Roma, 1933, piena epoca fascista. Benito Mussolini convoca tutti i soprintendenti d’Italia, che si presentano con la servile reverenza dovuta al potere assoluto del duce. Ne manca solo uno all’appello, che non arriverà mai e che mai vorrà incontrare di persona quell’uomo tanto temuto da tutti, ma non da lei: è la giovane Palma Bucarelli, la nuova ispettrice della Galleria Borghese a Roma, che ha appena vinto il concorso destando scandalo e stupore tra i colleghi uomini perché è la prima donna nella storia d’Italia ad entrare nel mondo dell’arte e delle istituzioni dalla porta principale. Ma lei non ama il duce e non condivide la sua pretesa di asservire gli artisti alla politica, dunque non ha nulla da dire né da ascoltare da lui.

È bellissima Palma Bucarelli, di quella bellezza algida e inarrivabile che lei userà sempre con intelligenza ed elegante distacco. E ai molti che negli anni le faranno notare la sua impressionante somiglianza con Greta Garbo, la celebre attrice svedese, lei risponderà glaciale: «Molti dicono che somigli a Greta Garbo, ma io penso che sia piuttosto lei che somiglia a me.»

Nata nel 1910 a Roma, Palma Bucarelli passa l’infanzia girovagando con la famiglia per l’Italia a causa del lavoro del padre Giuseppe, futuro viceprefetto di Roma e alto funzionario di Stato. Sua madre, Ester Loteta Clori, è una donna bella e inquieta, moderna, intelligente, vivace. Sarà grazie a lei se Palma e l’amata sorella Anna si appassioneranno presto alla musica, al teatro, alla moda e all’arte.

In quegli anni, Palma osserva i suoi che si amano ma litigano di continuo per quei loro caratteri agli antipodi, e si capisce presto che sarà l’impronta materna a segnare la sua indole e a condurla là dove nessuna donna in Italia prima di lei era arrivata.

Bambina curiosa e intelligentissima, contrarrà la malaria nelle valli di Comacchio e per tutta la vita sarà costretta a convivere con le terribili emicranie che ne conseguono. A 14 anni pretende e ottiene di essere iscritta al miglior liceo classico di Roma, il Visconti, dopodiché si laurea in Lettere nell’Ateneo romano. Come compagno di studi ha Giulio Carlo Argan, che diventerà in seguito uno dei più importanti critici d’arte e con il quale nel 1933 supera il famoso concorso indetto dal Ministero dell’Educazione Nazionale per ispettore alle Antichità e alle Belle Arti.

A 23 anni Palma Bucarelli entra dunque nell’amministrazione dello Stato e viene assegnata alla Galleria Borghese, dove rimarrà fino al 1938: da questo momento in poi, niente e nessuno fermerà la sua inarrestabile ascesa nel mondo dell’arte e della cultura internazionali. Alla Galleria Borghese Bucarelli, profonda conoscitrice del patrimonio artistico italiano, comincia a mettere ordine tra le opere della collezione, che descrive lei stessa a mano su schede verdognole. Ipotizza nuove attribuzioni sul “Burlington Magazine”, la più prestigiosa tra le riviste di storia dell’arte e i suoi articoli puntuali e originali destano l’attenzione dei maggiori critici d’arte al mondo.

Nel frattempo frequenta la casa di intellettuali come Benedetto Croce, si fa ritrarre dall’amica e fotografa Ghitta Carell e di lei si innamorano tutti perdutamente. A spuntarla sarà Paolo Monelli, firma di punta del Corriere della Sera. I due si sposeranno solo nel 1963, trent’anni dopo il loro primo incontro. Palma, infatti, non lo vuole un marito, non ne ha alcun bisogno, e non vuole figli, visti come ostacoli alla sua carriera e al suo estremo bisogno di libertà. Non vuole nemmeno una casa per la verità, e infatti vivrà sempre divisa tra le sontuose stanze dell’Hotel Flora in via Veneto, cuore della Dolce Vita felliniana, e l’ultimo piano della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, di cui sarà la potente e discussa direttrice dal 1942 al 1975.

Pala Bucarelli in uno scatto della fotografa Ghitta Carell del 1936, © Fondazione 3M 2011

Volitiva, carismatica e dominante, Bucarelli è stata una delle prime donne a prendere coscienza di avere dei diritti e non solo doveri, tanto che per lei è una cosa inaudita essere una funzionaria dello Stato e non avere diritto di voto. E sui suoi diari dell’epoca annota:

«Credo che il mio aspetto fisico non mi abbia avvantaggiata. La mentalità corrente colloca una donna dalle fattezze gradevoli nel ruolo di signora mondana. Disturba vederla in un posto di responsabilità. L’arte è sempre stata un privilegio maschile, e questo mi fa profondamente infuriare».

Del suo destino, Palma Bucarelli si vede come padrona unica e assoluta. È talmente appassionata di arte e del suo lavoro che spesso ripete che avrebbe fatto qualunque cosa per la Galleria. E lo dimostra quando, nel 1941, fa imballare con cura maniacale ogni singola opera dell’intera collezione («Ogni opera è come un organismo», diceva), le carica tutte su 27 vecchi camion trovati personalmente e mette così in salvo dal conflitto bellico la collezione della GNAM nei sotterranei di Palazzo Farnese a Caprarola, dove soleva trascorrere la sue estati.

Ma Bucarelli non si fida di nessuno e segue ogni camion alla guida della sua Topolino Gran Luce 1400 azzurra: fu una delle prime donne in Italia a prendere la patente e adorava quell’auto, regalo di Monelli, che le consentiva di essere libera di muoversi come e quando le pareva. E nel momento in cui anche Caprarola verrà bombardata nel 1943, lei farà imballare e trasportare nuovamente tutte le opere nei sotterranei di Castel Sant’Angelo.

