Dalla Cina un nuovo virus letale
Le notizie allarmanti sul proliferare della nuova influenza virale, anche al di fuori della Cina, ha indotto l'OMS e la platea internazionale a provvedimenti d'urgenza per cercare di limitare il contagio.
Le notizie allarmanti sul proliferare della nuova influenza virale, anche al di fuori della Cina, ha indotto l'OMS e la platea internazionale a provvedimenti d'urgenza per cercare di limitare il contagio.
In questi giorni, dopo un goffo tentativo di insabbiare la gravità dell’allarme per il coronavirus, è diventata di dominio pubblico la portata dell’epidemia virale che ha colpito la superpotenza e che, complice il periodo di ferie legato al capodanno cinese, ha iniziato a “viaggiare” anche in altri Stati. Sono già stati rilevati casi in Giappone, Corea e Thailandia, da cui sono arrivate le prime notizie, poi confermate, seppur con riluttanza, da Zhong Nanshan, esperto della Commissione per la salute pubblica di Pechino, che riporta un numero crescente di casi accertati, circa 600 al momento, e purtroppo anche 25 morti, ma il numero è destinato a salire.
Epidemie virali che partono dagli animali ce ne sono state diverse, negli ultimi 20 anni, ogni volta caratterizzate dalle stesse condizioni: consumo e commercio di animali selvatici, allevamento intensivo e scarse condizioni igieniche. Questo contesto di incuria favorisce la proliferazione dei virus, che trovano un habitat perfetto negli ambienti affollati dei mercati pubblici, specie nelle nazioni meno attente alla regolamentazione.
Un virus è un’entità biologica necessariamente parassita, ha cioè bisogno delle cellule di altri organismi per riprodursi e di un vettore per trasferirsi. Pensiamo al banale raffreddore che si propaga restando in sospeso nell’aria dopo gli starnuti di una persona infetta, in attesa di un nuovo ospite da colonizzare. Il virus, come tutti noi, ha in mente solo la sua sopravvivenza, è aggressivo e resiliente, testardo e paziente.
Il coronavirus ha dei pistillini microscopici che somigliano a una corona e risulta tra i principali responsabili di patologie molto comuni, come raffreddori e influenze. Prima del nuovo ceppo nCoV dell’attuale epidemia, altri coronavirus sono diventati famosi a partire dagli anni 2000: tra questi la Sars (Severe acute respiratory syndrome, meglio nota come aviaria) la Mers (Middle East respiratory syndrome), veicolata dai cammelli e pertanto concentrato principalmente in Arabia Saudita e Paesi del Golfo e il Siv (Swine Influenza Virus), chiamato anche influenza suina. Patologie con sintomi in tutto simili a un’infezione delle vie respiratorie, con tosse, febbre e starnuti ma che possono, nei casi più gravi, portare alla morte.
Al di là dell’origine, le tante analogie con il presente impone di ripensare a cosa successe nel 2002. Anche la Sars ebbe origine in Cina, a Foshan, e si ritiene fosse veicolata dalla civetta delle palme, un volatile selvatico di consumo alimentare nel Paese. Si trasmetteva per via aerea e per contatto, con un periodo di incubazione da 2 a 10 giorni. Secondo il calcolo dell’Oms, tra il 2002 e il 2003, la Sars ha colpito una trentina di Paesi, causando oltre 800 decessi; i contagiati furono circa 8.500, con una mortalità quindi del 10% circa. Anche in Italia si sono registrati, nel 2003, 4 casi di ricovero e successiva guarigione. Lo sforzo profuso a livello mondiale per la prevenzione, con protocolli stringenti negli aeroporti e misure eccezionali suggerite o imposte nei luoghi di lavoro e aggregazione, sono serviti a contenere l’epidemia che, a parte qualche sporadico caso, è praticamente sparita nel giro di sei mesi.
Gli stessi protocolli sono già stati attivati nei principali aeroporti d’arrivo in Italia, Europa e altri Paesi, anche se l’agenzia Ue per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDPC) definisce bassa la probabilità che il virus arrivi da noi.
Di parere diverso pare il professor Roberto Burioni, immunologo italiano noto per le sue campagne contro la disinformazione sui vaccini: «Con il nuovo coronavirus nCoV è accaduto quello che i virologi chiamano spillover, ovvero il virus si è trasferito da animale a uomo e si è adattato, diventando a tutti gli effetti un nuovo virus umano. Come già avvenuto ai tempi della Sars, le autorità cinesi per tre settimane hanno negato la trasmissione da uomo a uomo e tenuto fermo il conto dei malati. Ora l’Imperial College di Londra ha invece stimato in circa 1.700 i casi mondiali (nel frattempo gli stessi studiosi, preso atto delle crescenti dispersioni all’estero, hanno rivisto il calcolo a oltre 4.000 casi). Un numero che sembra poco significativo se rapportato alla popolazione cinese ma non può lasciare indifferenti la velocità con cui si sta diffondendo, con i casi dichiarati che sono triplicati in pochi giorni. Senza creare inutile allarmismo, bisogna però alzare la soglia di attenzione, perché al momento non esistono né un vaccino né una cura efficace.»
Sulla rivista “Nature”, il professor Yoshihiro Kawaoka, virologo dell’Università di Tokyo, spiega che per approntare una qualsiasi cura e intervenire sulle cause primarie è importante conoscere i fatti: «Bisogna capire e isolare gli allevamenti di quegli animali da cui ha origine il virus. Anche per questo, è essenziale che la Cina condivida le informazioni più appropriate il più presto possibile, ora che la malattia non è più confinata all’interno del Paese».
La maggior collaborazione tra le autorità cinesi e Oms viene espressamente richiesta dal presidente cinese Xi Jinping, che chiede «sforzi risoluti» contro la diffusione e sottolinea come «priorità» la salute della popolazione. In molte città, sono stati annullati i festeggiamenti previsti per il capodanno, nel timore che le tradizionali sfilate che possano trasformarsi in ottimi mezzi di trasporto per nCoV; le autorità invitano inoltre i cinesi a rinunciare a qualsiasi viaggio interno o all’estero avessero in programma, nell’interesse della salute mondiale. Wuhan City è stata posta in una sorta di quarantena, con l’interruzione di tutti i collegamenti pubblici, aeroporto, ferrovia e autostrade.
Nella maggior parte dei casi, c’è infatti un collegamento epidemiologico con questa città, forse tra le bancarelle del mercato centrale che vende pesci e animali selvatici, ma la mancanza di riscontro per alcuni pazienti rende ipotizzabile anche l’esistenza di più focolai dell’infezione. In questi giorni, un gruppo di esperti Oms si trova in loco per analizzare i protocolli di triage e cura adottati, l’efficacia delle misure preventive e per raccogliere il maggior numero di elementi per arrivare a tracciare e interrompere il percorso del virus.
In questi giorni si sta dibattendo a Ginevra sull’opportunità di dichiarare lo stato di emergenza sanitaria globale, ma, come detto, gli Stati si stanno già muovendo in modo indipendente, a buon senso, con controlli a tappeto sugli arrivi. Quanto a noi, riportiamo volentieri le raccomandazioni della Croce Rossa, che invita gli italiani, geneticamente refrattari agli attacchi di panico, a non cadere nella reazione opposta. Semplici azioni come lavarsi spesso le mani, mantenersi a distanza da chi starnutisce o tossisce, evitare ove possibile contatti con gli sconosciuti sono tutte misure efficaci e indolori per proteggere se stessi e chi si ama.