Appena insediata, nel 1951, la Corte Costituzionale tedesca ingaggiò un costumista teatrale per farsi un look distintivo rispetto ai colleghi ordinari, scegliendo toghe splendidamente scarlatte che sicuramente si fanno notare. Anche di più quando una loro decisione può minare le fondamenta dell’Unione Europea e della sua banca centrale. I giudici di Karlsruhe hanno in effetti un conto aperto con la BCE dal lontano 2014, quando l’allora presidente Mario Draghi iniziò il cosiddetto Quantitative Easing (QE), cioè l’acquisto di titoli pubblici degli Stati più fragili per sostenerne il prezzo e ridurre gli spread, che negli anni ha cumulato trilioni di euro di acquisti. Nel 2015, una petizione firmata da 1.700 tedeschi (tra cui anche economisti e giuristi) chiese alla Corte di pronunciarsi sulla legittimità di tale azione e da allora non sono mancate sentenze, appelli e ribaltamenti. L’ultimo dei quali a fine 2018, quando la Corte di Giustizia Europea si espresse dichiarando la pratica corretta e compatibile con i termini del mandato della BCE.

Mario Draghi, ex presidente BCE

Un paio di giorni fa, però, il giudice supremo tedesco Andreas Voßkuhle ha lanciato la bomba, nel giorno precedente al suo pensionamento, con una sentenza di 77 pagine da cui estraiamo che il QE sarebbe «evidentemente al di fuori del mandato BCE», nonostante il parere contrario della Corte Europea che, secondo i tedeschi avrebbe «difettato nell’analisi dei principi» alla base degli interventi BCE, che devono essere proporzionali, giustificati e necessari, pronunciando una sentenza «non condivisibile e oggettivamente arbitraria». La sentenza chiede alla BCE di difendere le sue decisioni entro tre mesi, in assenza la Bundesbank potrebbe essere costretta a lasciare il programma QE e a vendere tutti i titoli deboli in portafoglio, con conseguenze disastrose per i rispettivi Paesi emittenti. La Commissione Europea ha subito riaffermato «la primarietà del diritto Ue e il fatto che le sentenze della Corte di Giustizia dell’Ue sono vincolanti per tutte le corti nazionali», mentre con due righe in BCE si «prende atto» del pronunciamento, ricordando la decisione superiore della Corte europea e dichiarando di «restare impegnati a fare tutto il necessario nei limiti del mandato».

Contestando una decisione europea, la Corte nazionale ha di fatto disconosciuto la prevalenza del diritto comunitario rispetto a quello nazionale, creando un precedente pericoloso per qualunque altro stato in disaccordo con una sentenza della Corte di Giustizia Europea. Non bello, specie in una fase di tensione con Ungheria e Polonia, sulle cui presunte derive autoritarie sono attese le decisioni a breve. Un attacco deliberato e pesante all’Europa, quindi; o chissà, forse potrebbe giocare un ruolo inatteso, di spinta verso una riforma degli statuti per garantire maggiore rilevanza e autonomia agli organismi comunitari. Potrebbe addirittura rendere meno indigesta l’alternativa, i famosi Eurobond. Senza guardare troppo avanti, proviamo a immaginare quali ripercussioni una sentenza di questo tipo potrebbe avere, anche per l’Italia.

Intanto è utile precisare che la decisione riguarda il primo QE e di fatto riconosce legittimo quello attuale, il cosiddetto PEPP, il piano per oltre 750 miliardi di euro legato all’emergenza Covid-19. Impossibile però ignorare, alla luce di questo terremoto giudiziario, che anche il PEPP lavora al limite, in quanto deroga a ben due principi per questo tipo di aiuti. La “capital key” prevederebbe un acquisto proporzionale alla quota del Paese nella banca centrale ma BCE ha confermato che continuerà a lavorare solo in ottica di maggior necessità. L’Italia possiede il 13,8% del capitale BCE ma gli acquisti sono arrivati quasi al doppio. L’altra regola derogata riguarda il rating minimo dei titoli, l’investment grade o BBB di cui si sente in questi giorni. BCE aveva già sorvolato sulla regola per la Grecia e, in vista di possibili abbassamenti di rating per alcuni paesi (Italia inclusa), la presidente Lagarde si è già impegnata a perseverare nel piano in ogni caso, senza valutazione di merito.

Lagarde-Merkel

Se poi BCE perdesse il suo maggior acquirente nel piano PEPP, ci si troverebbe a dover passare dal “tutto ciò che serve” di Draghi a un mesto “tutto ciò che Germania vuole”. L’unico strumento di banca centrale per aiutare un paese in difficoltà sarebbero le OMT (outright monetary transactions, cioè acquisti senza limiti o vincoli) che però passano dal MES “cattivo”, quello condizionato e oscurato dallo spettro della crisi greca. Per fortuna BCE non è da sola a fronteggiare la crisi, la UE si sta progressivamente assumendo una crescente responsabilità politica, muovendo fondi come Sure, i prestiti Bei e il MES ‘buono’, approvato proprio ieri senza vincoli come piace al premier Conte e agli italiani tutti. Manca soltanto, e l’attesa a questo punto diventa nervosismo, che venga delineato il Recovery Fund, il benvenuto debito comune o mutualizzato europeo. In questo senso, ci azzardiamo a ipotizzare che un’azione inusitata come la sentenza della Corte Costituzionale tedesca potrebbe per una strana combinazione facilitare il cammino verso i coronabond.

L’Europa veste infatti un rosso ancora più profondo di quello delle toghe a Karlsruhe, come confermato dalle previsioni della Commissione europea (e prima dal Fondo Monetario, si trova in una recessione prevista intorno al 7,7% con profonde differenze tra i singoli stati. Per l’Italia, il deficit salirà all’11% (per poi scendere al 5,5% il prossimo anno), mentre il debito passerà dal 134,8% del 2019 al 159% nel 2020 per ripiegare leggermente nel 2021 al 153,5%. Giusto per riferimento, la media della zona euro vede deficit dell’8,5% nel 2020 e debito del 102,7% (dall’86% dello scorso anno). L’Italia si trova tra i paesi meno equipaggiati a fronteggiare l’onda anomala, ma un salvagente potrebbe arrivare tra pochi giorni, sempre che l’Europa abbia finalmente il coraggio di ammettere le differenze tra gli Stati come un pregio e di superare le divisioni per blocchi in vista di un debito comune per superare una crisi comune. Non solo economica.