Passati infine gli anni bui delle due Guerre, il mondo dell’arte scoppia di una vitalità mai vista prima, e la direttrice della GNAM giudica il patrimonio artistico italiano molto scarso rispetto ai più importanti movimenti dell’arte europea: era giunto il momento anche per l’arte italiana di aprirsi al resto del mondo. Bucarelli sarà così la prima nel 1953 a portare in Italia i cubisti, in occasione di una mostra leggendaria per la quale fece arrivare duecento opere di Pablo Picasso, (al link un servizio televisivo dell’epoca, ndr), il cannibale dell’arte, l’artista che più di chiunque altro divorerà il passato e il presente per anticipare il futuro. Palma lo capisce prima di tutti, e lo vuole ad ogni costo. E così quel cupo edificio che era la Galleria Nazionale, pieno di quadri sull’Unità d’Italia, pian piano viene trasformato in uno dei templi europei dell’arte moderna e contemporanea.

È inarrestabile Palma Bucarelli. La sua capacità di intuire le tendenze future e di gestire in complessità e autonomia la mutazione critica in corso in quegli anni nel mondo dell’arte la rendono unica. L’arte per Palma è passione, lavoro e missione. Ad un certo punto, alla fine degli anni ‘50, decide di acquistare in un colpo solo opere di Modigliani, Monet, Van Gogh, Degas, Cézanne, Kandinskij e una scultura di Arturo Martini, per la somma all’epoca considerevole di 360 milioni di lire. 

(Qui sotto l’inaugurazione nel 1958 della retrospettiva su Vasilij Kandinskij mandata in onda da La settimana Incom del 22 maggio, alla presenza del ministro Pietro Campilli, ndr)

Questa operazione le costerà un’interrogazione parlamentare per “scempio di denaro pubblico“. Bucarelli si presenterà da sola in Parlamento con tutti i conti della Galleria e, una volta di fronte alla platea ostile dei parlamentari (tutti uomini, nda), risponderà punto per punto alle singole contestazioni, smontandole e riducendole, rivendicando il diritto del pubblico italiano a vedere nei propri musei

«quelle opere di cui sente parlare, degli illustri maestri dell’arte europea di Ottocento e Novecento del nostro secolo. Non vedo perché la gente debba accontentarsi di vedere delle riproduzioni, peraltro spesso anche pessime.»

Bucarelli non ha bisogno di mariti o amanti potenti a proteggerla e a guardarle le spalle, e non sa fingere una stima che non ha per la classe politica dell’epoca. Infatti quella sarà la prima di una lunga serie di interrogazioni parlamentari cui sarà chiamata a rispondere per via delle sue scelte come direttrice della GNAM.

Come quando, nel 1971, dedica un’intera mostra a Piero Manzoni, dissacrante artista concettuale del quale Palma esporrà con entusiasmo le famose scatolette di “Merda d’artista”, scatenando l’indignazione dei parlamentari democristiani e non solo. A distanza di alcuni anni, Bucarelli dirà: «La mostra di Manzoni fu un terremoto! Nessuno capì che le scatolette al di là dell’etichetta non contenevano nulla, che era una provocazione di Manzoni, polemico contro le firme celebri di artisti che vendevano a mercanti e collezionisti le loro opere, “la scatola chiusa”. I quadri si compravano a occhi chiusi, a scatola chiusa? E allora Manzoni disse: bene, io vi do la scatola chiusa, con dentro merda d’artista. Quello delle scatolette fu un fatto morale, legato al clima del momento. Scandalizzarsi rivelò un pudore e una cattiva coscienza del tutto fuori luogo: l’artista non è uno scaricatore di coscienza, è anche colui che pone la società di fronte alle sue responsabilità e ne denuncia gli errori.»

Lo stesso accadrà nel 1959 con i sacchi del celebre artista Alberto Burri, la cui esposizione Palma difenderà senza riserve e che le costerà l’appellativo denigratorio su tutti i giornali dell’epoca di “regina dei sacchi”, nonché l’ennesimo invito a risponderne in Parlamento. E poi ancora con Pollock, con gli espressionisti astratti americani, con i futuristi, e con tutte le avanguardie che presenterà per prima al pubblico italiano.

Palma Bucarelli riusciva infatti magistralmente nella non facile impresa di far arrabbiare tutti: i comunisti che avevano scomunicato l’arte astratta che lei adorava, i democristiani per i quali era troppo anomala e provocatoria, i socialdemocratici, i fascisti. I suoi nemici furono soprattutto uomini, che non sopportavano il potere femminile e non si arrendevano di fronte all’intelligenza di una donna in grado di scardinare gli stereotipi, senza minimamente curarsi della loro disapprovazione. Anche per questo, nel 1975, la costringeranno ad andare in pensione. E da quel momento, a chi le chiederà come trascorresse le sue giornate, lei risponde: «Leggendo, scrivendo. Vorrei raccogliere le presentazioni che ho steso per più di un centinaio di mostre e tutte le mie cose disseminate di qua e di là. E poi vorrei raccontare un po’ la mia biografia, che naturalmente è quella della Galleria.»

Quella galleria che fu il suo posto nel mondo e alla quale Palma Bucarelli lasciò la sua sterminata e preziosissima collezione di opere d’arte quando morì, il 25 luglio del 1998. In tutto il Paese c’è una sola via dedicata a questa donna straordinaria, ed è proprio in prossimità della GNAM a Roma. Ma questo, ne siamo sicuri, non ha nulla a che vedere col fatto che Bucarelli fosse una donna.