Come sta cambiando il nostro modo di fotografare
A "Succede alle 31" Marco Monari, direttore di Verona Fotografia, ha raccontato di come si è evoluto il mondo degli scatti fotografici anche con l'avvento dei social.
A "Succede alle 31" Marco Monari, direttore di Verona Fotografia, ha raccontato di come si è evoluto il mondo degli scatti fotografici anche con l'avvento dei social.
Intervistare – durante “Succede alle 31”, la diretta di “Heraldo” – Marco Monari è una cosa fortunatamente molto semplice perché riesce a travolgere chiunque con il suo contagioso entusiasmo, malgrado sia dall’età di cinque anni che tiene in mano una macchina fotografica; Marco è, infatti, un fotografo professionista e direttore di Verona Fotografia, una realtà che nella città di Verona si è fatta strada in pochi anni grazie a continue iniziative culturali sempre stimolanti che vanno ben oltre il semplice insegnamento della materia.
Nato a Brescia, studi a Padova e veronese d’adozione, Marco non ha dubbi nel dire che tutto ciò che ha realizzato e che continua a progettare sia frutto dell’amore, della passione e della curiosità per la Fotografia.
Non disdegna affatto le nuove tecnologie e, citando la grande fotografa Annie Leibovitz che qualche tempo fa definiva il suo iPhone come la macchina fotografica dell’anno, ci dice che «La Fotografia oggi è un atteggiamento al guardare sempre più evoluto, non è più una logica di classismo e di potere economico di chi ha la macchina più bella e costosa».
Durante la nostra chiacchierata live il discorso si è spostato sul concetto di ricordo e sul peso che su questo hanno i social dal momento che, ogni giorno, solo su Facebook vengono caricate in tutto il mondo circa 350 milioni di immagini; fino a qualche anno fa, cioè prima dell’arrivo del digitale, il ricordo non era basato esclusivamente sulle fotografie quanto sulla nostra capacità di memorizzare gli eventi della vita, mentre oggi sembra che sia sufficiente vedere e non ricordare. «In qualche modo – ci dice Marco – lo ha esaltato e lo ha anche distrutto, perché le persone anziché guardare le cose preferiscono fotografarle per poi riguardarsele a casa. Di contro, ce lo ha insegnato la quarantena, la macchina fotografica è diventato un mezzo per il ricordo della nostra memoria a breve termine», in pratica un modo di archiviare i piccoli momenti della nostra vita che possono avere un significato anche solo per chi li ha vissuti e questa cosa la potremo valutare tra qualche anno, perché mai come oggi questi saranno dei documenti storici dei nostri tempi come mai accaduto in altre epoche storiche.
La democratizzazione della Fotografia, secondo Marco, ha migliorato la Fotografia stessa in questa fase storica e lo ha fatto sia per chi vuole solo divertirsi che per l’influencer da trecentomila a trecento milioni di follower, ma l’ha migliorata anche per il professionista che la usava in precedenza il quale, in un primo momento, si è trovato davanti il classico cliente che asseriva di saperla usare anche lui una macchina digitale e, con un sorriso sulle labbra, il nostro ospite ci confessa la sua reazione: «Sono sempre stato molto cafone: gli mettevo la macchina fotografica in mano e gli dicevo “fattela te, io vado via!”», ma poi il cliente ha cominciato a rendersi conto della differenza tra chi è capace di guardare e chi no e che esiste una fotografia per il ricordo ed una frutto del lavoro e della preparazione di un professionista.
Inevitabile tornare sul discorso del recente lockdown e delle foto che abbiamo visto durante questo periodo, alcune diventate iconiche come le file ai supermercati, il Papa da solo, il Presidente della Repubblica anch’egli solo davanti all’Altare della Patria; «Sono immagini che faranno la Storia, ma è anche vero che molti fotografi sono entrati in crisi; io stesso non ho fotografato, nel senso che mi sono chiuso a pensare cosa fare con la macchina fotografica e la l’unica risposta che mi sono dato è immaginare il dopo, infatti sto scrivendo delle cose che forse diventeranno un lavoro su quello che sarà il post emergenza». Sta pensando, quindi, a un progetto a colori e con “tanta luce e tante ombre”, grazie all’utilizzo dei flash. «Questa mia idea sarà di raccontare qualcosa di molto duro (…), una commistione tra ritratti e scene di vita all’aperto, sul territorio, ma è ancora tutto da definire, anche se penso ai lavori di Terry Richardson».
Durante la fase di lockdown sono in molti coloro che hanno accettato la sfida di raccontare per immagini la propria vita, inevitabilmente rallentata dagli eventi. Anche la scuola e associazione culturale che dirige si è resa protagonista di questo e Marco ci tiene a ringraziare le persone che hanno partecipato all’iniziativa; il tema era “Io resto a casa” e si poteva sviluppare con cinque scatti a testa. «La cosa che mi ha colpito e, devo dire con molta commozione, mi ha tenuto anche tantissima compagnia in questo periodo, è che sono arrivati più di seicento partecipanti e, quindi, una mole infinita di immagini». Il 18 settembre verranno esposti nella galleria “Quasi Fotografo” di Via Carducci 29 i lavori dei venti selezionati che hanno saputo realizzare opere degne di attenzione, sia da un punto di vista semantico che tecnico.
Alla domanda se la forbice che divide l’amatore dal professionista sia ancora così ampia, Marco risponde che talvolta i primi possono anche essere più bravi dei secondi perché ormai la tecnologia ha dato la possibilità a tutti di avvicinarsi a questo mondo, però non è detto che uno capace abbia scelto di farlo come lavoro: «C’è una grande distinzione da fare tra chi è fotografo professionista perché fa dei servizi commerciali, dal matrimonio alla brochure aziendale, e chi è fotografo perché fa delle mostre in varie gallerie da Berlino a Londra e, magari, nella vita è un impiegato di banca».
Marco Monari a Verona si è fatto conoscere anche per la sua battaglia per la riapertura degli Scavi Scaligeri, uno spazio espositivo che in tanti al mondo ci invidiavano e che da troppo tempo ha chiuso i battenti. «Gli Scavi Scaligeri potevano rimanere aperti e ogni assessorato che passa ci garantisce che il suo primo impegno è quello di riaprirli». Si veniva da fuori Verona per vedere le mostre fotografiche e sono poche le città che possono vantare una realtà come questa, ma anche se Marco si è preso l’impegno di scrivere ogni tre mesi al Comune per avere qualche notizia, tutto ancora tace.
Una spettatrice scrive in diretta che a Verona ci vorrebbero persone come Marco Monari, “perché la politica è vecchia”; non possiamo saperlo per quanto concerne la politica, ma sicuramente per la Fotografia Marco nella nostra città già c’è ed è una fortuna per noi che la sua passione sia ancor oggi più viva che mai.