un disco molto post-rock, con un’anima ambient coinvolgente, ed è la nostra espressione attuale.»
Suonate un post-rock davvero incisivo: melodie essenziali, ispirazione noise e prog-industrial, un’attitudine sperimentale interessante, che merita attenzione. Come componete? Si tratta di un lavoro corale? Avete qualche riferimento culturale principale che condividete o ci sono correnti di pensiero musicale diverse tra voi?
«La composizione dei brani avviene in maniera molto libera e naturale, spesso direttamente in sala prove, a partire da un riff ideato da uno di noi oppure anche da un’improvvisazione totale collettiva. Tutti e quattro siamo uniti da un comune gusto per il mondo post-rock e sperimentale, chi più spostato verso correnti soft/ambient, chi più verso linee math/noise, qualcuno più tradizionalsta e qualcuno ancora più progressista. Abbiamo anche età diverse e veniamo da formazioni ed esperienze differenti, ma alla fine siamo riusciti a costruire un idea e un suono comune e forse anche abbastanza originale. »
Come valuti la situazione della musica underground in Italia? Credi che il Covid-19 abbia peggiorato una situazione già ai limiti del collasso o abbia semplicemente reso evidente il degrado culturale che viviamo?
«Entrambe le cose. Il nostro paese vive da anni un degrado culturale molto preoccupante e, come vediamo tutti, la nostra città fa anche da capofila ed è purtroppo un esempio lampante. Fra le nuove generazioni pochi seguono i live, o comunque pochissimi sono veramente interessati a scoprire nuove band o nuove forme di espressione al di là di quanto venga loro propinato dai social. I live club chiudono o devono ridimensionarsi, adeguarsi a questi tempi, la musica live in generale trova sempre più ostacoli e sempre meno spazi. L’emergenza Covid poi ha addirittura portato alla chiusura dei locali e delle attività culturali… per cui veramente stiamo attraversando un periodo nerissimo per la musica e per la cultura in generale. »
State scrivendo nuovo materiale? So che avete qualche data all’estero, già di per sé una splendida notizia, che vi permetterà di confrontarvi con un panorama più ampio di pubblico…
«Durante il lockdown abbiamo cercato di comporre a distanza, e qualcosa di buono ne è uscito, qualcosa che ora stiamo affinando in sala prove in vista dei prossimi live. Abbiamo appunto un paio di concerti programmati per queste settimane, di cui uno in Slovenia, una vera iniezione di ossigeno in questo momento. Questa sarà anche una bella prova per noi che stiamo cercando da un po’ di spingerci fuori dai nostri confini e ci siamo riusciti in un momento inaspettato. Siamo sicuramente felicissimi e ci sentiamo anche parecchio fortunati nel poter riprendere, anche se limitatamente, l’attività live, che resta comunque il nostro fine principale e la nostra fonte primaria di energia.»
Quanto è difficile proporre oggi la vostra musica a Verona? Riuscite a trovare spazi per suonare riscontrando curiosità in chi vi ascolta? Sembrano tempi in cui ascoltare musica strumentale senza che sia coperta dal vociare sembra quasi un’utopia…
«Come dicevo trovare degli spazi per suonare a Verona è difficile, e trovarli per fare il nostro genere ancor di più. Si contano sulle dita di…”mezza mano?” Devo dire che però, rispetto alle uscite precedenti, col nostro ultimo disco abbiamo avuto una piacevole e insapettata sorpresa, in quanto ha riscontrato un ottimo successo; abbiamo avuto un notevole aumento di seguito ai concerti e sui social e siamo anche stati accolti dalla label InCircle Records che ci ha accompagnati nella promozione del disco.»
La proposta musicale in città lega sempre di più il live alla ristorazione, quasi fosse un piatto del menù. Eppure le scuole di musica sono tantissime e spesso molto frequentate da giovani e non. A tuo parere come si potrebbe migliorare l’educazione musicale del pubblico, riportando nei locali i concerti veri, mettendo da parte cover e karaoke? Interzona era un fondamentale collettore per la diffusione musicale a Verona ed è una perdita difficilmente colmabile…
«Sì Interzona è stata un fulcro di cultura e un punto di aggregazione unico, con proposte musicali di livello internazionale, al top in Italia, quindi appunto una perdita immensa per la nostra città. Cosa fare per una ri-educazione musicale della gente è La Domanda. Certamente secondo noi ridurre le cover/tribute che ancora ci assillano ovunque e/o le innumerevoli inutili serate karaoke/pianobar… e provare a osare di più, anche in centro città, con il tipo di proposta artistica-musicale-culturale, seguendo quanto stanno facendo, neanche tanto lontano, altre città più grandi e/o più avanzate. Anche legare i live alla ristorazione come post-cena o post-degustazione… perché no? È necessario lanciarsi, esplorare nuove formule, sperimentare.»