Rischia il fallimento il comparto florovivaistico della città e di tutta la provincia veronese, per il quale l’emergenza Coronavirus è arrivata nel clou della stagione per la produzione e vendita di piante e fiori. Crollano infatti le vendite al dettaglio dei fiori e delle piante fiorite in vaso, con ripercussioni sul fatturato dei mesi più importanti dell’anno.

«Se questo fosse accaduto in novembre avremmo avuto meno danno. Ma siamo quasi in primavera e stiamo già producendo piante di viole, gerani, surfinie, bulbi e poi insalata, verze, coste, erbe aromatiche e tanto altro. Tutta merce che, se nel giro di 15 giorni non viene venduta, è da buttare – spiega Massimo Fontana, presidente dei florovivaisti di Confagricoltura Verona e titolare di “Fontana L’arte del Verde” a San Giorgio in Salici -. Abbiamo perso l’8 marzo e perderemo due mesi, compresa la Festa della mamma. I due mesi più importanti dell’anno, che costituiscono gran parte del nostro fatturato. C’è gente che ha fatto investimenti importanti, abbiamo centinaia di dipendenti. E se adesso si decreterà la chiusura di tutti i negozi l’annata sarà rovinata.»

In seguito alla pubblicazione del decreto DPCM dell’11 marzo sulla chiusura delle attività commerciali, i centri di giardinaggio e i fiorai della città stanno risentendo di gravi danni.

Gaetano D’Abbene, La Vie en Rose

«Io ho chiuso ancora prima che lo decidesse il governo – racconta Gaetano D’Abbene, titolare del negozio di fiori “La Vie en Rose” in Piazza Pravadal 1/b a Verona. «Dopo l’8 marzo, che è stata una festa già sentita in tono minore, nei due giorni successivi il mio incasso è stato pari a zero, nonostante il mio negozio si trovi a pochi passi da Piazza Bra. Non c’è stato passaggio perché alla gente è stato detto, giustamente, di non uscire.»

Con i fiorai chiusi, l’unica possibile distribuzione delle piante è quella nei supermarket, che rimangono aperti, ma i negozianti insorgono. 
«Oggi alcuni colleghi si sono lamentati perché hanno notato che nei supermercati era aumentata la presenza delle piante fiorite – racconta D’Abbene -. Per forza, il produttore che si trova con la serra piena se non consegna le piante a qualcuno è costretto a buttarle via e quindi rifornisce chi è aperto.» E per i fiori recisi? «Sono fiori che non posso più vendere e che mi piange il cuore gettare via. Allora, prima di chiudere, ho preso l’iniziativa di regalare i fiori ai miei clienti e a qualche passante.»

Oltre al problema dei prodotti invenduti nei negozi, nelle serre, nei vivai, nei garden center, si aggiungono quelli legati agli eventi annullati, in primis matrimoni e cerimonie, e agli ordini disdetti per l’impossibilità di celebrarli.

Patrizia di Braida

«Il vero danno non è la chiusura di questi mesi dell’attività al dettaglio – dichiara Patrizia Di Braida, presidente del sindacato fioristi veronese e di Federfiori regionale – ma quello causato dallo slittamento dei matrimoni che ad oggi sono già stati tutti sospesi fino a maggio e spostati a settembre e ottobre.» Celebrazioni attese non sono dalle coppie italiane ma da moltissime altre straniere. «Il Veneto, da questo punto di vista, è una regione che lavora tantissimo con gli stranieri, ma adesso anche all’estero si stanno chiedendo se venire a sposarsi in Italia» rimarca Di Braida. 

L’emergenza impatta il settore florovivaistico a 360° gradi. «Con le ultime disposizioni i mercati sono fermi, i centri di giardinaggio sono chiusi nel fine settimana o sono vuoti, molti negozi di fiori hanno abbassato le saracinesche. Le fiere sono rimandate, gli eventi annullati e si fatica pure con gli allestimenti di interni, perché non ci fanno più entrare» afferma Massimo Fontana. Fiere come Myplant&Garden (rinviato a settembre 2020, FieraMilano Rho), cruciali per il settore del florovivaismo. «Eravamo pronti a fare una bellissima fiera – aggiunge Di Braida- ma ci hanno bloccati e ora viviamo nell’incertezza, ma intanto l’ente fiera non ha rimborsato nulla».

