Susanna, da Verona al Superbowl
In campo al Superbowl: un'esperienza straordinaria. I ricordi di Susanna Peretti, nel 1976 ballerina nel cast del primo "vero" Halftime Show della storia della Nfl
In campo al Superbowl: un'esperienza straordinaria. I ricordi di Susanna Peretti, nel 1976 ballerina nel cast del primo "vero" Halftime Show della storia della Nfl
Molto più di una partita. Anzi, in questo caso si potrebbe dire che non esiste partita, nel senso di confronto. Da quando è stato inventato, il Superbowl è di gran lunga il singolo evento sportivo annuale più ricco al mondo. Nonostante il football non abbia gli stessi numeri planetari del calcio per praticanti o seguito costante, il cocktail esplosivo in termini virtuosi che la National Football League è in grado di allestire è una calamita per una platea mondiale capace di star sveglia di notte per vivere una gara speciale. Numeri impressionanti: l’audience per la finale del campionato della Nfl conta quasi duecento milioni di spettatori, di cui almeno centodieci americani. Non è però sempre stato così, anche perché da tempo, in realtà, l’evento non è solo unicamente sportivo. Il cosiddetto “Half time show” è diventato centrale nella struttura. Artisti di fama si contendono il palco nell’intermezzo di pausa del gioco. Mentre le squadre sono negli spogliatoi, Lady Gaga oppure Justin Timberlake, gli Arerosmith o, come avverrà quest’anno, Jennifer Lopez sono sul prato verde ad esibirsi.
C’è una italiana che quella svolta del percorso del Superbowl da partita a vero e proprio happening l’ha vissuta dal vivo. Anzi letteralmente sul campo da gioco su cui le due finaliste si contendevano la decima edizione del titolo di campione. Imprenditrice veronese, Susanna Peretti nel 1976 era una giovanissima ballerina e coreografa per “Up With People”, corpo di ballo scelto per animare l’intervallo tra il primo e il secondo tempo di quell’edizione.
Prima di viaggiare nel tempo, lo sa che appena verrà letta questa intervista in molti la invidieranno?
«Chissà. Posso solo dire che fu un’esperienza memorabile, in tutti i sensi. E pensare che prima di conoscerlo da vicino, da appassionata di calcio il football americano in fondo mi annoiava. Quella palla ovale un po’ mi disorientava.»
In mezzo al campo durante il Superbowl X di Miami come ci fini?
«Fu per un’idea della Nfl. Fino alla stagione precedente, nell’intervallo per intrattenere il pubblico facevano sfilare le bande musicali. Il 1976 però era l’anno del bicentenario degli Stati Uniti e la National Football League decise di dare un tocco patriottico in più. Anche in termini di intrattenimento volevano una specie di cambio di passo. L’intenzione era presentare un’attrazione più dinamica e coinvolgente. Così chiamarono “Up With People”, un’organizzazione che disponeva di un corpo di ballo composto da ragazzi giovanissimi di cui facevo parte. E così mi ritrovai all’Orange Bowl. Ma anche per noi fu lunga arrivarci, un po’ come per le due finaliste.»
E come andò?
«Per noi benissimo, ma anche per la Nfl. Gli americani fino ad allora durante quella pausa di gioco cambiavano canale. Invece quella volta il successo e la novità dello show fu tale da far mantenere le tv accese. Tanto che i dirigenti capirono che strutturando uno spettacolo gradevole avrebbero attirato anche un pubblico di non tifosi, con la conseguente miglior vendita di spazi pubblicitari. Quindi la replicarono ed è così che in fondo nacque l’Halftime Show che conosciamo oggi.»
Stasera c’è il 54° Superbowl. Lo seguirà?
«Ovviamente, anche se in fondo è solo un pretesto per risentire chi ha vissuto con me quell’esperienza. Ogni anno con i miei amici al di là dell’Oceano è un appuntamento telefonico fisso. Abbiamo vissuto mesi intensi, prima nel Mid West, poi tra Fort Lauderdale e Miami, che allora era certamente meno modaiola. Allenamenti su e giù campi da football, passi e movimenti sincronizzati prima del grande momento.»
Quest’anno la finale del campionato è tornata a Miami: San Francisco contro Kansas City. Allora fu Dallas contro Pittsburgh.
«Erano due squadre già molto famose. Non ridete ma, da profana, dei Cowboys mi colpirono i fisici dei giocatori e la bellezza delle cheerleaders. Ragazze che oltretutto indossavano costumi da schianto. Il pubblico ne era estasiato. Gli Steelers invece erano una formazione davvero forte e infatti vinsero loro, in rimonta, alla fine.»
Qualche ricordo della partita?
«In mente ho davvero tante immagini. A forza di passi di danza sulle yard dei campi da football per le prove nel frattempo ho imparato anche le regole. Seguii tutto con interesse nonostante la tensione dello spettacolo. Davanti a ottantamila persone, facile immaginare il batticuore. C’era un palco a forma di torta gigante nel bel mezzo dello stadio su cui ballavano quattro ragazze e noi, sul terreno, a comporre figure che rappresentavano le icone americane, tipo la Liberty Bell e altri simboli.»
In fondo avete fatto la storia, non crede?
«Eravamo l’espressione di un tipo di spettacolo dell’epoca, non paragonabile a quelli dei big che sono arrivati dopo. Michael Jackson, Bruno Mars o i Coldplay, Britney Spears: parliamo di professionisti. Noi eravamo solo giovanissimi ballerini che amavano viaggiare e stare insieme. Però è vero che il nostro fu uno show a suo modo straordinario, tanto che la Nlf lo ricorda sempre con piacere nelle sue rievocazioni. Oltretutto quella non fu l’unica volta per “Up With People”. Negli anni successivi si esibirono altri due cast.»
Chissà in quanti pagherebbero oggi la possibilità di vivere un momento del genere…
«Posso immaginarlo. È una piccola grande soddisfazione che porterò sempre con me, per quanto poi la mia carriera professionale abbia seguito altri percorsi.»
Stanotte chi vincerà?
«Il football americano, come sempre.»