365 giorni senza Silvia
Un anno è passato da quella sera del 20 novembre 2018 quando Silvia Romano fu rapita nel villaggio di Chacama, a Malindi, zona turistica soprattutto italiana rinomata sulla costa del Kenya.
Un anno è passato da quella sera del 20 novembre 2018 quando Silvia Romano fu rapita nel villaggio di Chacama, a Malindi, zona turistica soprattutto italiana rinomata sulla costa del Kenya.
Un anno è passato da quella sera del 20 novembre 2018 quando Silvia Romano fu rapita nel villaggio di Chacama, a Malindi, zona turistica soprattutto italiana rinomata sulla costa del Kenya. Era impegnata nel coordinamento di interventi a favore dei bambini per Africa Milele, onlus delle Marche. Sin dalle prime ore dopo il rapimento una marea di insulti per la ragazza si sono alternati nei vari social media, come raccontato in queste pagine al link.
Parole d’odio nei confronti di chi cerca di lavorare nella cooperazione internazionale, e pochi dettagli invece dalle fonti ufficiali che hanno raccontato in modo frammentario le sorti della cooperante milanese. Articoli spesso smentiti dalle fonti giudiziarie che stanno lavorando al caso. Come l’infondatezza in riferimento alla «evidenza investigativa sulla presunta islamizzazione di Silvia Romano», in relazione alla notizia riportata da Il Giornale il 30 settembre scorso che, citando fonti dei servizi italiani, affermava che la giovane sarebbe stata costretta all’islamizzazione e a sposarsi in Somalia con un uomo legato all’organizzazione che la terrebbe in ostaggio.
Al momento le uniche “certezze” dei magistrati di piazzale Clodio, che sulla vicenda indagano per sequestro di persona con finalità di terrorismo, sono che la ragazza potrebbe essere stata trasferita in Somalia dopo il sequestro. In base a quanto accertato dagli inquirenti, prima e dopo il blitz avvenuto in un centro commerciale a circa ottanta chilometri dalla capitale Nairobi, ci sono stati contatti telefonici tra gli autori materiali del rapimento e la Somalia. Altro elemento acquisito è che si è trattato di un sequestro su commissione e che i mezzi (armi e moto) di cui erano dotati i rapitori (un gruppo composto da otto persone) sono giudicati da chi indaga “sproporzionati” rispetto al livello medio delle bande criminali keniane.
Lo scorso 21 ottobre la vice ministra degli Esteri Marina Sereni ha speso un pensiero nei confronti di Silvia, parlando degli italiani rapiti all’estero, in occasione del premio a Padre Jaques Mouraud, priore del monastero di Mar Elian in Siria, assegnato nel corso della XXXV edizione del premio “Colombe d’oro” per la Pace, promosso dall’Archivio Disarmo. «Penso a Silvia Romano – ha detto Sereni all’Agenzia Ansa –, operatrice umanitaria rapita in Kenya ormai undici mesi fa e oggi forse prigioniera in Somalia. In questo caso c’è anche l’aggravante di essere donna e di essere libera. Di fare del bene. L’Italia deve pensare a loro, al loro coraggio, al loro spirito di sacrificio. Questo impegno non deve venire mai meno. E anche se spesso le istituzioni sono costrette ad operare in silenzio posso assicurare che nessun canale, nessuna iniziativa utile, nessuno sforzo sarà lasciato intentato.»
Il padre, Enzo Romano, attraverso la sua pagina Facebook, dedicò un post alla figlia in occasione del suo 24esimo compleanno, il 13 settembre scorso: «Posso regalarti dolci pensieri, trasmetterti forza ed energia dal profondo di un cuore che soffre, ma che non ha mai smesso di credere che tornerai tra le nostre braccia… Sei una grande! PapàTuo.» Ricordando le stesse parole della figlia che devono risuonare per tenere sotto i riflettori questa vicenda ancora senza un esito positivo: «Amo piangere commuovendomi per emozioni forti, sia belle sia brutte, ma soprattutto amo reagire alle avversità. Amo stringere i denti ed essere una testa più dura della durezza della vita. Amo con profonda gratitudine l’aver avuto l’opportunità di vivere.»