Esecutivo giallorosso: e l’azione governativa?
Al di là del ritorno ad una normalità istituzionale - mancata del tutto durante il Governo precedente - si registra una generale assenza di provvedimenti e idee del Conte-bis
Al di là del ritorno ad una normalità istituzionale - mancata del tutto durante il Governo precedente - si registra una generale assenza di provvedimenti e idee del Conte-bis
Dopo più di un anno di campagna elettorale permanente, tantissimi proclami e scarsa azione governativa da parte di Lega e M5S, il rinnovato esecutivo a componente giallorossa ha perlomeno prodotto un abbassamento di toni. Era auspicabile, tutto quasi scontato verrebbe da dire. In fondo, qualsiasi governo dovrebbe mirare ad esercitare il proprio ruolo con sobrietà, professionalità, senso del dovere, avvalendosi delle istituzioni e non impadronendosene. Eppure, alla luce della fase dominata dai due consoli Salvini e Di Maio, nulla appariva scontato.
Bisogna, però, anche saper riconoscere che i meriti dell’attuale governo si limitino per il momento esclusivamente ad aver rigenerato il buon costume istituzionale e a aver riproposto un clima vagamente ragionevole. Di azione governativa, di riforme sostanziali, per ora nemmeno l’ombra. Si è evitato provvisoriamente l’aumento dell’Iva, e va bene così, ma manca l’adozione di misure davvero importanti. Tre capitoli su tutti: la lotta all’evasione fiscale, tanto sbandierata nei mesi di insediamento, che per ora è un nulla di fatto; il rilancio dell’economia del Paese, passando anche attraverso la riduzione del cuneo fiscale, e il contrasto alla criminalità organizzata. Manca, però, soprattutto una visione politica chiara che consenta al cittadino di credere in un processo di modifica radicale del sistema Italia.
Il PD è debole e senza idee: la linea Zingaretti ha arrestato la caduta di consensi, ma non ha risolto l’annoso problema delle correnti interne distruttive. Non solo, non ha chiarito affatto che linea politica voglia prendere il partito e quali le battaglie in agenda. La ventata di novità rappresentata dalle Sardine porta oggi alla ribalta quella parte di elettorato moderato che non ha un riferimento politico affidabile. Il PD, salvo qualche ammiccamento al movimento, dimostra quotidianamente di non aver ancora capito nulla della genesi delle Sardine e del messaggio che tale fenomeno dovrebbe restituire. Siamo alle solite, purtroppo: il PD ha perso di vista il paese reale e non riesce a intercettarne le esigenze. Dal canto suo, il M5S vive una crisi di consensi improvvisa e repentina, almeno pari alla crescita registrata fino al 2018. Il movimento è debole, in disgregazione e paga la mancanza di radicamento sul territorio e di idee diverse dai semplici «no» ad oltranza. Inoltre, non sembra avere menti illuminate al proprio interno che sappiano mettere mano allo Stato e alle sue norme con la giusta dose di competenza.
Ci crogioliamo dunque attorno a questa ritrovata tranquillità istituzionale, ma onestamente non si può essere soddisfatti. Nell’esecutivo attuale pare non ci siano idee e di sicuro non c’è la capacità di realizzarle, mancano i numeri e le teste per acquisire leadership e credibilità. Il fatto che Conte sia oggi il principale statista del panorama nazionale, nato antieuropeista e maturato in meno di due anni in uomo delle istituzioni senza pregressa formazione e gavetta, la dice lunga sullo stato in cui versa la politica italiana. A colpi di picconate, rottamazioni e perversioni antipolitiche, si sono perse almeno due generazioni di classe dirigente, e ora mancano i leader. Non se ne lamenti chi per anni ha gridato indiscriminatamente contro alla politica.
C’è però un sistema Paese da far risorgere, da proiettare verso il futuro e nulla si intravvede all’orizzonte. Diciamolo: la sensazione è che nessuno sappia che “pesci pigliare”. Nel frattempo, il cittadino disilluso si dedica agli affari suoi e si allontana sempre più dalla politica, dalla gestione della res publica. Va detto, a parziale giustificazione dei nostri governanti, che la congiuntura economico-finanziaria non aiuta nel trovare le giuste ricette per il rilancio dei mercati, per lo sviluppo di consumi e occupazione. Il fenomeno non è caratteristico solo dell’Italia, sebbene il nostro Paese sia più fragile di altri per colpa dell’ingente debito pubblico e a causa di infrastrutture sempre meno compatibili con le esigenze quotidiane della popolazione e delle imprese. Per qualche anno si è sperato nell’uscita dalla crisi, nell’inversione. Gli economisti ne parlano per definire la fine di un ciclo e la attendono tanto più dopo crescita o decrescita particolarmente forti. L’inversione era attesa, ma onestamente non se ne vedono ancora i segnali. Certo, gli indicatori non volgono al brutto come qualche anno fa, ma quello che preoccupa è proprio questa persistente debolezza del sistema economico occidentale. Non c’è nessun rimbalzo significativo. Se è vero che l’Europa e i singoli Stati in questi anni hanno somministrato le giuste medicine per far sì che la febbre scendesse e la malattia limitasse le complicazioni, ancora non è chiaro come far guarire del tutto il malato, e cioè le nostre economie. Ecco perché non c’è ripresa. Nel frattempo, l’Europa stessa ha manifestato le proprie fragilità politiche, dovute primariamente al suo mancato completamento (assenza di armonizzazione fiscale e di un vero e proprio mercato unico). Oggi l’Unione è in crisi di consenso e in difficoltà, forse nemmeno a Bruxelles si sa cosa fare.
Il quadro italiano ed europeo è quindi sconfortante: in un mondo globalizzato in cui si percepisce forte la disillusione che si possano cambiare le cose, le spinte secessioniste diventano più forti di quelle che mirano alla coesione e all’unità, proprio quando queste ultime diventerebbero indispensabili. Per comprendere come agire, occorre capire genesi e sviluppo del sistema economico di riferimento, in modo tale da poter meglio identificare le politiche di rinnovamento.