Il GP degli Stati Uniti d’America 2019, disputatosi domenica scorsa sul tortuoso tracciato texano di Austin, ha consegnato a Lewis Hamilton su Mercedes, come era nelle previsioni della vigilia, il sesto titolo iridato piloti. Un titolo che il neo campione del mondo ha, poi, dedicato al grande Niki Lauda, suo amico e consigliere, scomparso la scorso maggio dopo una lunga malattia. Sei campionati mondiali sono qualcosa di straordinario, un risultato che collocano il pilota britannico sul secondo gradino del podio ideale formato dai piloti più vincenti nella storia della Formula 1, alle spalle di Michael Schumacher – primo della classe con ben 7 titoli – e davanti all’argentino Juan Manuel Fangio, terzo con 5 vittorie iridate. Con le stagioni che rimangono da disputare, non è così improbabile che possa essere proprio lui a diventare il più vincente di sempre.
Chissà se Hamilton ha mai pensato, quando già in giovanissima età iniziò a correre sui go-kart, che un giorno si sarebbe trovato così in alto. Forse nemmeno i sogni e le fantasie di un bambino potevano arrivare a tanto, soprattutto per uno come lui, figlio di genitori con modeste possibilità economiche, che con enormi sacrifici gli hanno dato modo di avvicinarsi al mondo dei motori. Per uno nato nel Regno Unito, sarebbe stato sicuramente più naturale pensare al calcio o al rugby, discipline tra le più diffuse tra i giovani d’Oltremanica e senza dubbio meno impegnative sul piano squisitamente economico.
In ogni sport i futuri campioni sanno mostrare sin da subito il loro talento a chi sa osservare con lo sguardo del talent scout esperto. Quando Lewis aveva solo 10 anni, l’incontro con Ron Dennis, boss della Mc Laren, divenne fondamentale per il suo destino. A uno come lui, abituato ad avere nella sua scuderia talenti come Niki Lauda, Alain Prost e Ayrton Senna, non poteva certo sfuggire quel giovane pilota che già sui kart aveva fatto intravedere le sue indubbie abilità tecniche.
Proprio nello stesso periodo in cui terminava prematuramente la carriera dell’asso brasiliano, Lewis si metteva, infatti, in luce sui kartodromi inglesi utilizzando un casco che riprendeva i colori di quello indossato dal mito brasiliano. Quel giallo acceso che lo accompagnerà per lungo tempo anche in Formula 1, prima di essere sostituito da quelli caratterizzati da speciali serigrafie, molto utilizzati dai piloti dei giorni nostri. L’esordio nella massima serie avviene per lui a soli 22 anni, alla guida di una Mc Laren e con a fianco, un compagno di squadra ingombrante come il due volte campione del mondo Fernando Alonso. Tuttavia, già all’esordio rimase in lotta per il titolo fino all’ultima gara in Brasile, prima di cedere il passo a Kimi Raikkonen su Ferrari. L’appuntamento venne comunque solo rimandato all’anno successivo quando Hamilton divenne campione del mondo, sempre sullo stesso tracciato carioca, al termine di una rocambolesca gara vinta, ironia della sorte, dal ferrarista Felipe Massa.
Dopo alcuni anni di “silenzio”, coincisi con il dominio della Red Bull di Sebastian Vettel, ecco arrivare il passaggio in Mercedes dove, grazie alla nuova rivoluzione ibrida, lascia agli avversari solo le briciole. Arrivano, infatti, ben cinque titoli in serie, ad eccezione del 2016 quando sul gradino mondiale sale il suo compagno di scuderia Nico Rosberg. Il suo illustre curriculum parla di 248 gran premi disputati, con 83 vittorie e il record assoluto di ben 87 pole position. Numeri decisamente impressionanti che lo collocano di diritto nell’elenco dei più vincenti di sempre. La sua carriera è stata, almeno sino ad ora, molto simile a quella di Michael Schumacher, al quale lo accomunano diversi aspetti come il tipo di estrazione sociale (anche il pilota tedesco è figlio di un operaio divenuto successivamente gestore di un kartodromo), l’esordio in F1 alla stessa età, la vittoria di cinque titoli mondiali ottenuti sempre con la stessa scuderia e, infine, il confronto diretto in pista con il pilota più grande della generazione precedente.
Nonostante ciò, tuttavia, il pluricampione tedesco non ha mai rappresentato per Hamilton un vero e proprio riferimento. Nemmeno i suoi record, alcuni ancora oggi imbattuti, hanno mai rappresentato per Lewis un obiettivo da raggiungere e superare. Il suo idolo da imitare è sempre stato Ayrton Senna ovvero colui che con le sue imprese in pista lo ha ispirato sin da bambino. L’adorazione per il talento brasiliano, purtroppo prematuramente scomparso in circostante ancora oggi piene di dubbi, lo ha portato qualche anno fa, appena sceso dal primo gradino del podio del Gp del Canada, a prendere un aereo per Londra dove gli amici di Top Gear – famosa trasmissione motoristica – avevano messo a sua disposizione, con il benestare di un famoso collezionista, addirittura la McLaren MP 4/4 con la quale il pilota brasiliano aveva conquistato nel 1988 il suo primo titolo mondiale. Per lui, una serie di giri di emozionanti giri di pista, gridando a squarciagola nel microfono tutta la gioia e l’emozione per quell’incredibile momento. Il sogno di quel bambino venuto dalla provincia britannica si era finalmente compiuto per davvero. Il risveglio da questo sogno è sicuramente ancora molto lontano.