Sebbene il sito di Negrar in contrada Cortellese fosse già noto dal 1887 (con ulteriori scavi nel 1922 e nel 1975), tanto che parte della pavimentazione a mosaico oggi si trova nel museo del Teatro Romano, desta comunque emozione la notizia di ieri della scoperta di nuovi mosaici, come testimoniano i sondaggi della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Verona, sotto la direzione dall’archeologo Gianni de Zuccato.

Gianni de Zuccato
(foto tratta da Facebook)

I mosaici della villa (che sono, in buona sostanza, quanto rimane dell’edificio) sono databili, come afferma Paolo Lino Zanotto in Mosaici Paleocristiani delle Venezie (Udine 1963) verso la fine del III sec. d.C, e sono temporalmente vicini ai mosaici della Villa romana di Desenzano: infatti «anche nei mosaici della villa di Negrar riscontriamo l’impiego di paste vitree e di marmi veronesi, dal giallo di Torri al bianchiccio e rosa di Sant’Ambrogio, al nerastro di Roverè di Velo; gli effetti di colore, prevalenti come fattori formali sulla plasticità e sul disegno delle figure, sono ormai avviati alle soluzioni del tardo antico»; concorda con questa lettura cronologica anche l’archeologa Federica Rinaldi che, confrontando i reperti pavimentali nel Veneto presenti a Verona città, Negrar, s. Maria in Stelle, Vicenza, Este, propone una datazione intorno al III-IV sec. d. C.

Certo, siamo abituati ai grandi edifici romani nel centro cittadino, sotto i moderni palazzi, così come accade a Verona per la domus romana di Via Zambelli 26, nella sede del Banco BPM. Di fatto, però il III e IV secolo d.C. sono secoli di ripresa dopo il disastro dell’anarchia militare alla fine della dinastia dei Severi, le secessioni interne e la pressione ai confini di Goti, Alamanni e Sasanidi, oltre che un’ennesima epidemia a metà del III sec.

Questa villa, insieme a molte altre presenti nel Veneto, rappresenta il segno di una trasformazione: con uno Stato fiscalmente oppressivo, affamato di risorse e uomini per poter sostenere gli costi altissimi della difesa, le grandi famiglie si spostano in campagna e mettono sotto la loro protezione coloni che fuggono anch’essi dalle tasse e dall’arruolamento. Così, probabilmente, si spiega il suo sfarzo la villa di Negrar che, peraltro, si trova in una valle il cui vino, il Retico, è decantato dai tempi di Catullo, Virgilio, Marziale e Plinio e amato dall’imperatore Ottaviano Augusto, ovvero più di 2.000 anni fa.

Le odierne indagini, oltre a valutare lo stato di conservazione, mirano a ragionare su una valorizzazione del sito con un’area archeologica dedicata. Il progetto – e la stessa Soprintendenza archeologia ne è ben conscia – si scontra, però, con le necessità produttive del fondo che attualmente vede sulla villa piantato un vigneto che, evidentemente, è incompatibile con il progetto di una pubblica fruizione. Anche per questo, la Soprintendenza lascia velatamente intendere nel suo comunicato che la via maestra sarebbe l’acquisto, con il rebus risorse da risolvere, dell’intera area. Quindi, se il sito è dunque salvo e apparentemente in buona salute, ma le prospettive di restituzione alla cittadinanza tuttavia rimangono incerte.