Verona, città di cinema: Alberto Scandola
Il professore e studioso di cinema, giurato del Bridge Film Festival 2020, ci parla della situazione del cinema a Verona, tra festival in crescita e talenti emergenti.
Il professore e studioso di cinema, giurato del Bridge Film Festival 2020, ci parla della situazione del cinema a Verona, tra festival in crescita e talenti emergenti.
A pochi giorni dalla conclusione del Bridge Film Festival, abbiamo avuto l’occasione di conversare con Alberto Scandola, professore di cinema presso l’Università degli Studi di Verona e giurato di quest’ultima edizione del festival in riva all’Adige. Un’edizione che, come abbiamo già scritto, è stata segnata da un successo di pubblico che ha dimostrato come la voglia di cinema e di eventi culturali non sia scemata in questi mesi di lockdown.
A partire dal Bridge Film Festival, abbiamo parlato di tutto ciò che concerne il mondo del cinema veronese, dai festival (compreso Schermi d’Amore, che dovrebbe essere recuperato in autunno) a chi il cinema lo fa. Per avere un quadro della situazione e capire se esista o meno un movimento di persone che sta cercando di ravvivare il settore della Settima Arte nella nostra città…
Partiamo dal Bridge Film Festival: ci può fare un bilancio dell’edizione 2020?
«È stata un’edizione interessante. Già il fatto che ci sia stata è da applausi, non è facile in questo momento puntare sullo spettacolo condiviso fisicamente. Per quanto riguarda i film, non abbiamo avuto molta difficoltà, perché Immortal spiccava nettamente sugli altri e ci ha trovati all’unanimità. Un film che dimostra molto talento nella restituzione della desolazione, anche psicologica, che caratterizza gli abitanti di questa città, automi mossi da questi sudditi di Putin che li educano secondo principi che non sono ovviamente quelli della libertà di espressione. Ma anche un film con un’idea visiva forte. La regista (Ksenia Okhapkina, nda) è veramente un talento. È stata una bella prima visione per Verona.»
Che ne è invece di Schermi d’Amore?
«Ho saputo che lo vogliono rifare a ottobre. Un evento estivo forse sarebbe potute essere bello. L’estate è una sorta di oasi felice. Ho sentito in questi giorni il direttore della cineteca di Bologna Farinelli che è molto contento, perché Il Cinema Ritrovato sta facendo il pieno sia in Piazza Maggiore che alla BarcArena, uno schermo allestito in un campo da rugby in provincia di Bologna. L’estate sarà una grande opportunità per rivedere film vecchi, perché di novità purtroppo non ce ne sono tante. Per quanto riguarda Schermi d’Amore, speriamo che le regole imposte dal protocollo consentano di farlo.»
Sembra esserci un bel movimento di gente che vuole fare festival di cinema a Verona. Cosa ne pensa?
«Un movimento c’è sempre stato, adesso forse c’è la volontà di unire gli sforzi. È finita l’epoca delle parrocchiette separate. Anche il Circolo del Cinema, che fino a qualche anno fa sembrava una festa esclusiva comunicata tramite il passaparola, oggi si è molto aperto ai social. Quindi la novità, sia con Anderloni (direttore del Film Festival della Lessinia) che con Bechis (direttore del Circolo del Cinema) è quella della relazione. Sarebbe bello fare un festival con tutti quelli che operano in questo settore. Fossi l’assessore alla cultura direi a tutti di unirsi per fare una cosa sola con un bel budget.
Detto questo mi chiedo anche spesso che senso abbia ormai fare un festival. Io sono cresciuto con i festival, ma una volta ci andavi a vedere cose che vedevi solo lì. Adesso i film che proiettano al Sundance li puoi scaricare poco dopo. Oggi devi offrire anche un evento, un’esperienza sensoriale che in casa non puoi vivere. Il cinema deve diventare come un concerto, un’esperienza unica, magari con ospite un attore, per cui pagare volentieri anche 15 euro.
Ormai non ha più senso andarsi a vedere Annabelle in sala, doppiato e con la pubblicità in mezzo. Aspetti un po’ e te lo vedi in lingua originale, come vuoi, senza le luci che si accendono e la puzza di popcorn. Ormai anche con Netflix siamo abituati alla lingua originale, e credo che tra dieci anni non esisteranno più le sale con i film doppiati, perché i bambini che hanno tre anni adesso si abitueranno ai sottotitoli. Non puoi farmi pagare un biglietto per un film doppiato, perché se no io mi compro un televisore da 60 pollici e lo aspetto su Prime. Se fossi un esercente rifletterei su questo.»
Parlando invece di autori veronesi, c’è qualcuno che vale la pena tenere d’occhio e che ha grande potenziale?
«Beh, è sotto gli occhi di tutti: Alberto Rizzi. Ha molto talento tra gli esordienti made in Verona. Rizzi lo trovo straordinario come drammaturgo e biografo, e Si muore solo da vivi è abbastanza riuscito, perché non è un film alla Favolacce, non cerca di fare Garrone o i fratelli D’Innocenzo. È una commedia gradevole, dove si vedono tracce del suo stile e anche si sente l’impronta della casa di produzione [K+], che è una sorta di alternativa allo standard romano-centrico. Favolacce per me è il film italiano dell’anno. I fratelli D’Innocenzo giocano a cambiare le cose e vedrete che ai prossimi David faranno incetta. Alberto è un bravo professionista, e se un giorno vorrà puntare a fare l’autore ci potrà riuscire. Ma dipende dagli obbiettivi. A Verona non abbiamo personalità come Pietro Marcello o i fratelli D’Innocenzo, ma più per una scelta di vita. Qui si punta a fare una vita normale, mantenendosi facendo film.»