Rimane per chi commercia al dettaglio la possibilità di effettuare consegne di composizioni e confezioni di piante fiorite sulla base degli ordini telefonici o via internet. Federfiori, la Federazione Nazionale Fioristi, proprio l’altro ieri ha pubblicato sulla sua pagina Facebook un messaggio in cui segnala come “gli spostamenti per le consegne sono consentiti, ma è necessario avere con sé l’autocertificazione compilata. Si consiglia di effettuare le consegne con mascherina e guanti e di tenere la distanza di sicurezza». Patrizia Di Braida invita però alla prudenza. «Non si tratta di beni di prima necessità quindi io starei attenta alle consegne, perché più persone vanno in giro più si rischia di peggiorare la situazione». E aggiunge: «So che i miei colleghi sono in una situazione difficile, però si tratta di una chiusura generalizzata e dobbiamo stringere i denti.»

Da una parte il senso di responsabilità di fronte all’emergenza sanitaria nazionale, dall’altra la quanto mai necessaria richiesta al governo di misure urgenti che vadano a tutelare, in una situazione che si fa sempre più critica, tutte le aziende del comparto florovivaistico. «Il nostro è un settore da sempre penalizzato – sottolinea D’Abbene – perché non abbiamo gli stessi aiuti di chi produce ortaggi da parte del Ministero dell’Agricultura. Certo le finalità sono diverse, ma il nostro settore dà da lavorare a tante persone, dal fioraio al giardiniere, e dovremmo essere considerati degli artigiani più che dei commercianti, perché non vendiamo il mazzo di fiori così com’è, ma lo elaboriamo, creando un’arte floreale che va tutelata».

Un negozio in centro a Verona

Il comparto florovivaistico veneto è rappresento da 1.487 aziende, da una superficie investita di 2.700 ettari e produce 1,6 miliardi di pezzi per un valore di produzione nel 2017 di 209 milioni di euro. Il valore della produzione italiana di fiori e piante è stimato in 2,57 miliardi di euro, pari al 4,7% della produzione agricola italiana. «Sono assolutamente propensa a chiedere un aiuto per i miei colleghi al Ministero – annuncia Di Braida -. Speriamo che il nostro Ministro venga incontro a tutte quelle famiglie che vivono di questa attività e che i tanti negozianti possano tornare ad aprire le saracinesche: perché se non abbiamo aiuti di nessun genere dopo mesi di chiusura forzata rischiamo il collasso.»

Un timore diffuso anche oltre i confini provinciali. Reclama Roberto Tomasin, dei florovivaisti di Confagricoltura Veneto: “Vorremmo che ci considerassero alla stessa stregua degli allevatori e del food. Non vendiamo ferro, che può restare fermo per sei mesi, ma materiale deperibile. Siamo anche noi parte del settore primario. È inutile che ci abbiano dato la possibilità di circolare, se i nostri clienti hanno tutti chiuso baracca. Ci piacerebbe coinvolgere l’opinione pubblica e i politici, per trovare soluzioni ragionevoli. I Garden sono grandi, spaziosi e con spazi aperti, Noi idem. Si trovino modalità per farci continuare a lavorare, con tutte le precauzioni che vengono messe in atto nei supermercati, altrimenti milioni di euro e centinaia di posti di lavoro andranno in fumo.»

Non solo nell’immediato, ma anche quando successivamente la situazione (si spera) tornerà alla normalità, dato il carattere stagionale del settore.

«Pur essendo abituati a combattere contro avversità meteorologiche e fitopatologiche, nulla hanno potuto i nostri imprenditori contro il Covid-19. Fiere internazionali bloccate, eventi sul territorio pure, l’anticipo della stagione primaverile che ha velocizzato le fioriture  – spiega Paolo Vettoretto, presidente dell’associazione dei produttori florovivaisti del Veneto – le serre sono piene di prodotto invenduto. In questo contesto di azzeramento della marginalità è difficile prevedere che il settore trovi le risorse per poter investire, ammodernarsi, creare occupazione e crescere. Ed ancor più difficile sarà orientare il settore verso quella sostenibilità ambientale da tutti invocata. A tal proposito è bene ricordare che mai come in questi anni gli addetti al settore veneti sono stati il motore di diversi progetti che hanno fatto della tutela ambientale la vera grande priorità ed il grande valore aggiunto delle proprie produzioni, collocandosi in questo settore tra le aziende più all’avanguardia a livello europeo.»